martedì 29 maggio 2012

Mercerie: le botteghe di Venezia

Le Mercerie a Venezia occupano quell'area strategicamente posta tra il centro politico-religioso di San Marco e quello commerciale-mercantile di Rialto. Per la loro importanza, già nel Duecento erano pavimentate in cotto.
Lungo le Mercerie di San Salvador avevano bottega i principali editori musicali e liutai:  i Gardano all'insegna "del Leone e dell'Orso", il liutaio Sigismondo Mahler, i Tieffenbrucker all'insegna "dell'Aquila nera", Francesco Bonafin, costruttore di clavicembali, Giorgio Sellas all'insegna "alla Stella" famoso per le sue chitarre, Luigi Hoffer costruttore di fortepiani.
La vita lungo le Mercerie fu sempre molto attiva: su di esse affacciavano numerosi negozi e costantemente si svolgeva un andirivieni di prodotti d'ogni tipo, da cui il detto "far marsaria" per indicare un trasloco.
La Merceria San Salvador prende il nome dall'omonima chiesa posta all'inizio della strada, verso il Canal Grande, la cui facciata principale volge verso il campo, mentre l'ingresso laterale si trova lungo la calle, tramite un sotoportego che attraversa il blocco edilizio di proprietà del Capitolo della Chiesa. Questo giustifica l'altezza delle case in questa zona: più erano numerosi gli appartamenti e maggiori erano le entrate per il clero! Gli stessi monaci di San Salvador scrissero nel 1507: "da queste case trazemo non mediocre utilità".
Poco più avanti prospetta la Calle degli Stagneri. Gli stagneri erano artigiani che lavoravano lo stagno con una tale abilità da farlo sembrare argento. Nacque il detto "xè passà per la cale degli stagneri", usato quando si dubitava dell'autenticità di un oggetto prezioso.
Lungo le Mercerie del Capitello si trova invece la Calle de le Balote. Qui esisteva la fabbrica delle speciali palline destinate alle votazioni delle magistrature veneziane e alla elezione del doge. Inizialmente fabbricate in cera e poi in tela di lino pressata, queste "balote" sono all'origine del termine "ballottaggio" usato ancora oggi per le votazioni.

lunedì 21 maggio 2012

La chiesa di Santa Giustina a Venezia

La chiesa di Santa Giustina sarebbe stata fondata da San Magno (Altino, 580-670), ma come al solito la storia posticipa la fondazione all'anno 1106, data della prima documentazione riguardante l'edificio. Fu consacrata nel 1207 ed assegnata prima ai monaci di Santa Brigida e poi alle monache agostiniane di S. Maria degli Angeli di Murano. La chiesa fu completamente rifatta nel 1500, e subì ulteriori rimaneggiamenti nel 1600.
Nei documenti dell'epoca si ricorda un tabernacolo dell'altare maggiore "di marmo fino in due ordini di colonne corinzie e composite con nicchi di agate e corniole, il tutto in fondo di lapislazzuli".
Vi era custodito inoltre un sasso con l'impronta delle ginocchia di S. Giustina, genuflessa su di esso in preghiera.
L'interno della chiesa era ricco di opere di diversi artisti, tra cui Palma il Giovane, Marco Vecellio e Liberi. Durante le soppressioni napoleoniche la chiesa venne completamente spogliata. Nel 1844 la chiesa perse il coronamento curvilineo superiore (vedi immagine), quando fu trasformata in scuola militare.
Un tempo la chiesa di Santa Giustina era visitata solennemente dal doge il 7 di ottobre, data della vittoria navale di Lepanto avvenuta nel 1571.
Oggi è sede del Liceo Scientifico titolato a Giambattista Benedetti, matematico veneziano morto nel 1590. Fu allievo di Nicolò Tartaglia e a soli 23 anni pubblicò un'opera dove insegnava a risolvere tutti i problemi geometrici per mezzo di un compasso ad apertura fissa. Nell'opera sua più di rilievo "Il libro di diverse speculazioni fisiche e matematiche", espose la teoria della caduta dei gravi che ebbe influenza anche su Galileo Galilei.

domenica 13 maggio 2012

Il Teatro della Cavallerizza

Dietro le absidi delle Chiesa di San Zanipolo si estende la Calle Torelli detta della Cavallerizza.
Nel 1640 in questo spazio fu costruito un teatro tutto in legno su disegno di Jacopo Torelli, autore anche delle macchine sceniche. Il teatro fu inaugurato per il Carnevale del 1641 con "La finta pazza" di Giulio Strozzi, su musica di Francesco Sacrati, rappresentata ben dodici volte in sole diciassette sere; seguirono, tra le altre, il "Bellerofonte" di Sacrati e la "Deidamia" di Francesco Cavalli.
Nonostante il successo il teatro fu demolito nel 1647 e al suo posto fu costruito un maneggio, chiamato "La Cavallerizza". Cristoforo Ivanovich, un canonico che visse a Venezia a fine Seicento, ce ne ha lasciato un'interessante descrizione: "In essa c'erano più di settanta cavalli, un maestro per insegnare a cavalcare, stipendiato dai notabili responsabili e inoltre si allestivano balletti equestri, giostre e spettacoli musicali".
Agli inizi del Settecento, ogni giovedì, erano eseguiti i "Salmi" di Benedetto Marcello, che duravano più di quattro ore e lo stesso autore accompagnava i cantanti al clavicembalo.
Per i numerosi spettacoli ivi allestiti, la Cavallerizza era considerata alla stregua di un teatro, operativo fino al 1735, quando fu chiuso e trasformato in saponificio. Il teatro fu poi riaperto nel 1750 e rimase attivo fino alla caduta della Repubblica.
In fondo alla Cavallerizza c'era la Calle della Gorna, oggi inglobata nella struttura dell'Ospedale Civile, un tempo direttamente collegata alle Fondamenta Nuove. In questa calle si trovava l'appartamento occupato da Giacomo Casanova dal marzo al 25 luglio 1755, giorno del suo arresto. L'immobile apparteneva ad una vedova con due figlie e la maggiore di esse, diciottenne, era in cura da lungo tempo dal medico Righellini per una strana forma di apatia accompagnata da gran debolezza. Il medico, parlando con Casanova, suggerì che la vera medicina per guarirla sarebba stata un buon amatore... e Giacomo la guarì perfettamente!

sabato 5 maggio 2012

I funerali dogali

I primi funerali dei dogi si svolgevano senza grande pompa, ma col tempo la cerimonia divenne sempre più complessa e solenne.
Quando un doge moriva, l'addetto alle cerimonie comunicava la notizia al Collegio e il più anziano dei Consiglieri rispondeva: "Con molto dispiacere avemo sentido la morte del Serenissimo Principe di tanta bontà e pietà. Però ne faremo un altro".
Poi la morte veniva annunciata a tutta la cittadinanza dal suono a doppio per nove volte delle campane di San Marco e delle altre chiese della città. Da quel momento erano sospese tutte le attività delle magistrature ad eccezione dei Signori della Notte, e nelle chiese si celebravano messe a suffragio per tre giorni.
Il doge, subito dopo la morte, veniva imbalsamato e avvolto nel mantello d'oro, col corno ducale in testa, gli speroni calzati alla rovescia e lo stocco del comando a lato, con l'impugnatura verso i piedi; poi veniva esposto in una sala del suo appartamento in Palazzo Ducale, sopra una tavola coperta da tappeti e la sera successiva era trasferito sopra un cataletto, da marinai scelti, nella Sala del Piovego. Passati tre giorni dalla morte, si svolgevano i funerali, verso sera.
Il corteo, formato da migliaia di persone, entrava in Palazzo Ducale, attraversava la Sala del Piovego e usciva in Piazza San Marco. In testa sfilavano le Scuole piccole, seguite dalle Scuole grandi, gli ordini monastici e religiosi, il clero secolare, i chierici e i capitoli di San Pietro in Castello e di San Marco.
Sopra il cataletto, portato da ufficiali della Marina, si alzava un baldacchino di velluto color cremisi con ricami d'oro, sorretto da quattro confratelli della Scuola alla quale apparteneva il doge. Il cataletto era seguito dai parenti del doge che sfilavano vestiti completamente di nero, avvolti in lunghi mantelli con cappuccio, mentre le varie magistrature vestivano di rosso, a significare che il lutto era privato e la Serenissima eterna.
Il lungo corteo, concluso dai bambini dei quattro Ospedali cittadini, entrava in Piazza al suono delle campane di San Marco, girava intorno al pozzo posto davanti alla chiesa di San Giminiano (oggi non più esistente) e quando il cataletto giungeva davanti alla Basilica, le campane smettevano di suonare e i marinai, in segno di lutto, lo alzavano nove volte gridando, nel silenzio generale, "misericordia".
Dopo quel gesto, chiamato salto del morto, le campane riprendevano a suonare e il corteo imboccava le Mercerie per poi dirigersi verso S.S. Giovanni e Paolo. Lungo tutto il percorso le finestre delle case erano abbellite da tappeti ed arazzi e i soldati dalmati facevano doppio cordone da Piazza San Marco al Campo S.S. Giovanni e Paolo.
Arrivati all'interno della Chiesa, la bara veniva posta sopra un alto catafalco; attorno si disponevano i soldati e i marinai, mentre i parenti sedevano nel coro. Terminata l'orazione funebre, tutti si allontanavano in barca, mentre il Patriarca dava l'assoluzione alla salma.
Alla cerimonia dentro la chiesa c'era poca affluenza di pubblico, forse a causa di una strana profezia: la Chiesa sarebbe crollata in un giorno solenne!