martedì 18 novembre 2014

Le Pasque veronesi e la fine della Repubblica veneziana

La parola pasqua, che trae origine dal latino ecclesiastico pascua (a sua volta derivante da una voce ebraica che significa "passaggio"), ha sempre avuto un contorno di gioia e di augurio. Non così le Pasque veronesi (al plurale, all'uso francese) che sono invece un ricordo di rivolta e di morte.
Le vicende si svolgono nell'aprile 1797: ancora circa un mese e la Repubblica di Venezia cadrà di fronte ad una brusca ingiunzione di Bonaparte, che, dopo averlo messo in ginocchio, sta cercando i pretesti necessari per abbattere l'antico Stato veneto;  tra questi il più noto fu appunto rappresentato dai fatti di Verona, subito chiamati "pasque veronesi".
Inseguendo l'esercito austriaco, l'armata francese viola spesso il territorio della Repubblica che, in omaggio ad una dichiarata neutralità (l'anno prima aveva rifiutato la proposta di Vittorio Amedeo III di Savoia, re di Sardegna, per un'alleanza contro la Francia), sopporta le ingiurie francesi sempre più cocenti, le ruberie continue, le requisizioni e le violazioni della sovranità di uno Stato indipendente.
Così Lonato, Sirmione e Desenzano vengono occupate dagli uomini di Napoleone; a Peschiera viene arrestato il comandante veneto Colonnello Carrara, mentre Bardolino, San Vigilio e Salò sono saccheggiate.
A Verona, il 17 aprile 1797, lunedì di Pasqua, la situazione già pesante divenne tragica quando, senza alcun preavviso, il generale francese Belliard fa aprire, dai castelli occupati dai suoi uomini, il fuoco dei cannoni sulla città. Il pretesto, dichiarato solo al termine della giornata, si riferisce all'uccisione di quattro francesi, che risulta poi mai avvenuta.
Abbiamo tra le mani la relazione (viva, anche se sintatticamente deplorevole) del giorno seguente del Provveditore Giovannelli che dice "... una giusta brama di vendetta si sparse repentinamente tra il popolo, egli suonò campane a martello, lanciandosi contro i francesi, qua e là sparsi, soldati, gente d'amministrazione e donne, si attaccò la mischia e la strage fu rilevante, contandosi oltre cento gli estinti francesi e 26 veronesi".
Il Provveditore cerca di portare la calma ma, non riuscendovi, si ritira (per non compromettere il governo) a Vicenza, volendo i popolani assaltare i castelli, dopo aver inutilmente chiamato in aiuto gli austriaci (il 18 aprile vengono infatti firmato da Napoleone i preliminari di Leoben).
Poi il Provveditore ritorna, insieme ad Andrea Erizzo di Vicenza, e la tragedia continua con uccisioni, distruzioni e saccheggi fino al 24 aprile, quando il generale francese Victor ottiene la capitolazione della città affamata e sanguinante.
Un altro episodio fornirà pretesto a Bonaparte per attaccare Venezia: il 20 aprile, un naviglio armato corsaro francese (Liberateur d'Italie) entra, contro le consuetudini ed i trattati internazionali, nel porto del Lido. In ossequio agli ordini ricevuti, il N.H. Pizzamano fa intervenire il Forte di Sant'Andrea, la galea francese viene catturata e i marinai sono in gran parte uccisi, compreso il suo capitano Laugier.
A seguito delle minacce francesi, nella seduta del 12 maggio 1797, il Doge e i magistrati deposero le insegne del comando, mentre il Maggior Consiglio abdicò e dichiarò decaduta la Repubblica.