domenica 26 aprile 2015

Pietro Aretino, il cortigiano letterato nella Venezia del Cinquecento

Arriva a Roma nel 1517 un uomo di venticinque anni, nato ad Arezzo. Non s'è mai saputo il nome del padre e non ci ha mai tenuto neanche lui a saperlo. L'han battezzato Pietro, e si fa chiamare Aretino dal nome della città natale. Passa l'adolescenza a Perugia, dove probabilmente fa buoni studi, ma non studi latini. Un letterato italiano che non sa il latino. Digiuno di educazione umanistica.

Fa il pittore, poi smette. Comincia a scrivere, poi smette.
A Roma non trova un protettore, cerca di farsi largo scrivendo cose varie: conquista una buona notorietà scrivendo delle pasquinate tra il 1521 e il 1522.
Le pasquinate dell'Aretino sono eccellenti, perché l'Aretino ha grandi doti di scrittore satirico; ma solo a Roma si ha questa occasione di scrivere cose da appiccicare alla statua di Pasquino.
Con il nuovo papa Adriano VI, l'Aretino non sente tirare aria buona e se ne va in giro tra Bologna, Arezzo, Firenze, Mantova, Reggio nell'Emilia; ora comincia ad avere dei protettori: il cardinale Giulio de' Medici, il capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere.
Torna a Roma nel 1523. Comincia ad essere sulla trentina e fa un passo avanti: dopo le pasquinate che gli avevano dato i primi successi, si butta sul filone erotico.
L'erotismo, nella letteratura italiana di questi anni, non è merce né rara né clandestina. Ma Pietro Aretino fa qualcosa di più, come chi faccia fumetti o fotoromanzi anziché racconti: parte da una base di erotismo figurativo. Scrive sedici sonetti a commento di sedici incisioni che Marcantonio Raimondi ha cavato da sedici figure di Giulio Romano. Suoi coetanei, suoi amici.
Questi sonetti sono noti con il titolo di Sonetti lussuriosi o Le Posizioni o I Modi. Il secondo titolo fa capire che costituiscono un piccolo Kama-sutra.
Sapete tutti che il Kama-sutra (“aforismi sull'amore”) è un trattato scritto in sanscrito fra il IV e il VII secolo dc, attribuito a Vatsyayana, e rientra nella letteratura religiosa indiana facendo del Kama, amore fisico, uno dei tre fini dell'esistenza.
Mentre del Kama-sutra tutti parlano tranquillamente, c'è ancora qualcuno che parla con qualche imbarazzo dei Modi dell'Aretino. Forse gli fa senso che siano scritti nella sua lingua materna. Alcuni libri di Storia della letteratura italiana non fanno menzione di questa opera di Pietro Aretino.
Chi vuol seguire il filone erotico nella storia della letteratura italiana trova i Modi dell'Aretino un poco freddi in confronto a certe poesie di Maffio Venier (Venezia, 1550 – 1586) o del grande Giorgio Baffo (Venezia, 1694 – 1768).
Anche nella disinvolta Roma di questi anni, i Modi fanno comunque scandalo. Un vescovo lo fa accoltellare il 28 luglio 1525. Questo vescovo si chiama Gian Matteo Giberti (certi suoi scritti avranno peso sulle decisioni del Concilio di Trento).
Dello stesso anno è la prima redazione di una commedia, La Cortigiana, che Pietro Aretino completerà e stamperà solo in seguito. E' il rovescio degli ideali del Cortegiano di Baldassar Castiglione, che circola in questi anni, manoscritto.
Dunque Pietro Aretino non vola solo nei cieli astratti dell'erotismo, ma si impiglia anche in questioni ideologiche che toccano i fondamenti della società dell'epoca. Così le coltellate si spiegano un po' meglio.
Come nel 1517 aveva dovuto lasciare Roma per colpa delle pasquinate, così per colpa dei Modi e della Cortigiana e forse di qualcos'altro che non sappiamo, Pietro Aretino deve nuovamente lasciare Roma.
Arriva a Venezia nel marzo del 1527. Ha trentacinque anni. Si sistema bene, con la protezione di potenti patrizi e impianta una dinamica attività editoriale con vari stampatori, tra cui Francesco Marcolini (della cui moglie diventerà amante).
Questo Marcolini stampa anche libri musicali con tipi mobili secondo un sistema di sua invenzione.
Pietro Aretino per primo riconosce nella stampa uno strumento economico e politico, E' il primo manager dell'industria culturale.
Fa stampare opere proprie, scrive opere proprie in funzione della loro pubblicazione a stampa, e scrive cose diverse a seconda dei momenti, cercando di indovinare i gusti del pubblico e tenendo conto dell'aria che tira a livello politico.
Le cose che scrive Pietro Aretino vanno dalla letteratura erotica a quella religiosa o agiografica. Tocca tutte le forme: sonetti e versi vari, commedie, tragedie, poemi cavallereschi, dialoghi, lettere.
Per le lettere, inventa qualcosa di nuovo: raccoglie in volumi lettere che scrive e lettere che riceve, come un editorialista d'oggi. E' una corrispondenza che coinvolge tutti i personaggi illustri del suo tempo, papi, imperatori e re. Pietro Aretino definisce se stesso “segretario del mondo”. Ludovico Ariosto lo definisce “flagello dei principi”, perché sa adulare ma anche minacciare e ricattare personaggi come Francesco I e Carlo V.
Nel campo delle arti conosce tutti e intrattiene rapporti eccellenti con Tiziano, che gli fa un ritratto spettacoloso (agli Uffizi di Firenze). Pietro Aretino ha gusti precisi ed è bravissimo a descrivere opere d'arte. Bisognerà arrivare a Giovan Battista Marino (nel Seicento) per trovare cose simili, ma l'Aretino è più bravo.
La casa di Pietro Aretino a Venezia è un centro di potere. E' una casa bella, luminosa, allegra, piena di donne e di figli di Pietro Aretino e di amici fidati, che entrano ed escono, come entra ed esce, a fiumi, il denaro.
La casa sta sul Canal Grande, fra rio di San Grisostomo e rio dei Santi Apostoli; dalle finestre si vede il ponte di Rialto, non quello che vediamo noi oggi, che sarà costruito tra il 1588 e il 1592; ma quello in legno che si vede nel celebre dipinto di Vittore Carpaccio (alle Gallerie dell'Accademia).
Pietro Aretino, vede, quando si affaccia alla finestra:
mille persone e altrettante gondole su l'hora dei mercati. Le piazze del mio occhio dritto sono le beccarie e la pescaria, e il campo del mancino, il ponte e il fondaco dei Tedeschi, a l'incontro di tutti e due ho il Rialto, calcato d'huomini da faccende. Sonvi le vigne ne i burchi, le caccie e l'uccellagioni nelle botteghe, gli orti nello spazzo, né mi curo di veder rivi, che irrighino prati, quando a l'alba miro l'acqua coperta d'ogni ragion di cosa, che si trova nelle sue stagioni.
Nel 1551 trasloca a Palazzo Dandolo, sempre sul Canal Grande (poco lontano da Palazzo Bembo, dove abita Pietro Bembo).
Il rio che bagna un lato della sua casa, vien detto “rio de l'Aretino” e le donne che transitano a casa sua, per piacere o per dovere, si fan chiamare “le Aretine”.
Secondo una leggenda a palazzo Dandolo Pietro Aretino tanto ride per una storia che gli son venuti a raccontare sulle sue sorelle, ospiti di un bordello di Arezzo, tanto e tanto ride che casca dalla seggiola e muore.