lunedì 23 gennaio 2012

Pietro Orseolo II, Pericle di Venezia

Gli anni prima dell’anno Mille, erano anni difficili in Europa: anarchia feudale, guerre tra Impero e Papato, carestie e incertezza e in più nacque la psicosi del 1000 non più 1000. Ed è proprio in questo momento della storia che a Venezia visse il Doge Pietro Orseolo II, forse il più grande Doge della Repubblica, soprannominato il Pericle Veneziano. Era uomo ambizioso, ma soprattutto fu uomo del suo tempo, aveva capito quanto più forte fosse la parola rispetto alle armi, quando più valida fosse una politica basata sulle relazioni diplomatiche piuttosto che sulla guerra, e quanta importanza avesse per Venezia il dominio e la difesa dell’Adriatico. Direttive politiche che dopo di lui saranno poi quasi sempre seguite dai governi che si succederanno alla guida della Repubblica. Per nulla intimorito dalle profezie sull’anno Mille iniziò nel 991 a soli trent’anni il suo dogato e la sua saggia politica. Strinse accordi con l’Impero di Bisanzio ottenendo la Bolla d’oro che concedeva alti privilegi ai mercanti veneziani nei loro commerci con l’oriente. Strinse accordi anche con Ottone III  Imperatore d’Occidente e intrattenne buone relazioni con gli stati limitrofi italiani, stipulando con ognuno particolari trattati. Dimostrò poi di essere “uomo moderno” quando, superando le idee e gli scrupoli del suo secolo, concluse trattati persino con i saraceni. Assicurata la pace ed i commerci, Pietro Orseolo II emanò un provvedimento davvero in anticipo sui tempi: proibì di partecipare armati alle riunioni in Palazzo Ducale! Il Doge voleva dare più valore al procedimento legale che alla forza bruta, in tempi in cui praticamente tutti portavano armi. L’unico punto irrisolto della sua abile politica erano i pirati Narentani (slavi), ai quali Venezia, per evitare d’esser sempre con le armi in pugno e per assicurare i proprio commerci, pagava un tributo annuo. Orseolo decise di sospendere il tributo, scatenando l’ira dei Narentani, i veneziani allora misero a ferro e fuoco le spiagge dei pirati facendo numerosi prigionieri, la risposta dei Narentani fu immediata, scatenarono la loro rabbia sulle città dalmate, le quali erano provincia bizantina. Bisanzio però lasciava che le provincie più lontane si governassero da sole, e così nel momento del pericolo la Dalmazia si rivolse a Venezia per chiedere aiuto. E nel fatidico anno Mille, quando nel mondo doveva accadere l’irreparabile, Pietro Orseolo II iniziò la sua più famosa impresa: la liberazione delle città dalmate. Il 9 maggio, giorno dell’Ascensione, partì con tutta la flotta armata e in un solo mese liberò tutte le città dalmate, sconfisse i pirati e si spinse fino a Lagosta, sigillando così il dominio di Venezia sull’Adriatico. Tornato in patria l’Orseolo stabilì che da quell’anno in poi, nel giorno dell’Ascensione, il doge tornasse al Porto del Lido accompagnato del Vescovo di Castello e usciti in mare aperto  benedicessero le acque perché fossero loro propizie…

lunedì 16 gennaio 2012

Jacopo Antonio Marcello e l'impresa impossibile

La presenza della famiglia Marcello a Venezia è documentata con certezza dal 982, quando fu sottoscritto l'atto di donazione dell'isola di San Giorgio Maggiore all'ordine benedettino. Tra i firmatari figura anche un Pietro Marcello, dal quale ha formalmente inizio una linea genealogica che giunge fino ai giorni nostri, e che può vantare anche un doge, Nicolò, eletto nel 1473.
Nel corso dei secoli i Marcello si distinsero soprattutto nel mestiere delle armi, dando alla Repubblica molti comandanti di terra e di mare. Nel XV secolo Jacopo Antonio Marcello, grande umanista e mecenate, combatté valorosamente contro i Visconti, signori di Milano. In quel tempo l'esercito milanese assediava numerose città venete e pareva impossibile contrastarlo via terra. Jacopo Antonio ebbe allora la folle idea di trasportare una quarantina di navi attraverso le colline che separano l'Adige dal Lago di Garda, per aggirare il nemico e poter combattere sull'acqua, habitat ideale per l'esercito veneziano. L'impresa era ardita, ma il coraggio fu premiato, dopo giorni di trascinamento delle galee tra i boschi, su dei rulli di legno, il lago fu raggiunto. Venezia sorprese e sbaragliò così le truppe viscontee. E di lì a poco liberò Verona, Brescia, Ravenna e Ferrara.

martedì 10 gennaio 2012

Il Canal Grande, la strada più bella del mondo

"Mi condussero lungo la grande strada, che essi chiamano il Canal Grande, e che è davvero molto larga,
le galee vi passano attraverso e vidi navi di quattrocento tonnellate e più vicino alle case.
E' davvero la strada più bella che ci possa essere, io credo, nel mondo, e la più ben costruita, e attraversa tutta la città.
Le case sono molto grandi e alte, di buona pietra e quelle antiche sono tutte dipinte, quelle fatte da cento anni in qua hanno la facciata in marmo bianco, che giunge dall'Istria a cento miglia da là..."

Philippe de Commynes, ambasciatore francese, fine del XV secolo

venerdì 30 dicembre 2011

Il miglior decrittatore di messaggi cifrati d'Europa

Fra le Magistrature di Venezia ve n'erano di veramente particolari. Per esempio la Serenissima nominò "Segretario alle cifre", nel 1506, Giovanni Soro, che altri non era se non il miglior decrittatore di messaggi cifrati d'Europa.
La sua fama era talmente diffusa che alcuni Stati spedivano alla Serenissima i plichi intercettati perché fossero decifrati. Nel 1526 papa Clemente VII gli inviò due crittogrammi particolarmente difficili, ed entrambi gli furono restituiti col testo in chiaro. In un altra occasione invece, poiché un crittogramma della Santa Sede era stato intercettato dalle spie fiorentine, il pontefice ne mandò una copia a Venezia per essere rassicurato circa l'inviolabilità del messaggio. Soro dichiarò di non essere in grado di decifrarlo, e a Roma si concluse che i fiorentini non potevano aver fatto di meglio. Si pensa però che la risposta di Soro mirasse a infondere un falso senso di sicurezza nei colleghi vaticani. Una risposta differente avrebbe potuto spingerli infatti ad adottare crittogrammi più difficili, che forse nemmeno Soro sarebbe più riuscito a violare!
Sempre a proposito delle magistrature della Serenissima, va ricordato che Venezia fu la prima nella storia a riconoscere il diritto di "copyright" sulle invenzioni dell'uomo. Una disposizione del 1474 assegna infatti ai Provveditori de Comun il compito di sovrintendere alla registrazione dei brevetti.

venerdì 23 dicembre 2011

Palazzo Foscarini ai Carmini e le sue stranezze

Un aneddoto, circolante a Venezia nel Settecento, ci rende ragione di quanto ricchi fossero i Foscarini: era voce comune, infatti, che nel loro palazzo situato di fronte alla Chiesa dei Carmini vi fossero più di 200 stanze e nemmeno una sedia per timore che gli ospiti, sedendosi, potessero rovinare le preziose decorazioni degli interni.
Un vero scrigno di tesori artistici, quindi, testimonianza della passione per l'arte e del mecenatismo che caratterizzarono molti componenti della prestigiosa famiglia, la quale possedeva già numerosi palazzi in città.
In ogni caso la famiglia era nota anche per certe loro stranezze. Il loro membro più illustre, Marco Foscarini, eletto doge nel 1762 era uomo particolarmente erudito, ma noto soprattutto per la sua esagerata passione per i coralli, tanto che il celebre letterato Gasparo Gozzi, spesso suo ospite nel bel palazzo di famiglia, si lamentava del fatto che ogni conversazione, in ogni momento della giornata, dovesse riguardare quell'argomento tanto insolito!
Oggi il palazzo è in parte privato e in parte occupato da una delle sedi dell'Università Ca' Foscari di Venezia, ma il suo stato di conservazione non è ottimale e necessita di un integrale restauro.

lunedì 19 dicembre 2011

Il mistero di Ca' Dario

Affacciato sul Canal Grande, tra l'Accademia e la Salute, si trova uno dei più affascinanti palazzi di Venezia: Ca' Dario. Non molto alto, piuttosto stretto (la facciata è più corta di una gondola) e inclinato verso destra, ha una splendida facciata rinascimentale in pietra d'Istria, decorata con marmi policromi e medaglioni circolari.
Il palazzo venne fatto realizzare da Giovanni Dario nel 1487, su un preesistente edificio gotico, ispirato ai modi di Pietro Solari detto il Lombardo.
Giovanni Dario era un mercante di origine cretese, ma fu anche uomo dotato di grande personalità, cultura umanistica e diplomazia, tanto che divenne notaio della Cancelleria Ducale; ma soprattutto viene ricordato per aver negoziato l'accordo di pace del 1479 con il sultano Mehmet II.
Alla sua morte il palazzo passò in eredità alla figlia Marietta, che andò in sposa a Vincenzo Barbaro e da questi al figlio Gasparo. Il palazzo restò della famiglia Barbaro fino alla fine del Settecento.
Da quel momento accadde qualcosa di strano al palazzo che divenne foriero di disgrazie di ogni sorta per chi ne divenne proprietario.
Riportiamo qui solo alcuni esempi:
- Un commerciante armeno di pietre preziose, Arbit Abdoll, fece bancarotta poco dopo aver acquistato il palazzo - Rawdon Brown, ai primi dell'800, si suicidò all'interno del palazzo insieme al compagno, probabilmente a causa dello scandalo provocato dal loro legame omosessuale - Henry De Reigner si ammalò gravemente dopo l’acquisto del palazzo e fu costretto a tornare in Francia - Il conte Giordano delle Lanze, venne ucciso nel palazzo, colpito alla testa con un vaso dal marinaio croato di 18 anni che viveva con lui e che dopo l’omicidio fuggì a Londra, dove venne a sua volta assassinato -  Il manager degli Who, Christoph Lambert, vi muore d’infarto  -  Nel 1964 si fece avanti il tenore Mario Del Monaco che però ruppe le trattative quando, mentre si stava recando a Venezia per perfezionare la compravendita, fu vittima di un gravissimo incidente stradale che ne interruppe per lungo tempo l'attività - All'inizio degli anni Ottanta il palazzo venne acquistato da un uomo d’affari veneziano, Fabrizio Ferrari, che vi si trasferì insieme con la sorella Nicoletta: anch'egli fece bancarotta in poco tempo mentre la sorella morì in un incidente stradale senza testimoni - Alla fine degli anni Ottanta il palazzo venne acquistato dal finanziere Raul Gardini, il quale, dopo una serie di rovesci economici e il coinvolgimento nello scandalo di Tangentopoli, si suicidò tragicamente pochi anni dopo.

Qualcuno ha fatto notare che sulla facciata del palazzo che dà sul Canal Grande si può leggere "Urbis Genio Joannes Darius", che significa "Giovanni Dario al genio della città", ma anagrammando la frase latina diventa: "Sub ruina insidiosa genero", cioè "genero insidiose rovine a chi abita sotto questo tetto".

giovedì 15 dicembre 2011

Il primo film realizzato a Venezia


La prima "carrellata" della storia del cinema venne realizzata a Venezia dai Fratelli Lumière, sistemando la macchina da presa su un vaporetto che percorreva il Canal Grande. Questa tipologia di ripresa in movimento venne allora chiamata "panorama". Era il 1896.
Nel filmato il vaporetto sta risalendo il Canal Grande dall'ansa di Ca' Foscari verso il Ponte di Rialto. La camera è puntata verso sinistra, per cui si intravede nel primo fotogramma l'angolo estremo destro di Palazzo Bernardo, poi Palazzo Donà de la Madoneta (interessante notare che all'epoca non c'erano ancora le due orribili finestre moderne che si vedono oggi all'ultimo piano), Palazzo Donà, Palazzo Papadopoli (col suo giardino), Palazzo Giustinian Businello e Palazzo Barzizza.
Da notare la presenza di alcune gondole con ancora il felze, destinato a scomparire nel Novecento per soddisfare le esigenze dei turisti.

lunedì 12 dicembre 2011

Musica a Venezia

Proviamo ad immaginare la sorpresa degli stranieri che arrivano a Venezia per la prima volta e scoprono che all'ora della messa e dei vespri le chiese risuonano di una musica travolgente di virtuosità, eseguita da ensemble formati unicamente da fanciulle, le quali non solo cantano come angeli, ma suonano anche il violino, il clavicembalo, il corno e il contrabbasso! Chiese piene di una folla di appassionati che hanno acquistato il loro posto nel tempio sacro, esattamente come fanno per l'opera durante la settimana.
La fama di queste fanciulle giunge in tutta Europa: Parigi, Londra, Berlino, Vienna, San Pietroburgo... Jean-Jacques Rousseau scrive che spesso tra il pubblico c'erano anche attori e cantanti di fama internazionale..
Queste misteriose giovani che vivono in una sorta di clausura, e il cui talento uguaglia quello delle dive più adulate delle scene dell'opera, sono in realtà orfane soccorse per strada al fine di evitar loro una vita tristemente destinata alla prostituzione, e alle quali, in seno agli Ospedali (a Venezia gli Ospedali erano anche ospizi e orfanotrofi) che le accolgono, viene insegnata musica e canto.
Contribuisce senz'altro al successo di queste fanciulle, il fatto che cantino sempre nascoste dietro alle grate dei barchi e delle tribune, alimentando quindi un senso di mistero e di fantasia sulla loro ipotetica bellezza pari solo alla loro bravura.
In ogni caso le cappelle musicali femminili degli Ospedali rappresentano molto più di una semplice curiosità, esse sono infatti per la Serenissima un vero e proprio simbolo, un simbolo mistico e politico, legato in modo indissolubile alla storia della città. I loro canti sono l'allegoria stessa di Venezia-Venere, della Venere uscita dalle acque che in Venezia si identifica con la Vergine Maria (non a caso la data leggendaria della fondazione della città viene fatta risalire al 25 marzo, giorno dell'Annunciazione). Era quindi con grande orgoglio che il governo veneziano invitava principi, imperatori e ambasciatori ad ascoltare i concerti di queste speciali fanciulle.
Pochissimi i fortunati ch'ebbero l'occasione di conoscerle personalmente, tra questi ricordiamo J.J. Rousseau che ebbe il privilegio di poter entrare presso l'Ospedale dei Mendicanti e conoscere le ragazze del coro... ma ne rimase un poco deluso:
"Entrando nel salotto che conteneva quelle divine beltà tanto desiderate, provai un fremito d'amore. Il signor Le Blond mi presentò, una dopo l'altra le celebri cantanti, di cui voce e nome era quanto mi era noto: "Venite Sofia"... era orribile,  "Venite Caterina" ... era guercia, "Venite Bettina"... il vaiolo l'aveva sfigurata.... Quasi nessuna era immune da una qualche notevole imperfezione. Quell'uomo rideva della mia crudele delusione. Pure, due o tre, mi parvero discrete. Ero sconfortato. Durante la merenda, le stuzzicammo, e esse si misero in allegria. La bruttezza non esclude la grazia, ne scoprii. Mi dicevo: "Non si canta così senz'anima, esse ne hanno". Alla fine il mio modo di vederle mutò a tal punto che uscii quasi innamorato di quei mostriciattoli" (J.J. Rousseau, "Confessioni").

Oggi in città esistono ancora delle tracce di questo passato musicale e grazie ai percorsi musicali de L'altra Venezia è possibile ripercorrerne la storia.


 

sabato 10 dicembre 2011

El pezo no xe mai morto
(il peggio non è mai morto)

martedì 6 dicembre 2011

All'inizio fu il sale

Il prefetto romano Cassiodoro, nel VI secolo dc, ci lascia una descrizione minuta della laguna e dei suoi abitanti. Tra le immagini più colorite spicca la descrizione dell'uso di legare una barca fuori di casa invece del cavallo. Ma quello che colpisce di più è la considerazione che mentre gli altri fanno girare falci e aratri, gli abitanti della laguna ricavano e triturano sale. E ciò che all'inizio era una pura necessità, diventa ben presto un'immensa fonte di guadagno, dato che il sale assumerà un valore altissimo, tale da essere usato come moneta di scambio.
All'inizio dunque è il sale. E le notizie, anche se incerte e frammentarie fanno supporre che in laguna si estraesse il sale fin dai tempi dei romani. Nel paesaggio lagunare, appena antropomorfizzato, queste rudimentali saline nel volgere di alcuni secoli, diventano sempre più funzionali e facilmente gestibili. Tanto che Lorenzo de Monacis nel suo Chronicon scrive che erano veramente sorprendenti e magnifiche e una delle cose che più ammiravano i foresti in visita. Gli abitanti della laguna però non le chiamavano saline, ma "fondamentum".
Alla fine del XII secolo si contano 120 fondamenti, di cui una settantina nella laguna di Chioggia e molte altre tra Murano, Torcello e Sant'Erasmo. Ma quello che è davvero sorprendente è il numero di saline presenti all'interno della stessa Venezia: circa una decina! Nel Trecento se ne ricordano ancora a San Silvestro, ai Frari e a San Basilio. Ma già nel Quattrocento queste saline cittadine scompaiono e resta solo il ricordo nella toponomastica "Fondamenta".
In ogni caso la produzione di sale è così immensa che Venezia detiene il monopolio per la fornitura del sale in tutta Europa e nel Mediterraneo orientale. Il sale, sia grezzo che raffinato, viene conservato in enormi magazzini situati parte sull'isola della Giudecca e parte nei depositi alla Punta della Dogana.
Naturalmente all'epoca il sale non veniva usato solo per insaporire i piatti, ma anche, anzi, soprattutto per la conservazione dei cibi.