giovedì 19 maggio 2011

"A Venezia ognuno è comunque un commerciante"
(Petrarca)

mercoledì 18 maggio 2011

"Xe passà sant'Isepo co' la so' piala"
("E' passato San Giuseppe con la sua pialla" - dicesi di donna con poco seno)

lunedì 16 maggio 2011

Il gobbo di Rialto

Nel campo antistante l'antica chiesa di San Giacomo di Rialto, vicino ad una delle colonne del Sotoportego della Sicurtà, c'è una scaletta in pietra sorretta da una figura marmorea, il cosiddetto "Gobbo di Rialto".
Il realtà il Gobbo non è affatto un gobbo, è semplicemente una figura curva e tesa nello sforzo di sostenere la scala, opera dello scultore Pietro da Salò. La struttura serviva per leggere i bandi, i proclami, le ordinanze e le condanne della Repubblica, in un punto tra i più frequentati della città: il mercato di Rialto. Qui infatti si recavano sia i patrizi e i mercanti per i loro affari, sia il popolo per fare acquisti, c'era quindi la sicurezza di una grande diffusione delle deliberazioni dello Stato.

Le cronache del tempo raccontano che la punizione per furto consisteva nell'essere portati in catene da San Marco a Rialto, proprio davanti al Gobbo, e frustati per la strada come monito. Una volta arrivati a Rialto, felici di aver scontato la pena, i malfattori baciavano il Gobbo, dolce meta dopo tanta sofferenza.
Questi episodi avvenivano così di frequente che, per evitare che il Gobbo diventasse una reliquia o un simbolo di liberazione, nel marzo 1545 il Senato fece porre, in una vicina colonna, due pietre, una con una croce e l'altra con l'effige di San Marco, che dovevano servire per il "bacio della liberazione".

(fonte: M.Brusegan)

sabato 14 maggio 2011

"Essar sempre indrio come la coa del can"
(dicesi di colui che non porta mai a termine ciò che inizia o di quelle persone un poco lente a capire...)

lunedì 9 maggio 2011

Genesi della minigonna

Negli anni Sessanta del secolo scorso dilagò in tutto il mondo la moda della minigonna, scandalizzando i benpensanti, ma venendo poi assorbita nella normalità e accettata da tutti.
Sembra però che a Venezia, già nel Settecento, si usassero delle gonne molto corte. Ne abbiamo segnalazione dal poeta Angelo Maria Labia (1709-1755), sempre ironico fustigatore dei costumi del suo tempo, nella sua poesia La moda corrente, in cui descrive il modo di agghindarsi delle donne dell'epoca. Dopo essersi lamentato di come le veneziane andavano per via con il collo e le spalle nude, narra di come le signore portavano cotole e veste curte assai / e sfiamesanti veli sui cendai / calza bianca e mulete e gran cordele / ochio lascivo in ziro e seducente / questa in le done xe moda corrente.
Moda all'avanguardia, dunque, la minigonna esisteva già due secoli fa!

venerdì 6 maggio 2011

Marangoni e intagliatori a Venezia

I marangoni a Venezia erano i falegnami, tra tutti gli artigiani forse i più importanti.
Il termine "marangone" deriva da quello dell'uccello lacustre, "smergo" (dal latino mergere: tuffare), che per nutrirsi si tuffa nell'acqua, proprio come facevano i primi falegnami per sistemare le carene delle galee, per cui, in seguito ad una serie di successivi variazioni, smergo-mergo-marango, si arriva appunto a marangone.
Questa categoria di lavoratori era così suddivisa:
- marangoni da case: realizzavano le parti in legno per gli edifici e oggetti per uso domestico
- marangoni da noghera: fabbricavano mobili
- marangoni da soazze: eseguivano cornici
- marangoni da nave: lavoravano all'Arsenale
Da non confondere con i marangoni erano gli intagliatori.
Questi lavoravano il legno d'intaglio e spesso lo rifinivano con una decorazione colorata o dorata. Alcuni di essi erano talmente abili da imitare perfettamente stoffe, cuoio e metallo.
Questa nobile arte si è tramandata ancora fino ai giorni nostri. In città il più celebre di questi maestri è forse Livio de Marchi, eccentrico artista-scultore che si contraddistingue non solo per la tecnica ma soprattutto per l'estro creativo non comune.

(Fonte: Filippi Editore)

giovedì 5 maggio 2011

"Tuti semo boni a schissar le nose co le man dei altri"
("Tutti siamo capaci a schiacciare le noci con le mani degli altri")

lunedì 2 maggio 2011

Banchetti di Stato della Repubblica Serenissima

Nel Rinascimento la questione della tavola è centrale sotto il profilo politico, essa infatti travalica il semplice atto del mangiare e diventa una manifestazione di prestigio, inscenata per impressionare l'ospite, per far comprendere la vastità delle sue ricchezze, per aumentare il potere di chi organizza il convivio. Il banchetto quindi è scenografia, coreografia, finzione, spettacolo. E' arte raffinata che unisce intrattenimento, cibi ricercati, preparazione della tavola, per appagare allo stesso tempo occhio, palato e mente.
In particolare nelle festività pubbliche, Venezia costruisce un cerimoniale specifico studiato nei minimi dettagli. I banchetti tradizionali offerti dal doge nell'arco dell'anno sono cinque. Innanzitutto, San Marco, festeggiato il 25 aprile con un menù rituale costituito da una tenera primizia che il principe ha il privilegio di assaggiare per primo: si tratta dei piselli, presentati sotto forma di risi e bisi (riso con piselli) o di bisi con persuto (piselli con prosciutto). Quaranta giorni dopo Pasqua cade la Sensa (Ascensione), che si apriva con un antipasto di zuche confete (zucca caramellata) accompagnate da malvasia muschatella (vino greco dolce).
Queste due festività vengono onorate ancora oggi a Venezia, e da qualche anno sono tornati in auge i risi e bisi preparati alla vecchia maniera. Si è completamente persa traccia invece delle altre tre ricorrenze: Santi Vito e Modesto, il 15 giugno, di cui rimane il ricordo di un "pranzo bellissimo di pessi" offerto dal doge Andrea Gritti nel 1532; San Girolamo, il 30 settembre, nel corso della quale venivano conferiti ai patrizi alcuni importanti uffici della Repubblica; mentre sul quinto banchetto c'è incertezza: Giustina Michiel Renier nel suo libro "Origini delle feste veneziane" parla di Santo Stefano, Giuseppe Tassini di San Lorenzo.
Oltre a questi banchetti sono da ricordare i ricevimenti speciali in occasione di visite di sovrani e di ambasciatori, presso il Palazzo Ducale. Il tavolo preparato per queste occasioni è di forma ovale e gli invitati appartengono ai vari rami del governo e del corpo diplomatico, ma proprio per dimostrare che ci troviamo in una repubblica, il popolo non viene privato del diritto di assistere come spettatore a queste mense. I cittadini però si ritirano dopo il primo servizio: un usciere scuote le chiavi e quello è il tacito segnale della partenza, mentre al loro posto subentrano i musici. Terminato il banchetto, gli scudieri di palazzo presentano ad ogni convitato un paniere di dolci, mentre il doge si alza, si commiata e si ritira negli appartamenti privati.
Una curiosità: all'epoca era abitudine servirsi di posate personali, portate da casa, per praticità o per paura di essere avvelenati. A tavola, ambasciatori e personalità sono serviti dal proprio domestico, incaricato di riportare a casa la cassetta contenente posate e bicchiere facenti parte del coperto. Il nome deriva dal tovagliolo messo su tutto, e spiega l'origine della voce che ancora oggi troviamo nel conto del ristorante.

(fonte: C.Coco)

venerdì 29 aprile 2011

"L'incanto speciale della città mi ha avvinto. Tutto il giorno ho vagato per Venezia in estasi. Ogni giorno scopro nuove delizie... Ma ciò che più di tutto mi è piaciuto qui è la quiete, l'assenza del baccano cittadino. Di sera alla luce lunare, sedersi alla finestra aperta, guardare Santa Maria della Salute, che si trova proprio di fronte alle nostre finestre, e a sinistra la laguna, è semplicemente un incanto"
(Tchaikovsky, 1877)