Il Ponte delle Tette si trova a San Cassiano, nella zona detta delle Carampane. La storia di questo nome curioso è molto semplice. Vicino a Rialto, le Carampane era una di quelle aree di Venezia nelle quali le prostitute erano obbligate a concentrarsi per disposizione delle leggi sull'ordine pubblico.
Per attirare la clientela, esse sedevano sulle finestre a seno nudo e con le gambe penzoloni per mostrare tutte le loro grazie, o ancor di più, stavano completamente nude davanti alle finestre: il tutto proprio sopra il ponte in questione.
Si narra che potessero stare in questi atteggiamenti grazie ad un'ordinanza del XV secolo che, addirittura, le incoraggiava a mostrarsi per richiamare clienti. Questo per distogliere la popolazione maschile da un'ondata di omosessualità che era diventata quasi un problema di stato. Si ritrovano infatti, tra i fascicoli dei processi più famosi, molti casi contro omosessuali o per violenza "contro natura". Ad esempio tale Francesco Cercato fu impiccato per sodomia tra le colonne della Piazzetta San Marco nel 1480, e tale Francesco Fabrizio, prete e poeta, fu decapitato e bruciato nel 1545 per il "vizio inenarrabile". Comunque sia, sembra che l'omosessualità fosse molto diffusa nella Venezia del Cinquecento, tanto da indurre le prostitute, nel 1511, ad inviare una supplica al procuratore Antonio Contarini affinché facesse qualcosa in merito, perché sembrava non avessero più clienti.
Forse però la vera ragione della loro crisi economica era un'altra: nel 1509 a Venezia vi erano 11.654 cortigiane censite (su una popolazione di 150.000 abitanti...), con tale abbondanza di offerta sembra logico pensare che i guadagni pro-capite calassero di molto!
domenica 21 agosto 2011
mercoledì 10 agosto 2011
Simbolismo dell'acqua
"Il forestiero che arriva a Venezia dal rumore del mondo - scrive Marc Bloch - approda in una specie di liquido amniotico del silenzio", "L'acqua di Venezia - aggiunge Dominique Fernandez - non è acqua limpida: è consistente, sostanziale, prenatale, plasmatica". Ora il viaggio veneziano corrisponderebbe, secondo questa linea di pensiero al ritorno al grembo materno. Qualcuno ha persino collegato all'immagine del seno di donna, la struttura topografica e le numerose cupole fluttuanti nel cielo.
Loredana Gambuzzi, psicologa junghiana, campionando delle testimonianze di "genti disperse" trapiantate a Venezia, ha reso attendibile quest'ipotesi affascinante, che rilancia il tratto iniziatico originario di ogni grande insediamento urbano, non solo di Venezia, con la differenza che a Venezia, come grande isola pedonale, labirintica e difesa dall'acqua, esso sarebbe ancora direttamente percepibile.
Recenti teorie psicanalitiche riconoscono nelle acque di Venezia la capacità di portare a galla la nostra vera natura, spiegando pertanto il così vasto ventaglio di emozioni diverse che essa suscita; in pratica, ognuno vede in Venezia ciò che è lui stesso.
Venezia dunque assume la veste di iniziatrice, della Grande Madre che riceve l'iniziato e attraverso i suoi labirinti lo libera dalle strettoie della coscienza raziocinante, facendo riaffiorare l'energia della libido primordiale.
Occorre inoltre tener conto di quanto ricorda Enrico Raffi, scrittore della scuola di Alberto Moravia (che aveva pure lui una casa a Venezia, presso la Basilica della Salute): "Sono state le acque a salvare Venezia, quelle acque che dovrebbero infradiciare i ponti, ma che in questo caso sono più simili a quelle a cui dovette la vita il piccolo Mosè". Si analizzi questa frase alla luce della persistenza del mito biblico nel mito di Venezia: Mosè salvato dalle acque separerà le acque, come si auspicherebbe, per la salvezza della città, separare le acque del mare da quelle della laguna con una macchina dal nome "Mose".
Non a caso l'episodio della salvezza di Mosè dalle acque è stato affrontato anche da Tintoretto e Veronese, i quali collocano l'episodio biblico nel contesto di una sorta di gineceo. Acquaticità e femminilità sono dunque assunti come motivi convergenti e indissolubili.
Loredana Gambuzzi, psicologa junghiana, campionando delle testimonianze di "genti disperse" trapiantate a Venezia, ha reso attendibile quest'ipotesi affascinante, che rilancia il tratto iniziatico originario di ogni grande insediamento urbano, non solo di Venezia, con la differenza che a Venezia, come grande isola pedonale, labirintica e difesa dall'acqua, esso sarebbe ancora direttamente percepibile.
Recenti teorie psicanalitiche riconoscono nelle acque di Venezia la capacità di portare a galla la nostra vera natura, spiegando pertanto il così vasto ventaglio di emozioni diverse che essa suscita; in pratica, ognuno vede in Venezia ciò che è lui stesso.
Venezia dunque assume la veste di iniziatrice, della Grande Madre che riceve l'iniziato e attraverso i suoi labirinti lo libera dalle strettoie della coscienza raziocinante, facendo riaffiorare l'energia della libido primordiale.
Occorre inoltre tener conto di quanto ricorda Enrico Raffi, scrittore della scuola di Alberto Moravia (che aveva pure lui una casa a Venezia, presso la Basilica della Salute): "Sono state le acque a salvare Venezia, quelle acque che dovrebbero infradiciare i ponti, ma che in questo caso sono più simili a quelle a cui dovette la vita il piccolo Mosè". Si analizzi questa frase alla luce della persistenza del mito biblico nel mito di Venezia: Mosè salvato dalle acque separerà le acque, come si auspicherebbe, per la salvezza della città, separare le acque del mare da quelle della laguna con una macchina dal nome "Mose".
Non a caso l'episodio della salvezza di Mosè dalle acque è stato affrontato anche da Tintoretto e Veronese, i quali collocano l'episodio biblico nel contesto di una sorta di gineceo. Acquaticità e femminilità sono dunque assunti come motivi convergenti e indissolubili.