Arriva a Roma nel 1517 un
uomo di venticinque anni, nato ad Arezzo. Non s'è mai saputo il nome
del padre e non ci ha mai tenuto neanche lui a saperlo. L'han
battezzato Pietro, e si fa chiamare Aretino dal nome della città
natale. Passa l'adolescenza a Perugia, dove probabilmente fa buoni
studi, ma non studi latini. Un letterato italiano che non sa il
latino. Digiuno di educazione umanistica.
Fa il pittore, poi smette.
Comincia a scrivere, poi smette.
A Roma non trova un
protettore, cerca di farsi largo scrivendo cose varie: conquista una
buona notorietà scrivendo delle pasquinate tra il 1521 e il 1522.
Le pasquinate dell'Aretino
sono eccellenti, perché l'Aretino ha grandi doti di scrittore
satirico; ma solo a Roma si ha questa occasione di scrivere cose da
appiccicare alla statua di Pasquino.
Con il nuovo papa Adriano
VI, l'Aretino non sente tirare aria buona e se ne va in giro tra
Bologna, Arezzo, Firenze, Mantova, Reggio nell'Emilia; ora comincia
ad avere dei protettori: il cardinale Giulio de' Medici, il capitano
di ventura Giovanni dalle Bande Nere.
Torna a Roma nel 1523.
Comincia ad essere sulla trentina e fa un passo avanti: dopo le
pasquinate che gli avevano dato i primi successi, si butta sul filone
erotico.
L'erotismo, nella
letteratura italiana di questi anni, non è merce né rara né
clandestina. Ma Pietro Aretino fa qualcosa di più, come chi faccia
fumetti o fotoromanzi anziché racconti: parte da una base di
erotismo figurativo. Scrive sedici sonetti a commento di sedici
incisioni che Marcantonio Raimondi ha cavato da sedici figure di
Giulio Romano. Suoi coetanei, suoi amici.
Questi sonetti sono noti
con il titolo di Sonetti lussuriosi
o Le Posizioni o
I Modi.
Il secondo titolo fa capire che costituiscono un piccolo Kama-sutra.
Sapete
tutti che il Kama-sutra
(“aforismi sull'amore”) è un trattato scritto in sanscrito fra il
IV e il VII secolo dc, attribuito a Vatsyayana, e rientra nella
letteratura religiosa indiana facendo del Kama,
amore fisico, uno dei tre fini dell'esistenza.
Mentre
del Kama-sutra
tutti parlano tranquillamente, c'è ancora qualcuno che parla con
qualche imbarazzo dei Modi
dell'Aretino. Forse gli fa senso che siano scritti nella sua lingua
materna. Alcuni libri di Storia della letteratura italiana non fanno
menzione di questa opera di Pietro Aretino.
Chi
vuol seguire il filone erotico nella storia della letteratura
italiana trova i Modi
dell'Aretino un poco freddi in confronto a certe poesie di Maffio
Venier (Venezia,
1550 – 1586)
o del grande Giorgio Baffo (Venezia,
1694 – 1768).
Anche
nella disinvolta Roma di questi anni, i Modi
fanno
comunque scandalo. Un vescovo lo fa accoltellare il 28 luglio 1525.
Questo vescovo si chiama Gian Matteo Giberti (certi suoi scritti
avranno peso sulle decisioni del Concilio di Trento).
Dello
stesso anno è la prima redazione di una commedia, La
Cortigiana,
che Pietro Aretino completerà e stamperà solo in seguito. E' il
rovescio degli ideali del Cortegiano
di
Baldassar Castiglione, che circola in questi anni, manoscritto.
Dunque Pietro Aretino non vola solo nei cieli astratti
dell'erotismo, ma si impiglia anche in questioni ideologiche che
toccano i fondamenti della società dell'epoca. Così le coltellate
si spiegano un po' meglio.
Come
nel 1517 aveva dovuto lasciare Roma per colpa delle pasquinate, così
per colpa dei Modi
e
della Cortigiana
e forse di qualcos'altro che non sappiamo, Pietro Aretino deve
nuovamente lasciare Roma.
Arriva
a Venezia nel marzo del 1527. Ha trentacinque anni. Si sistema bene,
con la protezione di potenti patrizi e impianta una dinamica attività
editoriale con vari stampatori, tra cui Francesco Marcolini (della
cui moglie diventerà amante).
Questo
Marcolini stampa anche libri musicali con tipi mobili secondo un
sistema di sua invenzione.
Pietro
Aretino per primo riconosce nella stampa uno strumento economico e
politico, E' il primo manager dell'industria culturale.
Fa
stampare opere proprie, scrive opere proprie in funzione della loro
pubblicazione a stampa, e scrive cose diverse a seconda dei momenti,
cercando di indovinare i gusti del pubblico e tenendo conto dell'aria
che tira a livello politico.
Le
cose che scrive Pietro Aretino vanno dalla letteratura erotica a
quella religiosa o agiografica. Tocca tutte le forme: sonetti e versi
vari, commedie, tragedie, poemi cavallereschi, dialoghi, lettere.
Per
le lettere, inventa qualcosa di nuovo: raccoglie in volumi lettere
che scrive e lettere che riceve, come un editorialista d'oggi. E' una
corrispondenza che coinvolge tutti i personaggi illustri del suo
tempo, papi, imperatori e re. Pietro Aretino definisce se stesso
“segretario del mondo”. Ludovico Ariosto lo definisce “flagello
dei principi”, perché sa adulare ma anche minacciare e ricattare
personaggi come Francesco I e Carlo V.
Nel
campo delle arti conosce tutti e intrattiene rapporti eccellenti con
Tiziano, che gli fa un ritratto spettacoloso (agli Uffizi di
Firenze). Pietro Aretino ha gusti precisi ed è bravissimo a
descrivere opere d'arte. Bisognerà arrivare a Giovan Battista Marino
(nel Seicento) per trovare cose simili, ma l'Aretino è più bravo.
La
casa di Pietro Aretino a Venezia è un centro di potere. E' una casa
bella, luminosa, allegra, piena di donne e di figli di Pietro Aretino
e di amici fidati, che entrano ed escono, come entra ed esce, a
fiumi, il denaro.
La
casa sta sul Canal Grande, fra rio di San Grisostomo e rio dei Santi
Apostoli; dalle finestre si vede il ponte di Rialto, non quello che
vediamo noi oggi, che sarà costruito tra il 1588 e il 1592; ma
quello in legno che si vede nel celebre dipinto di Vittore Carpaccio
(alle Gallerie dell'Accademia).
Pietro
Aretino, vede, quando si affaccia alla finestra:
mille
persone e altrettante gondole su l'hora dei mercati. Le piazze del
mio occhio dritto sono le beccarie e la pescaria, e il campo del
mancino, il ponte e il fondaco dei Tedeschi, a l'incontro di tutti e
due ho il Rialto, calcato d'huomini da faccende. Sonvi le vigne ne i
burchi, le caccie e l'uccellagioni nelle botteghe, gli orti nello
spazzo, né mi curo di veder rivi, che irrighino prati, quando a
l'alba miro l'acqua coperta d'ogni ragion di cosa, che si trova nelle
sue stagioni.
Nel
1551 trasloca a Palazzo Dandolo, sempre sul Canal Grande (poco
lontano da Palazzo Bembo, dove abita Pietro Bembo).
Il
rio che bagna un lato della sua casa, vien detto “rio de l'Aretino”
e le donne che transitano a casa sua, per piacere o per dovere, si
fan chiamare “le Aretine”.
Secondo
una leggenda a palazzo Dandolo Pietro Aretino tanto ride per una
storia che gli son venuti a raccontare sulle sue sorelle, ospiti di
un bordello di Arezzo, tanto e tanto ride che casca dalla seggiola e
muore.