Lucidissimo economista,
nelle sue commedie Carlo Goldoni non descrive banalmente lo scontro
tra padri spilorci e figli dissipatori, ma le contraddizioni di
un'economia malata nella quale l'eccesso di spesa è
contemporaneamente una necessità vitale e un rischio mortale.
Quando parliamo di Goldoni
ci pare d'avere a che fare con un Molière minore, e per giunta
tardivo; con un giocoso dipintore dei vizi della società del suo
tempo; e un poco persino con un venditore di gondole, che ci
accompagna nelle pittoresche atmosfere del Settecento veneziano.
Tutto questo basterebbe a tenerci lontani dalla sua opera, come
alcuni stanno ormai lontani dalla città di Venezia...
E tuttavia
sarebbe un errore, perché Carlo Goldoni fu molto di più. Più di un
venditore di gondole, beninteso; più di un moralista o d'un
immoralista; e più di Molière, se vogliamo.
Con Goldoni siamo già
piuttosto dalle parti di Honoré de Balzac ovvero alla nascita di
un'arte intesa come scienza, come paradigma conoscitivo, e in
particolare come modello dei rapporti economici. Ma Balzac nasce 5
anni dopo la morte di Goldoni, perché scomodarlo? Andiamo con
ordine, e scomodiamo di conseguenza.
Nato nel 1707, morto nel
1793, Carlo Goldoni fu contemporaneo di Adam Smith, nato nel 1723,
morto nel 1790.
Il cruccio scientifico di
Goldoni, se teniamo fede alle sue dichiarazioni programmatiche,
sembra non essere altro che quello di rappresentare con la massima
precisione i vari tipi umani, ovvero dei caratteri universali in cui
ciascuno possa riconoscersi. Non c'è nulla di originale in questo:
si chiama commedia di costume, ed è appunto il genere in cui
eccelleva Molière. Non è neppure troppo dissimile dalla Commedia dell'Arte con i suoi padroni burberi i suoi servi sfaticati.
Se si
trattasse solo di questo, il merito di Goldoni, nel proporre la sua
commedia di carattere, non sarebbe altro che d'aver raffinato la
tecnica, aggiornandola alla società borghese. Tuttavia l'autore
veneziano non si limita a far sfilare questi caratteri in “scene
accozzate senz'ordine e senza regole”, né - come Molière - tesse
trame con l'unico scopo di far emergere i personaggi paradigmatici:
l'avaro, il borghese gentiluomo, il tartufo, il malato immaginario,
il misantropo, eccetera.
Al contrario, e
soprattutto nelle commedie d'ambiente, il genio di Goldoni sta
nell'aver messo in scena, piuttosto che dei tipi umani, dei tipi
di situazioni che drammatizzano i meccanismi economici del
capitalismo nascente.
In effetti, le azioni e i
moventi di cui è fatto il teatro goldoniano sono spesso di natura
contrattuale, monetaria, finanziaria, creditizia, speculativa. In
questo senso Carlo Goldoni è più di un semplice testimone, che
descrive in maniera confusa sintomi ed epifenomeni: sulla scena egli
è in grado di ordinarli, esaminarli, collegarli, sistematizzarli.
La “Trilogia della
villeggiatura” è in questo senso rappresentativa. La villeggiatura
è definita da Goldoni “una mania, una passione, un disordine”,
poi ancora un “fanatismo” una vera e propria patologia che
produce debito, ma è sulla scena “feconda di ridicolo e di
stravaganze”. Dunque qual è il legame tra la villeggiatura e la
ricchezza delle nazioni?
Lo si capisce leggendo Le smanie per la villeggiatura, primo capitolo della celebre
trilogia, quando Vittoria, che vuole farsi comprare un vestito dal
fratello sommerso dai debiti, sostiene che rinunciare a una spesa
superflua “può far perdere il credito”.
Quello che sembra soltanto
il capriccio d'una ragazza viziata, da cui scaturisce l'effetto
comico, è in realtà il cuore di un sistema economico nel quale lo
spreco onorifico permette di attrarre nuovo capitale e il debito
alimenta il credito. Insomma la risposta di Vittoria è tutt'altro
che ingenua.
Il rischio estremo cui va
incontro è di perdere il credito. Dietro il ridicolo, dietro
la vanità, dietro la critica, dietro la follia, Goldoni fa
trasparire la tragica ragionevolezza del comportamento di Vittoria,
costretta a inseguire freneticamente la moda e combattere
l'obsolescenza programmata delle merci.
Perché la sua follia è
del tutto ragionevole nel contesto della società in cui vive.
Non sono infatti i
personaggi di Goldoni a essere pazzi o banalmente vanitosi, ma
l'universo stesso in cui vivono a essere disfunzionale.
Negli anni ruggenti del
primo Novecento, poco prima della grande crisi del 1929, a incarnare
questo paradosso con malinconica ironia, fu lo scrittore americano
Francis Scott Fitzgerald, che in un suo articolo del 1924 per il
Saturday Evening Post, consegnò una formula perfetta: “Siamo
troppo poveri per risparmiare, il risparmio è un lusso”.
(fonte: R. A. Ventura)