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lunedì 10 giugno 2013

Poesia e musica nelle villotte friulane

La villotta è una particolare forma polifonica a tre o quattro voci su testi di vario metro, nata nel XV secolo e di origine friulana.
La diffusione in altre zone dell'Italia settentrionale diede luogo a forme locali, quali la villotta alla veneziana e la villotta alla mantovana.
Il musicologo Fausto Torrefranca (1883 - 1955), sostiene la villotta nascere alla fine del ‘400 come aria di danza a canto, dove la voce portante veniva mescolata, in un dialogo tra voce solista e coro d’accompagnamento, a comporre una polifonia, incatenata dal “nio”, sorta di ritornello atto al ballo, ma anche legante tra diverse quartine.Sembra una stretta gabbia, ma è la forma di espressione che ha funzionato per almeno quattro secoli permettendo alla forma di modello chiuso una libera e fertile espressione popolare ancora viva seppur in forma popolaresca.
Michele Leicht (1827-1897), storico cividalese, sostiene che questi piccoli canti sono la forma filosofica friulana per aggiungere contenuti e arricchire lo spirito.Un pensiero malinconico che libera, o che allarga la sensazione momentanea di libertà, per insaporire il presente. La vena poetica stava nella grande capacità di rimescolare le parole e tirare fuori il succo, alludendo, pungendo con ironia, senza mai toccare il nervo del dente che duole. Un lampo che scoppiettando arriva dritto al bersaglio.
Angelo Dalmedico, in "Canti del popolo Veneziano" nel 1848, e probabilmente riferendosi ai friulani immigrati a Venezia, dice: “Sino alla fine del secolo passato, le villotte venivano cantate accompagnate dal contrabbasso, dal mandolino e dalla chitarra. Ora vengono cantate dalle donne accompagnate dal cembalo coi sonagli, tessendo un ballo con un intermezzo che chiamano “nio” che ha una musica ancora più allegra".
Forse chi delle villotte ne ha scritto in maniera più estatica è stato Pier Paolo Pasolini (1922-1975) , che definisce un “cjandît lusôr inocent” (una luce candida e innocente) così ne scrive “Brevità metrica, che del resto si fa profonda nell’intimità dei contenuti, e vasta nella melodia: a esprimere come si canta uno spirito talvolta ciecamente malinconico, malinconico come possono esserlo certi sperduti dossi prealpini, di sera, d’inverno; e talvolta colmo invece di un’allegria accoratamente rozza, sgolata, di cui si empiono piazzette e orti nei vespri odorosi di pino, nelle notti tiepide”.

Vorave far la morte picinina:
morto la sera, e vivo la matina
Vorìa morire e no vorìa la morte
Vorìa sentir chi me pianze pì forte.
Vorìa sentir i me amici e i me parenti,
Vorìa sentir li preti con la croze
Et lo mio amor a gridar ad alta voze

Sant’Antonio miracoloso
Fé che fasso pase con mio moroso
E se no volé che fasso pase co lu
Andéve a far benedir anca vu

Ch’el mar fusse d’inchiostro mi vorave
E’l ciel ch’el fussi duto quanto un sfoio:
el nome suo in continuo scrivarave
digando a tuti el ben che mi ghe voio.

Esser vorave un oselin de un’ora
E svolarghe al mio ben dove el lavora
Svolarghe su la ponta del capelo
Per dirghe: - cossa fastu, amante belo?

Ma mi vorìa far come fa’l vento
Batter giù li balconi e saltar dentro
Saltar di dentro senza far fracasso
Darve tre basi e poi andare a spasso

Che fosse ‘na viola, dio el volesse!
E in piazza l’ortolana me portasse:
vegnesse el me moroso, e el me crompasse
e sora el so capel el me metesse!

venerdì 24 maggio 2013

Wagner a Venezia

Dopo un primo soggiorno dal 1856 al 1859, Richard Wagner e la sua famiglia tornarono a Venezia nel 1882. Dapprima alloggiarono all'hotel Europa poi si trasferirono a Cà Vendramin-Calergi.
Il loro appartamento era all'ammezzato nell'ala affacciata sul giardino, era formato da 28 stanze, cucina e servizi; Wagner apprezzava soprattutto la grande sala per ricevere gli ospiti, la cui doppia finestra offriva una splendida vista sul Canal Grande.
Franz Liszt, che andò a trovare la figlia Cosima e il genero, soggiornò a Cà Vendramin-Calergi sul finire del 1882. Liszt e Wagner furono visti spesso seduti uno di fronte all'altro, davanti all'ampia finestra sul Canal Grande, mentre chiacchieravano. Fu proprio qui che Liszt scrisse la prima stesura de "La lugubre gondola" ispirata dai remi di una gondola che, racconta gli "bastonavano il cervello".
Ma a Wagner non sarà concesso di godere a lungo della bella casa veneziana. Egli infatti morirà, nel suo studio, il 13 febbraio 1883, a causa di una paralisi cardiaca.
Le sue spoglie furono trasportate via gondola alla stazione ferroviaria e da lì in treno fino in Baviera. D'Annunzio descrisse il trasporto della salma di Wagner nel suo romanzo "Il fuoco" scrivendo "Il mondo pareva diminuito di valore", sempre D'Annunzio dettò le parole per la lapide posta sul muro esterno del palazzo, verso il Canal Grande. Il 19 aprile venne organizzato un concerto in suo onore nel giardino del palazzo, concerto al quale assistettero centinaia di barche ormeggiate in Canal Grande.
Spesso, durante i suoi numerosi soggiorni a Venezia, a Wagner capitava di assistere in Piazza San Marco a concerti tenuti dalle bande musicali militari austriache che suonavano sue opere. I veneziani ascoltavano volentieri, ma non applaudivano mai; non per mancata ammirazione verso Wagner ma per dispetto verso i militari austriaci.
La vigilia di Natale del 1882, per festeggiare il compleanno della moglie Cosima, Wagner diresse un concerto privato nelle sale Apollinee della Fenice. Fu suonata la Sinfonia in Do maggiore, opera giovanile, eseguita dagli allievi e dagli insegnanti del Liceo Benedetto Marcello (la bacchetta è stata gelosamente conservata). Liszt era presente, e su richiesta di Wagner, suonò al pianoforte un'aria di Rossini.

lunedì 18 marzo 2013

Chiesa e Ospedale di Santa Maria dei Derelitti

 All’inizio questa istituzione era piuttosto modesta, poi all’ospedale venne affiancato un ricovero per orfani: ai ragazzi si insegnava un mestiere e alle ragazze si insegnava musica; ma quello che era un intento solo educativo divenne presto fonte di notevoli entrate economiche, la gente faceva la fila per venire a ascoltare le voci soave delle fanciulle! Fu così che tra gli incassi della scuola di musica e il lascito testamentario di Bartolomeo Carnioni fu possibile ampliare l’ospedale e far costruire la facciata - realizzata dal Longhena - divisa in tre parti: quella inferiore in stile ionico, con mascheroni e festoni di frutta (la scultura sopra l’ingresso rappresenta la Madonna addolorata, un accenno al tema della sofferenza dei malati ospiti dell’ospedale annesso), la fascia centrale presenta dei telamoni con la Pecten Pilgrimea (cioè la conchiglia dei pellegrini) uno porta una borraccia ed un altro un rosario (allusioni alla funzione assistenziale e caritatevole dell’ospedale), nella nicchia centrale: busto di Bartolomeo Carnioni (ricco mercante che possedeva un negozio alle Mercerie e che alla morte, essendo senza eredi, lasciò tutto a questo Ospedale; egli aveva un negozio con insegna allo struzzo, animale che compare ai suo lati; le penne dello struzzo erano simboli di equità e giustizia per il fatto che hanno tutte la stessa lunghezza), la terza parte è l’attico, cioè quell’elemento architettonico continuo che si poneva attorno al tetto per nasconderlo, elemento usato per la prima volta appunto in “Attica” una regione della Grecia.
L'ospizio vero e proprio è un edificio a tre piani, addossato alla chiesa, e vi erano ospitate un centinaio di giovani. La corte interna, anch'essa opera del Longhena, detta "Corte delle quattro stagioni" presenta una vera da pozzo e alcune statue che ricordano lo stile delle ville venete lungo il Brenta. Nel 1770 i gestori dell'Ospedaletto decidono di trasformare la cucina in una prestigiosa sala da musica, che fu decorata da Jacopo Guarana e Agostino Mengozzi. Tutti gli affreschi sono naturalmente a tema musicale, il più notevole è senz'altro quello in fondo alla sala, titolato "Il concerto delle putte intorno ad Apollo". La sala della musica conobbe però una vita breve in quanto nel 1797, anche l'istituzione dell'Ospedaletto, così come di tutti gli altri ospedali, venne soppressa da Napoleone.

domenica 11 novembre 2012

Il Teatro di San Cassiano

Il Teatro Vecchio di San Cassian venne realizzato da Alvise Michiel nel 1580. Francesco Sansovinon afferma che era di forma ellittica, in legno, e ci operava la Compagnia dei Gelosi.
Era situato all'interno di una piccola corte, dietro al campanile dell'omonima chiesa, ma alla fine del secolo risulta già chiuso. Poco dopo nacque il Teatro Nuovo di San Cassian, gestito da Ettore Tron, che nella denuncia delle tasse scrive: "Un luoco da recitar del quale al presente non si cava niente". Era situato dove ora si trova il giardino di Palazzo Albrizzi, alle Carampane.
F. Sansovino lo descrive di forma rotonda, con gradinate per gli spettatori e la compagnia che vi recitava si chiamava "dei Confidenti". Nel 1629 un incendio lo distrusse completamente; la ricostruzione fu molto lenta a causa della peste del 1630; fu riaperto solo nel 1636 con un dramma musicale; la struttura non era più in legno ma in pietra, a ferro di cavallo con cinque ordini di palchi. Furono rappresentate opere di Francesco Cavalli e anche un'opera di Claudio Monteverdi.
Interessanti e curiosi erano alcuni comportamenti del pubblico a teatro.
Al comparire dell'attrice preferita, oltre alle grida di gioia si declamavano poesie in sua lode e dai palchi si lanciavano fiori, dolci e colombe. In una serata in onore della ballerina Grisellini, La Farinella, furono lanciati in platea pernici, anatre e fagiani, e la rappresentazione si trasformò in una battuta di caccia!
Il Teatro inoltre risultava utile per esercitarsi al tiro al bersaglio: infatti il pubblico dai palchi lanciava mozziconi di candela sulla genta in platea!

domenica 26 agosto 2012

Benedetto Marcello musicista veneziano

Benedetto Marcello nacque il 24 giugno 1686 nel Palazzo adiacente al giardino di Ca' Vendramin Calergi. Il padre Agostino era senatore e si dilettava a suonare il violino, la madre, Paolina Cappello, era poetessa.
Come molti dei patrizi veneziani divenne magistrato, ma per passione personale e, si dice, per rivalità col fratello maggiore, si dedicò allo studio delle lettere e della musica. Fu proprio in quest'ultimo campo che eccelse maggiormente e si guadagnò un posto nella storia di Venezia. 
Nel 1720 scrisse "Il teatro alla moda" dove metteva in ridicolo il mondo dell'opera, dal poeta al compositore, dall'impresario alle cantanti, dai ballerini alle comparse. Non venne risparmiato nemmeno il giovane compositore Antonio Vivaldi per la sua presunta relazione con l'allieva Anna Giraud.
Marcello frequentava spesso il Ghetto per ascoltare e trascrivere i canti liturgici ebraici, sui quali basò il suo più famoso ciclo di composizioni: L'estro poetico armonico.
Nel 1728 sposò la giovane allieva Rosanna Scalfi, una popolana dalla voce melodiosa. Il matrimonio non fu ben visto dalla famiglia e così lui continuò a vivere a Palazzo e lei presso la madre...
Il 16 agosto di quello stesso anno gli accadde uno strano fatto: stava ascoltando messa ai Santi Apostoli quando una lastra tombale si ruppe proprio sotto i suoi piedi e si ritrovò dentro la fossa. Balzò fuori immediatamente, ma quello che poteva sembrare un banale episodio fu vissuto da Benedetto come un funesto presagio; cadde in crisi profonda e mutò stile di vita e umore. Questo comunque non impedì la creazione di opere che lo resero celebre e apprezzato.
A lui è dedicato il Conservatorio di Venezia sito in Palazzo Pisani.
Il termine "conservatorio" è nato proprio a Venezia, infatti i numerosi istituti sorti in città come i Mendicanti, l'Ospedaletto e la Pietà miravano, attraverso l'insegnamento della musica, a "conservare" i giovani onesti.

venerdì 13 luglio 2012

I Gabrieli musicisti veneziani

Vengono chiamati semplicemente i Gabrieli. Si tratta invero dello zio Andrea, organista della cappella di San Marco dal 1564 fino alla sua morte nel 1586, quando gli successe Giovanni, suo nipote e allievo. Quest'ultimo in particolare evolve la tradizione di Willaert (predecessore dello zio) verso uno stile più moderno che lascia spazio all'improvvisazione personale dei musicisti e dei cantori. I Gabrieli avranno un successo clamoroso in Germania dove esercitano una profonda influenza sui musicisti a venire.
Nel 1585 a Vicenza viene inaugurato il celebre Teatro Olimpico, opera di Palladio, con l'esecuzione di Edipo tiranno scritto a quattro mani da Andrea e Giovanni Gabrieli.
Giovanni era nato nel 1554 e a soli trent'anni fu nominato organista di San Marco e poco dopo anche della Scuola Grande di San Rocco. Frequentò molte corti straniere: soggiornò quattro anni presso la corte di Baviera, poi presso quella dell'Arciduca Ferdinando, dei Gonzaga a Mantova e degli Estensi a Ferrara.
Morì il 12 agosto 1612 e venne sepolto nella Chiesa di Santo Stefano davanti al primo altare a sinistra. Resterà una figura chiave nella storia della musica di Venezia.
Ascoltando il Magnificat di Giovanni Gabrieli (33 voci, 7 organi e 12 strumenti a fiato) sembra quasi di vedere le navi della Serenissima durante la battaglia di Lepanto, le vele delle galere che schioccano nel vento, le carene delle navi che si urtano e le sciabole che fendono teste.

martedì 29 maggio 2012

Mercerie: le botteghe di Venezia

Le Mercerie a Venezia occupano quell'area strategicamente posta tra il centro politico-religioso di San Marco e quello commerciale-mercantile di Rialto. Per la loro importanza, già nel Duecento erano pavimentate in cotto.
Lungo le Mercerie di San Salvador avevano bottega i principali editori musicali e liutai:  i Gardano all'insegna "del Leone e dell'Orso", il liutaio Sigismondo Mahler, i Tieffenbrucker all'insegna "dell'Aquila nera", Francesco Bonafin, costruttore di clavicembali, Giorgio Sellas all'insegna "alla Stella" famoso per le sue chitarre, Luigi Hoffer costruttore di fortepiani.
La vita lungo le Mercerie fu sempre molto attiva: su di esse affacciavano numerosi negozi e costantemente si svolgeva un andirivieni di prodotti d'ogni tipo, da cui il detto "far marsaria" per indicare un trasloco.
La Merceria San Salvador prende il nome dall'omonima chiesa posta all'inizio della strada, verso il Canal Grande, la cui facciata principale volge verso il campo, mentre l'ingresso laterale si trova lungo la calle, tramite un sotoportego che attraversa il blocco edilizio di proprietà del Capitolo della Chiesa. Questo giustifica l'altezza delle case in questa zona: più erano numerosi gli appartamenti e maggiori erano le entrate per il clero! Gli stessi monaci di San Salvador scrissero nel 1507: "da queste case trazemo non mediocre utilità".
Poco più avanti prospetta la Calle degli Stagneri. Gli stagneri erano artigiani che lavoravano lo stagno con una tale abilità da farlo sembrare argento. Nacque il detto "xè passà per la cale degli stagneri", usato quando si dubitava dell'autenticità di un oggetto prezioso.
Lungo le Mercerie del Capitello si trova invece la Calle de le Balote. Qui esisteva la fabbrica delle speciali palline destinate alle votazioni delle magistrature veneziane e alla elezione del doge. Inizialmente fabbricate in cera e poi in tela di lino pressata, queste "balote" sono all'origine del termine "ballottaggio" usato ancora oggi per le votazioni.

domenica 13 maggio 2012

Il Teatro della Cavallerizza

Dietro le absidi delle Chiesa di San Zanipolo si estende la Calle Torelli detta della Cavallerizza.
Nel 1640 in questo spazio fu costruito un teatro tutto in legno su disegno di Jacopo Torelli, autore anche delle macchine sceniche. Il teatro fu inaugurato per il Carnevale del 1641 con "La finta pazza" di Giulio Strozzi, su musica di Francesco Sacrati, rappresentata ben dodici volte in sole diciassette sere; seguirono, tra le altre, il "Bellerofonte" di Sacrati e la "Deidamia" di Francesco Cavalli.
Nonostante il successo il teatro fu demolito nel 1647 e al suo posto fu costruito un maneggio, chiamato "La Cavallerizza". Cristoforo Ivanovich, un canonico che visse a Venezia a fine Seicento, ce ne ha lasciato un'interessante descrizione: "In essa c'erano più di settanta cavalli, un maestro per insegnare a cavalcare, stipendiato dai notabili responsabili e inoltre si allestivano balletti equestri, giostre e spettacoli musicali".
Agli inizi del Settecento, ogni giovedì, erano eseguiti i "Salmi" di Benedetto Marcello, che duravano più di quattro ore e lo stesso autore accompagnava i cantanti al clavicembalo.
Per i numerosi spettacoli ivi allestiti, la Cavallerizza era considerata alla stregua di un teatro, operativo fino al 1735, quando fu chiuso e trasformato in saponificio. Il teatro fu poi riaperto nel 1750 e rimase attivo fino alla caduta della Repubblica.
In fondo alla Cavallerizza c'era la Calle della Gorna, oggi inglobata nella struttura dell'Ospedale Civile, un tempo direttamente collegata alle Fondamenta Nuove. In questa calle si trovava l'appartamento occupato da Giacomo Casanova dal marzo al 25 luglio 1755, giorno del suo arresto. L'immobile apparteneva ad una vedova con due figlie e la maggiore di esse, diciottenne, era in cura da lungo tempo dal medico Righellini per una strana forma di apatia accompagnata da gran debolezza. Il medico, parlando con Casanova, suggerì che la vera medicina per guarirla sarebba stata un buon amatore... e Giacomo la guarì perfettamente!

martedì 21 febbraio 2012

Palazzo Foscarini Giovanelli

Accanto all'antica sede della Scuola dei Tiraoro e Battioro (a San Stae), scorre il rio Mocenigo, e al di là del rio sorge il Palazzo Foscarini Giovanelli, affacciato sul Canal Grande.
L'edificio venne realizzato a metà del Cinquecento per volere dalla famiglia Coccina, commercianti in gioielli. Nel 1581 fu venduto a Luca Antonio Giunta, di origini fiorentine, la cui famiglia esercitava l'arte della stampa a Venezia dal 1482. Nel 1625 Lucrezia e Bianca Giunta sposarono i fratelli Nicolò e Renier Foscarini. Da allora il palazzo fu abitato da quel ramo della  famiglia Foscarini, fino al 1755, quando il palazzo venne affittato ala famiglia Giovanelli, di origine bergamasca.
Nel 1771 i Giovanelli vi ospitarono Leopold Mozart e suo figlio Wolfgang in visita in città. In questa splendida dimora abitò anche il re di Danimarca, Federico Cristiano IV.
Il palazzo aveva le pareti della corte interna affrescate dallo Zelotti con rappresentazioni di figure nude e di suonatori affacciati a finte finestre intervallate da finestre vere.
La famiglia Foscarini è presente nei documenti veneziani fin dal XII secolo ed era originaria di Altino. Uno dei suoi membri più interessanti fu Marco, nato nel 1696. Uomo di vasta cultura, studiò all'Accademia di Bologna e quando tornò a Venezia si dedicò alla raccolta di volumi preziosi, anche ricorrendo a volte ad astuti sotterfugi pur di ottenere rari manoscritti.
La sua biblioteca divenne col tempo una delle più ricche in città, non solo per i numerosi volumi, ma anche per la ricercatezza ed eleganza della rilegatura, tutti i testi infatti erano rilegati in cuoio rosso con lo stemma dei Foscarini.
Purtroppo nell'Ottocento la biblioteca fu dispersa assieme alle fortune della casata. Lo stato austriaco s'appropriò di ben 497 codici, inviati alla Biblioteca Imperiale di Vienna, mentre i libri stampati furono venduti alla spicciolata.
Marco Foscarini, oltre a raccogliere libri e manoscritti, si dilettava con lo studio della poesia latina e italiana, egli stesso scrisse componimenti poetici. Quando Marco raggiunse l'età prestabilita, entrò nella carriera politica, raggiungendo i più alti vertici. Nel 1762 venne eletto doge, ma il suo dogado fu breve: egli infatti, appena eletto, si sentì male e la sua salute continuò a peggiorare.  Al suo letto furono convocati nove medici e quattro chirurghi che lo sottoposero alle cure più assurde: fu salassato cinque volte, gli furono imposti quaranta clisteri, innumerevoli frizioni e medicine per bocca, gli vennero estratti i calcoli alla vescica e asportate emorroidi, tutti interventi che gli procurarono febbri altissime, capogiri, dolori, difficoltà respiratorie e ovviamente... la morte!

martedì 14 febbraio 2012

La Chiesa di San Marcuola

La Chiesa di San Marcuola fu costruita tra il IX e il X secolo, nell'area anticamente denominata "Luprio", ed era titolata ai Santi Ermagora e Fortunato. Verso la seconda metà del Duecento, l'edificio religioso venne completamente distrutto da un incendio, e immediatamente ricostruito grazie all'intervento di alcune famiglie della zona, tra cui la famiglia Memmo.
Dalla pianta cinquecentesca del De Barbari si vede come la chiesa fosse in stile gotico, con il lato destro parallelo al Canal Grande, il lato sinistro prospettante sulla Fondamenta lungo il Rio della chiesa (oggi interrato), mentre la facciata dominava il Campiello, tuttora esistente, che fungeva da sagrato e dove sorgeva l'alta mole del campanile d'impostazione romanica con una cuspide ottagonale. Di esso rimane solo la base tra la chiesa e il vicino palazzo Memmo.
A fine Seicento l'architetto Antonio Gaspari presentò dei progetti per il rinnovo della chiesa, ma i lavori furono molto lenti e quando nel 1730 Gaspari morì, il nuovo edificio era appena abbozzato. L'opera fu continuata da Giorgio Massari, che completò l'edificio nel 1736, anche grazie al contributo statale generato dalla percentuale destinata alle opere pubbliche ricavata dalle entrate del gioco del lotto.
Solo la facciata sul Canal Grande risulta incompleta, come dimostrano i quattro plinti privi delle colonne corinzie previste e la grande superficie a mattoni con le scanalature e i fori che servivano per sostenere il rivestimento in pietra d'Istria. Interessante notare che la facciata in questione, seppur appaia come la facciata principale, risulta essere in realtà la facciata laterale, in quanto il corpo dell'edificio ha mantenuto l'orientamento originario, per cui entrando da quel lato l'altare principale si trova sulla destra. Questo perché, a differenza di quanto accadeva alle origini della storia veneziana, dal Cinquecento in poi si tende a considerare più importante l'affaccio sul Canal Grande, per aumentarne il prestigio.
L'interno della chiesa merita una visita non solo per le numerose opere pittoriche, tra cui due tele del Tintoretto, ma anche perché ospita la tomba di Johann Adolf Hasse e di sua moglie, la cantante Faustina Bordoni, allieva di Benedetto Marcello, della quale si può ammirare la bellezza in un quadro di Rosalba Carriera conservato a Ca' Rezzonico.
J.A.Hasse, compositore tedesco, divenne Maestro di Cappella agli Incurabili di Venezia nel 1727, contribuendo a scrivere pagine importanti della storia della musica a Venezia. Abitava proprio in Campo San Marcuola, dove morì il 16 dicembre 1783, forse per il dolore della morte della moglie Faustina avvenuta nel 1781.

(Fonte: M.C. Bizio)

lunedì 12 dicembre 2011

Musica a Venezia

Proviamo ad immaginare la sorpresa degli stranieri che arrivano a Venezia per la prima volta e scoprono che all'ora della messa e dei vespri le chiese risuonano di una musica travolgente di virtuosità, eseguita da ensemble formati unicamente da fanciulle, le quali non solo cantano come angeli, ma suonano anche il violino, il clavicembalo, il corno e il contrabbasso! Chiese piene di una folla di appassionati che hanno acquistato il loro posto nel tempio sacro, esattamente come fanno per l'opera durante la settimana.
La fama di queste fanciulle giunge in tutta Europa: Parigi, Londra, Berlino, Vienna, San Pietroburgo... Jean-Jacques Rousseau scrive che spesso tra il pubblico c'erano anche attori e cantanti di fama internazionale..
Queste misteriose giovani che vivono in una sorta di clausura, e il cui talento uguaglia quello delle dive più adulate delle scene dell'opera, sono in realtà orfane soccorse per strada al fine di evitar loro una vita tristemente destinata alla prostituzione, e alle quali, in seno agli Ospedali (a Venezia gli Ospedali erano anche ospizi e orfanotrofi) che le accolgono, viene insegnata musica e canto.
Contribuisce senz'altro al successo di queste fanciulle, il fatto che cantino sempre nascoste dietro alle grate dei barchi e delle tribune, alimentando quindi un senso di mistero e di fantasia sulla loro ipotetica bellezza pari solo alla loro bravura.
In ogni caso le cappelle musicali femminili degli Ospedali rappresentano molto più di una semplice curiosità, esse sono infatti per la Serenissima un vero e proprio simbolo, un simbolo mistico e politico, legato in modo indissolubile alla storia della città. I loro canti sono l'allegoria stessa di Venezia-Venere, della Venere uscita dalle acque che in Venezia si identifica con la Vergine Maria (non a caso la data leggendaria della fondazione della città viene fatta risalire al 25 marzo, giorno dell'Annunciazione). Era quindi con grande orgoglio che il governo veneziano invitava principi, imperatori e ambasciatori ad ascoltare i concerti di queste speciali fanciulle.
Pochissimi i fortunati ch'ebbero l'occasione di conoscerle personalmente, tra questi ricordiamo J.J. Rousseau che ebbe il privilegio di poter entrare presso l'Ospedale dei Mendicanti e conoscere le ragazze del coro... ma ne rimase un poco deluso:
"Entrando nel salotto che conteneva quelle divine beltà tanto desiderate, provai un fremito d'amore. Il signor Le Blond mi presentò, una dopo l'altra le celebri cantanti, di cui voce e nome era quanto mi era noto: "Venite Sofia"... era orribile,  "Venite Caterina" ... era guercia, "Venite Bettina"... il vaiolo l'aveva sfigurata.... Quasi nessuna era immune da una qualche notevole imperfezione. Quell'uomo rideva della mia crudele delusione. Pure, due o tre, mi parvero discrete. Ero sconfortato. Durante la merenda, le stuzzicammo, e esse si misero in allegria. La bruttezza non esclude la grazia, ne scoprii. Mi dicevo: "Non si canta così senz'anima, esse ne hanno". Alla fine il mio modo di vederle mutò a tal punto che uscii quasi innamorato di quei mostriciattoli" (J.J. Rousseau, "Confessioni").

Oggi in città esistono ancora delle tracce di questo passato musicale e grazie ai percorsi musicali de L'altra Venezia è possibile ripercorrerne la storia.


 

venerdì 18 novembre 2011

Breve riassunto della storia artistica a Venezia

Venezia tende ad essere in ritardo di circa mezzo secolo rispetto al resto dell'Europa nel passare da uno stile artistico all'altro.
Ecco una classificazione molto semplificata:
- Lo stile Bizantino (maggior monumento la Basilica di San Marco) predomina fino a tutto il Duecento; fatto comprensibile in una città fortemente legata a Costantinopoli. Il Romanico vi si affianca piuttosto timidamente.
- Nel Trecento si passa al Gotico (maggior monumento il Palazzo Ducale) che predomina per tutto il Quattrocento, con sviluppi particolarmente felici
- Il Cinquecento è il secolo del Rinascimento, le cui prime opere (la Chiesa dei Miracoli e la statua equestre di Colleoni), nonché quelle del maggior architetto, Mauro Codussi, hanno un vero carattere rinascimentale, ma rapidamente sopravviene il Manierismo delle opere di Sansovino e di Palladio. Egualmente ispirati al Manierismo i tre maggiori pittori del secolo: Tiziano, Tintoretto e Veronese.
- Venezia sembra lieta nel Seicento di ritrovare nel Barocco uno stile più conforme al proprio gusto del teatrale (Chiesa della Salute di Longhena), e poi indulgere nel Rococò del Settecento (massimo esponente: Tiepolo)
- Nei suoi ultimi decenni la Serenissima si specchia nei dipinti eleganti di Canaletto, Guardi e Longhi.
- Il Seicento fu anche il grande secolo della musica a Venezia, con i Gabrieli, Monteverdi, Albinoni, Vivaldi e Benedetto Marcello, mentre nel Settecento emerge il genio di Carlo Goldoni.
- Alla fine del Settecento viene completato il Teatro della Fenice. I teatri privati veneziani, fra i primi teatri coperti d'Europa, ebbero enorme successo anche nel secolo seguente. Maggior artista figurativo: Antonio Canova.

venerdì 28 gennaio 2011

L'altra Venezia: percorsi musicali

Il servizio de L'altra Venezia si arricchisce ancora e presenta: Storia della Musica a Venezia.
Si tratta di due percorsi musicali che raccontano la storia della musica a Venezia dal XVI al XX secolo. Le tracce dei teatri barocchi e degli ospedali musicali sono ancora poco conosciute, ecco quindi l'idea di realizzare degli itinerari specifici alla scoperta della faccia complementare alla pittura veneziana. Sì perché i viaggiatori europei che nel XVIII secolo giungono a Venezia scrivono resoconti dai quali traspare una città permeata e avvolta nella musica, quasi senza che si possano distinguere i suoni naturali dell'acqua che scorre nei canali e delle grida dei gabbiani, da quelli suonati dagli strumenti nelle chiese, nei palazzi e negli angoli delle strade.
Ai progenitori della musica veneziana si aggiungono nel tempo i grandi compositori stranieri che qui vengono a cercare ispirazione, e a volte anche a restarci, imprigionati dalla magia ammaliatrice della sua atmosfera sonora. Così, da crocevia delle merci, Venezia diventa una meta irrinunciabile per chiunque nutra passione e interesse per la musica, sia questa sacra o popolare.

Vedi anche scheda: Itinerario sulla Storia della Musica a Venezia

lunedì 20 dicembre 2010

Claudio Monteverdi, maestro di cappella a San Marco

Claudio Monteverdi nasce nel 1565 a Cremona e comincia la sua carriera di musicista al servizio del duca Gonzaga, alla corte di Mantova.
Resta vedovo nell'inverno 1607, durante la rappresentazione della sua prima opera, Orfeo, presso il teatro di corte. Dopo la morte del duca, Monteverdi si presenta al concorso per il posto di maestro di cappella a San Marco, vince e occupa quella carica fino alla morte, nel 1643.
Nella cappella musicale del Doge, Monteverdi assume la successione artistica di Willaert e dei Gabrieli, e trasforma la scrittura dei cori battenti, tipica del Rinascimento, in uno stile concertante, caratteristico dell'epoca barocca. La presenza di Monteverdi a San Marco corrisponde al periodo di maggior splendore, non solo per la qualità della musica, ma anche per la coesione della cappella, che Monteverdi dirige con maestria.
A Venezia intraprende una brillante carriera di compositore: lavora per i Palazzi, per le Accademie, per le Confraternite, pubblica innumerevoli madrigali e opere drammatiche. Ormai avanti con l'età partecipa all'avventura della nascita dell'opera, della quale è considerato uno dei fondatori.
Gli stili sacro e profano si avvicinano, sulla scia delle scene teatrali, il canto solista diventa sempre più virtuoso ed espressivo. Monteverdi afferma le proprie idee restituendo al senso e alla chiarezza del testo tutta la loro importanza. Il testo era infatti diventato incomprensibile nei madrigali del Rinascimento.
Nel 1632, Monteverdi prende i voti e si isola dal mondo. Il suo ritratto attribuito a Bernardo Strozzi ce lo presenta con l'abito talare, il volto emaciato, la barba elegantemente tagliata, e un libro di musica in mano.
Il Lamento di Arianna ("Lasciatemi morire", unica aria esistente della sua seconda opera rappresentata nel 1608 a Mantova) viene parodiato nel mottetto Il pianto della Madonna che chiude la raccolta. Dunque, alla fine dei suoi giorni, Monteverdi si identifica in questa aria che aveva composto trent'anni prima, per un'Arianna in lacrime, soltanto qualche mese dopo la morte di sua moglie. Venezia è esaltata nella sua femminilità, la sua fragilità e il suo candore, tramite questa Vergine commovente.
Monteverdi si spegne nel novembre 1643. Le sue spoglie riposano nella Cappella dei Milanesi alla Basilica dei Frari.

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(Fonte: S. Mamy)

giovedì 6 maggio 2010

Guido Alberto Fano

Guido Alberto Fano nasce a Padova il 18 maggio 1875. Inizia gli studi musicali con Vittorio Orefice (noto maestro di canto e direttore di coro) e intraprende poi quelli pianistici sotto la guida di Cesare Pollini. Nel 1894 Giuseppe Martucci lo vuole suo allievo di pianoforte e composizione a Bologna. Nel 1896 si reca in Germania e Austria per una tournée concertistica e per conoscere la vita musicale di quei paesi, grazie a una borsa di studio ministeriale per perfezionamento all'estero ottenuta "per singolari meriti di composizione".
Nel 1897 consegue il Diploma di Maestro Compositore a pieni voti con lode presso il Liceo musicale di Bologna. L'anno seguente vince il Primo premio nel Concorso indetto dalla Società del Quartetto di Milano con la Sonata per pianoforte e violoncello. Viene nominato Direttore dell'Accedamia "Pierluigi da Palestrina" di Bologna per lo studio e la diffusione dell'arte corale antica italiana.

Nel 1899 ottiene la nomina di insegnante di pianoforte al Liceo Musicale di Bologna, e nel 1900 il diploma di organizzatore dei concerti spirituali per la Mostra di Arte Sacra San Francesco di Bologna. Ottiene inoltre una Menzione d'onore al "Concorso Internazionale Rubinstein per compositori" di Vienna, con l'Andante e Allegro con fuoco per pianoforte o orchestra, la Sonata per pianoforte e violoncello, le Quattro Fantasie per pianoforte solo.
Nel 1905 è nominato Direttore del Regio Conservatorio di Musica di Parma a seguito di concorso per titoli, unico vincitore su trentasei concorrenti per giudizio unanime dei commissari Toscanini, D'Arienzo, Falchi, Gallignani, Zuelli.
Fra il 1905 e il 1912 forma, promuove e incoraggia istituzioni di concerti e di varia cultura musicale, esegue concerti come pianista solista e di musica da camera, dirige concerti sinfonici.
Nel 1911 rifiuta la nomina a insegnante e virtuoso di pianoforte al "College of Music" di Cincinnati Ohio (U.S.A.). Nel 1912 viene nominato Direttore del Regio Conservatorio "San Pietro a Majella" di Napoli.
Nel 1916 riceve la nomina a Direttore del Regio Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo. Nel 1922 ottiene la nomina a Professore di pianoforte principale al regio Conservatorio "G. Verdi" di Milano.
Dal 1938 è rimosso dall'insegnamento a causa delle leggi razziali e dal 1943 al 1945 è costretto a fuggire e rifugiarsi a Fossombrone e Assisi.
Alla fine della guerra riprende il suo posto di insegnamento che lascia definitivamente nel 1947, anno in cui viene collocato a riposo.Muore il 14 agosto 1961 a Tauriano di Spilimbergo (Udine).

La sede dell'Archivio Musicale Guido Alberto Fano è in Calle del Tagiapiera 4674, nel sestiere di Cannaregio, a un passo dalla fermata di Ca' D'Oro. In un'elegante palazzina, al primo piano c'è la casa-museo di chi fra la fine dell' Ottocento e la prima metà del Novecento fu uno dei più significativi musicisti italiani. All'ingresso fa bella mostra di sé il pianoforte Bosendorfer su cui era solito comporre, in salotto, oltre a una biblioteca che raccoglie fra l'altro edizioni cinquecentesche, a partiture e a registrazioni, spiccano i ritratti ad olio del Maestro e della moglie, gli album fotografici, le reliquie di una vita piena, ricca di avvenimenti, di gioie e di dolori: i trionfi musicali, le persecuzioni razziali, gli esili, le incomprensioni...
Anima della neonata associazione è Vitale Fano, nipote di Guido Alberto e figlio di Fabio Fano: una dinastia di musicisti e di musicologhi, la sua, che lungo tutto il Novecento ha visto il nome dei Fano dividersi fra i conservatori di Venezia, Napoli, Palermo, Bologna, Milano, Parma.