Costruita su scampoli di terre, isolata dalle acque della laguna, senza poter coltivare grano e frumento, né "cosa alcuna al viver degli uomini", Venezia ha malgrado tutto detenuto per secoli una posizione primaria nell'arte della gastronomia.
Facendo di necessità virtù, i veneziani diventano presto abili mercanti, per procurarsi quei beni primari che in Laguna non c'erano, ma quella che inizialmente doveva essere una semplice fonte di sussistenza si trasforma presto in una fonte di guadagno, in quanto si comincia ad importare da mercati lontani non solo grano e frumento ma anche spezie, zucchero ed altre merci culinarie sconosciute in Europa.
In anticipo di diversi secoli Venezia intuisce presto la potenzialità di queste merci e inventa letteralmente il marketing, capendo che per poter vendere bene un prodotto bisogna creare la domanda e non aspettare che questa si formi da sola. Ecco quindi che Venezia stessa "inventa" il lusso delle spezie. Ma non solo, sempre in forte anticipo sui tempi, inventa anche il packaging, immettendo sul mercato i famosi "sacchetti veneziani", cioè spezie miste già confezionate e pronte all'uso!
Erede diretta della tradizione bizantina e romana, la gastronomia lagunare è tra le prime a confrontarsi con le altre cucine del mondo: da quella musulmana a quella austroungarica, passando per quella spagnola e francese. Sono incontri che nascono dalla convivenza con le popolazioni islamiche sui mercati di Levante e dal confronto con le minoranze straniere presenti in città fin dai tempi più antichi.
Tra il Quattro e il Cinquecento nuovi e significativi prodotti vanno ad aggiungersi a questa ricchezza di base: dalle gelide acque dei mari del Nord arriva il baccalà, alias stoccafisso, un'autentica rivoluzione culinaria, in un'epoca in cui non esiste il frigorifero.
In una situazione già di per se privilegiata, il Rinascimento investe Venezia con tutta la sua energia innovatrice, e come poteva essere diversamente in una città che sa usare tutte le armi della seduzione, compresa quella del cibo, raffinato e lussuoso, lanciando messaggi di potenza politica a regali ospiti stranieri tramortendoli con fiumi di spezie, zucchero e foglie d'oro su ostriche?
Ma la vera grandezza di Venezia è stata quella di saper uscire dalle cucine e di arrivare alle biblioteche, che poi significa uscire dalle dimensioni dell'effimero per restare nei secoli. Caso unico in tutta la penisola, qui si sviluppa una grande editoria gastronomica con la pubblicazione di ricettari, traduzioni di libri di dietetica dall'arabo e dal greco, trattati di agricoltura e resoconti di viaggio che informano sulla scoperta di nuovi prodotti.
La fine del Cinquecento chiude l'epoca delle pietanze sotterrate da una montagna di spezie, e il vento di nuovi gusti moderni portati dai francesi giunge anche a Venezia. Il consumo del lusso prende altre strade, e per i mercanti veneziani non ha più senso riempire le stive delle navi di quelle spezie che hanno fatto la loro fortuna. Ma i patrizi non si perdono certo d'animo e si riciclano imboccando la via della terraferma, con le grandi bonifiche, gli investimenti agricoli, e la coltura di quelle primizie che rivoluzionano il territorio veneto nella forma che ancora oggi vediamo.
Tra osterie e finger food, tra cioccolate illuministiche e chef francesi si arriva al Settecento. Si spegne la Repubblica ma non la gastronomia, che si fa tentare dai gusti mitteleuropei importati dagli austriaci. Si stampano i primi ricettari borghesi ottocenteschi e la cucina si internazionalizza.
Nel Novecento, legata con un ponte di cemento e di ferro alla terraferma, Venezia perde la sua insularità. Il turista rimpiazza il viaggiatore, i bacari si trasformano in bar tutti uguali, il cicchetto troppo spesso lascia il posto a pizze e panini surgelati.
L'invasione del gusto globalizzato non cancella comunque la buona cucina veneziana, che rimane arroccata in pochi locali e nella dimensione intima della casa.
(fonte: C. Coco)
Nessun commento:
Posta un commento