Claudio Monteverdi nasce nel 1565 a Cremona e comincia la sua carriera di musicista al servizio del duca Gonzaga, alla corte di Mantova.
Resta vedovo nell'inverno 1607, durante la rappresentazione della sua prima opera, Orfeo, presso il teatro di corte. Dopo la morte del duca, Monteverdi si presenta al concorso per il posto di maestro di cappella a San Marco, vince e occupa quella carica fino alla morte, nel 1643.
Nella cappella musicale del Doge, Monteverdi assume la successione artistica di Willaert e dei Gabrieli, e trasforma la scrittura dei cori battenti, tipica del Rinascimento, in uno stile concertante, caratteristico dell'epoca barocca. La presenza di Monteverdi a San Marco corrisponde al periodo di maggior splendore, non solo per la qualità della musica, ma anche per la coesione della cappella, che Monteverdi dirige con maestria.
A Venezia intraprende una brillante carriera di compositore: lavora per i Palazzi, per le Accademie, per le Confraternite, pubblica innumerevoli madrigali e opere drammatiche. Ormai avanti con l'età partecipa all'avventura della nascita dell'opera, della quale è considerato uno dei fondatori.
Gli stili sacro e profano si avvicinano, sulla scia delle scene teatrali, il canto solista diventa sempre più virtuoso ed espressivo. Monteverdi afferma le proprie idee restituendo al senso e alla chiarezza del testo tutta la loro importanza. Il testo era infatti diventato incomprensibile nei madrigali del Rinascimento.
Nel 1632, Monteverdi prende i voti e si isola dal mondo. Il suo ritratto attribuito a Bernardo Strozzi ce lo presenta con l'abito talare, il volto emaciato, la barba elegantemente tagliata, e un libro di musica in mano.
Il Lamento di Arianna ("Lasciatemi morire", unica aria esistente della sua seconda opera rappresentata nel 1608 a Mantova) viene parodiato nel mottetto Il pianto della Madonna che chiude la raccolta. Dunque, alla fine dei suoi giorni, Monteverdi si identifica in questa aria che aveva composto trent'anni prima, per un'Arianna in lacrime, soltanto qualche mese dopo la morte di sua moglie. Venezia è esaltata nella sua femminilità, la sua fragilità e il suo candore, tramite questa Vergine commovente.
Monteverdi si spegne nel novembre 1643. Le sue spoglie riposano nella Cappella dei Milanesi alla Basilica dei Frari.
English version
Version française
(Fonte: S. Mamy)
lunedì 20 dicembre 2010
mercoledì 15 dicembre 2010
Come si salvò la famiglia Giustinian
La nobile famiglia Giustinian corse il serio pericolo di estinguersi nel 1171, quando tutti i maschi della casata perirono nella guerra contro l'imperatore bizantino Manuele Comneno. Questi infatti aveva fatto arrestare i veneziani che si trovavano nel suo impero, circa diecimila in quel periodo, confiscando tutti i loro beni e facendone uccidere a centinaia.
Il doge Vitale Michiel II, sull'onda dell'indignazione generale, organizzò una spedizione capitanata da lui stesso. Attaccò diversi porti greci, e stava puntando su Costantinopoli quando un'epidemia di peste colpì le sue navi, costringendolo a rientrare a Venezia. Poco dopo il suo rientro venne assassinato, ma prima di morire concesse la mano della figlia Anna all'unico Giustinian superstite, Nicolò, che però era monaco a San Nicolò del Lido. Al giovane frate, papa Alessandro III concesse una speciale dispensa che permise il matrimonio.
Dall'unione nacquero nove figli, sei maschi e tre femmine. Fatto il proprio dovere, Nicolò Giustinian ritornò in convento, e Anna Michiel si fece monaca benedettina.
Così la nobile famiglia veneziana fu salva
English version
Version française
Il doge Vitale Michiel II, sull'onda dell'indignazione generale, organizzò una spedizione capitanata da lui stesso. Attaccò diversi porti greci, e stava puntando su Costantinopoli quando un'epidemia di peste colpì le sue navi, costringendolo a rientrare a Venezia. Poco dopo il suo rientro venne assassinato, ma prima di morire concesse la mano della figlia Anna all'unico Giustinian superstite, Nicolò, che però era monaco a San Nicolò del Lido. Al giovane frate, papa Alessandro III concesse una speciale dispensa che permise il matrimonio.
Dall'unione nacquero nove figli, sei maschi e tre femmine. Fatto il proprio dovere, Nicolò Giustinian ritornò in convento, e Anna Michiel si fece monaca benedettina.
Così la nobile famiglia veneziana fu salva
English version
Version française
Etichette:
convento,
costantinopoli,
curiosità,
peste
domenica 12 dicembre 2010
Carlo e Gasparo Gozzi
I fratelli Carlo e Gasparo Gozzi sono due figure poco conosciute ma importanti nella storia di Venezia.
Carlo Gozzi (Venezia, 1720 – Venezia, 1806), drammaturgo e scrittore, è da considerarsi il contraltare di Goldoni: realista il Goldoni, fiabesco il Gozzi, goldoniani sono quelli che fanno costruire il ponte che lega Venezia alla terraferma, gozziani quelli che difendono l’immobilità di Venezia. Ogni problema veneziano può essere analizzato da questi due punti di vista, del resto le Fiabe teatrali di Carlo Gozzi, risulteranno gradite ai romantici del Nord Europa che le accoglieranno come chiave di interpretazione di Venezia. Tutta la letteratura fantastica su Venezia nasce da Gozzi, ma Gozzi purtroppo è stato dimenticato e, ad esempio, nessuno si ricorda che la Turandot, poi musicata da Puccini, l’ha scritta lui. Nei suoi ultimi anni, Gozzi iniziò a produrre tragedie in cui introdusse ampiamente elementi comici, le sue opere risultarono però troppo innovative per l'epoca. Nel 1797 pubblicò la propria autobiografia col titolo: "Memorie inutili".
Gasparo Gozzi (Venezia, 1713 – Padova, 1786), giornalista e intellettuale, fu uno dei fondatori, insieme al fratello Carlo, dell’Accademia dei Granelleschi (che si proponeva di dar la caccia al mal gusto e di preservare la lingua italiana). Nel 1750 esce la sua prima opera letteraria: Lettere diverse, dove lo scrittore manifesta doti di umorista e moralista leggero e penetrante, che saranno le costanti di tutta la sua opera. Al contrario del fratello Carlo, più legato alle antiche consuetudini nobiliari, Gasparo non rifiutò di cimentare la sua abilità di letterato in un'attività prettamente commerciale quale il giornalismo. fondò infatti la Gazzetta Veneta. All’inizio la sua redazione era ai tavolini del Caffè Florian, a sua detta il posto migliore in assoluto per avere notizie di prima mano, a tal proposito egli soleva ripetere che il pettegolezzo, che per Goldoni è una piaga sociale, è in realtà un deterrente contro l’indifferenza!
English version
Version française
Carlo Gozzi (Venezia, 1720 – Venezia, 1806), drammaturgo e scrittore, è da considerarsi il contraltare di Goldoni: realista il Goldoni, fiabesco il Gozzi, goldoniani sono quelli che fanno costruire il ponte che lega Venezia alla terraferma, gozziani quelli che difendono l’immobilità di Venezia. Ogni problema veneziano può essere analizzato da questi due punti di vista, del resto le Fiabe teatrali di Carlo Gozzi, risulteranno gradite ai romantici del Nord Europa che le accoglieranno come chiave di interpretazione di Venezia. Tutta la letteratura fantastica su Venezia nasce da Gozzi, ma Gozzi purtroppo è stato dimenticato e, ad esempio, nessuno si ricorda che la Turandot, poi musicata da Puccini, l’ha scritta lui. Nei suoi ultimi anni, Gozzi iniziò a produrre tragedie in cui introdusse ampiamente elementi comici, le sue opere risultarono però troppo innovative per l'epoca. Nel 1797 pubblicò la propria autobiografia col titolo: "Memorie inutili".
Gasparo Gozzi (Venezia, 1713 – Padova, 1786), giornalista e intellettuale, fu uno dei fondatori, insieme al fratello Carlo, dell’Accademia dei Granelleschi (che si proponeva di dar la caccia al mal gusto e di preservare la lingua italiana). Nel 1750 esce la sua prima opera letteraria: Lettere diverse, dove lo scrittore manifesta doti di umorista e moralista leggero e penetrante, che saranno le costanti di tutta la sua opera. Al contrario del fratello Carlo, più legato alle antiche consuetudini nobiliari, Gasparo non rifiutò di cimentare la sua abilità di letterato in un'attività prettamente commerciale quale il giornalismo. fondò infatti la Gazzetta Veneta. All’inizio la sua redazione era ai tavolini del Caffè Florian, a sua detta il posto migliore in assoluto per avere notizie di prima mano, a tal proposito egli soleva ripetere che il pettegolezzo, che per Goldoni è una piaga sociale, è in realtà un deterrente contro l’indifferenza!
English version
Version française
giovedì 9 dicembre 2010
Lazzaretti
L'ubicazione particolare di Venezia, soglia d'Oriente per i commerci e luogo di transito per i pellegrinaggi in Terrasanta, pose presto il problema di arginare ricorrenti pestilenze portate dalle navi che qui si fermavano.
Dal più antico ricordo di contagio di peste del 954 se ne contarono successivamente ben 62.
Alla metà del Trecento, la Repubblica decide di eleggere tre Savi incaricati di occuparsi di questo problema. Si arrivò così al decreto del Senato del 28 agosto 1423 col quale si stabiliva l'utilizzo dell'Isola di Santa Maria di Nazareth (di fronte al Lido) come luogo di ricovero dei malati. Nacque così il primo lazzaretto del mondo: da "Nazareth" infatti viene, attraverso alcune modificazioni, la parola "Lazzareto".
Si era capito che bisognava provvedere all'isolamento e alla quarantena per circoscrivere in qualche modo il morbo e salvare il salvabile. Non si poteva certo impedire la circolazione delle persone e delle merci (sarebbe stato il collasso dell'economia), ma almeno cautelarsi isolando le persone che giungevano da paesi a rischio e tenerle in osservazione per minimo 40 giorni (da cui la parola "quarantena").
Si pensò inoltre di lasciare in quarantena non solo le persone ma anche le merci e gli animali, i quali dovevano essere lasciati esposti all'aria e disinfettati con fumi speciali.
L'isola si rivelò presto troppo piccola, pertanto si decretò l'acquisizione dell'isola di "Vinea Murata", di fronte a Sant'Erasmo, come Lazzaretto Nuovo.
Durante la peste del 1575, nel Lazzaretto Nuovo trovarono ricovero circa 10.000 persone, e attorno all'isola, ormeggiarono vascelli e altri natanti per dar rifugio ad altre migliaia di sventurati. Dice il Sansovino che erano presenti: "non meno di 3000 legni, grandi e piccoli, i quali avevano sembianza d'armata che assediasse una città di mare".
English version
Version française
(Fonte: Fuga e Vianello)
Dal più antico ricordo di contagio di peste del 954 se ne contarono successivamente ben 62.
Alla metà del Trecento, la Repubblica decide di eleggere tre Savi incaricati di occuparsi di questo problema. Si arrivò così al decreto del Senato del 28 agosto 1423 col quale si stabiliva l'utilizzo dell'Isola di Santa Maria di Nazareth (di fronte al Lido) come luogo di ricovero dei malati. Nacque così il primo lazzaretto del mondo: da "Nazareth" infatti viene, attraverso alcune modificazioni, la parola "Lazzareto".
Si era capito che bisognava provvedere all'isolamento e alla quarantena per circoscrivere in qualche modo il morbo e salvare il salvabile. Non si poteva certo impedire la circolazione delle persone e delle merci (sarebbe stato il collasso dell'economia), ma almeno cautelarsi isolando le persone che giungevano da paesi a rischio e tenerle in osservazione per minimo 40 giorni (da cui la parola "quarantena").
Si pensò inoltre di lasciare in quarantena non solo le persone ma anche le merci e gli animali, i quali dovevano essere lasciati esposti all'aria e disinfettati con fumi speciali.
L'isola si rivelò presto troppo piccola, pertanto si decretò l'acquisizione dell'isola di "Vinea Murata", di fronte a Sant'Erasmo, come Lazzaretto Nuovo.
Durante la peste del 1575, nel Lazzaretto Nuovo trovarono ricovero circa 10.000 persone, e attorno all'isola, ormeggiarono vascelli e altri natanti per dar rifugio ad altre migliaia di sventurati. Dice il Sansovino che erano presenti: "non meno di 3000 legni, grandi e piccoli, i quali avevano sembianza d'armata che assediasse una città di mare".
English version
Version française
(Fonte: Fuga e Vianello)
mercoledì 1 dicembre 2010
Cibi da mar
Se prendiamo alla lettera le lamentele dei passeggeri delle navi veneziane, ci facciamo l'idea che le cose commestibili a bordo fossero ben poche, in realtà non si mangia così male, ma tutto dipende, come si direbbe oggi, dal "pacchetto" che si sceglie!
I pellegrini che nel Medioevo vanno in Terrasanta, se sono poveri, provvedono al vitto per proprio conto, gli altri si accordano con la formula "all inclusive", che comprende anche i pasti a bordo. I più ricchi mangiano alla tavola del capitano, di solito ben rifornita.
Il nobiluomo veneziano Alessandro Magno, imbarcatosi nel 1557 alla volta di Cipro, parla di tre tavole: tra la prima (quella del capitano) e la seconda (frequentata dall'equipaggio specializzato), non c'è molta differenza, si mangia egualmente bene, Nella terza tavola la qualità scende e, ad esempio, il vino è allungato con l'acqua, anche perché è difficile conservarlo a bordo. Il rituale delle tre tavole che rompe la monotonia del mare e offre occasioni di contatti sociali, colpisce il francese Carlier de Pinon, che ci lascia una descrizione vivissima del suo viaggio verso Levante su una nave Veneziana. Ma qual è la lista delle vivande descritta da Carlier de Pinon? Formaggi, carni e pesci salati, olio, vino e acqua di base, ma poi nei porti le navi si riforniscono anche di frutta, uova e verdure. E' diffusa comunque l'abitudine di tenere a bordo animali vivi: pollame, pecore e vitelli che vengono macellati all'occorrenza.
Anche se l'alimentazione da mar, risponde innanzitutto all'esigenza di consumare derrate a lunga conservazione, è innegabile che ci sia anche una certa attenzione verso la salubrità dei cibi. Prevenire disturbi fisici legati al consumo dei cibi è considerato fondamentale soprattutto per gli uomini dell'equipaggio che devono mantenersi in forze per condurre la nave a destinazione. Una malattia piuttosto diffusa è lo scorbuto e per combatterla sulle navi veneziane si consumano rametti carnosi e gonfi di succo salato di una pianta spontanea della laguna veneta: la salicornia. Ad alto contenuto di acido ascorbico, si può mangiare fresca in insalata, o bollita come i fagiolini, ma sottaceto è una vera prelibatezza.
L'altra derrata marittima di cui i veneziani vanno fieri è il panbiscotto, una galletta di alta qualità e lunga durata, confezionata con farina di grano e burro, ma di cui la ricetta completa era ed è tutt'oggi segreta. Durante degli scavi eseguiti sull'isola di Creta, a metà Ottocento, vennero ritrovate delle scorte di panbiscotto risalenti alla guerra con i Turchi nel Seicento, ed erano ancora commestibili!
English version
Version française
(Fonte: C.Coco)
I pellegrini che nel Medioevo vanno in Terrasanta, se sono poveri, provvedono al vitto per proprio conto, gli altri si accordano con la formula "all inclusive", che comprende anche i pasti a bordo. I più ricchi mangiano alla tavola del capitano, di solito ben rifornita.
Il nobiluomo veneziano Alessandro Magno, imbarcatosi nel 1557 alla volta di Cipro, parla di tre tavole: tra la prima (quella del capitano) e la seconda (frequentata dall'equipaggio specializzato), non c'è molta differenza, si mangia egualmente bene, Nella terza tavola la qualità scende e, ad esempio, il vino è allungato con l'acqua, anche perché è difficile conservarlo a bordo. Il rituale delle tre tavole che rompe la monotonia del mare e offre occasioni di contatti sociali, colpisce il francese Carlier de Pinon, che ci lascia una descrizione vivissima del suo viaggio verso Levante su una nave Veneziana. Ma qual è la lista delle vivande descritta da Carlier de Pinon? Formaggi, carni e pesci salati, olio, vino e acqua di base, ma poi nei porti le navi si riforniscono anche di frutta, uova e verdure. E' diffusa comunque l'abitudine di tenere a bordo animali vivi: pollame, pecore e vitelli che vengono macellati all'occorrenza.
Anche se l'alimentazione da mar, risponde innanzitutto all'esigenza di consumare derrate a lunga conservazione, è innegabile che ci sia anche una certa attenzione verso la salubrità dei cibi. Prevenire disturbi fisici legati al consumo dei cibi è considerato fondamentale soprattutto per gli uomini dell'equipaggio che devono mantenersi in forze per condurre la nave a destinazione. Una malattia piuttosto diffusa è lo scorbuto e per combatterla sulle navi veneziane si consumano rametti carnosi e gonfi di succo salato di una pianta spontanea della laguna veneta: la salicornia. Ad alto contenuto di acido ascorbico, si può mangiare fresca in insalata, o bollita come i fagiolini, ma sottaceto è una vera prelibatezza.
L'altra derrata marittima di cui i veneziani vanno fieri è il panbiscotto, una galletta di alta qualità e lunga durata, confezionata con farina di grano e burro, ma di cui la ricetta completa era ed è tutt'oggi segreta. Durante degli scavi eseguiti sull'isola di Creta, a metà Ottocento, vennero ritrovate delle scorte di panbiscotto risalenti alla guerra con i Turchi nel Seicento, ed erano ancora commestibili!
English version
Version française
(Fonte: C.Coco)
Iscriviti a:
Post (Atom)