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lunedì 21 febbraio 2011

Il corno ducale

Uno dei più noti simboli di Venezia è il cosiddetto "corno ducale", cioè quel curioso copricapo che  a partire dal IX secolo, tutti i dogi erano tenuti ad indossare. In realtà anche prima di allora i dogi indossavano un cappello come simbolo del loro incarico, ma era di forma completamente diversa.
A quei tempi era usanza che il doge si recasse una volta all'anno a rendere omaggio alle reliquie di San Pancrazio e di Santa Sabina, custoditi nella chiesa di San Zaccaria. Le due reliquie erano stato donate al monastero di San Zaccaria da Papa Benedetto III, quando questi, messo in fuga dal sultano di Babilonia, trovò rifugio tra queste mura.
Era questo un convento particolare, in quanto riservato ai soli patrizi, e per questa ragione il convento era spesso fatto oggetto di doni e lasciti sostanziosi, che permettevano alle monache di vivere in maniera decisamente agiata, e non priva di qualche diversivo, dal momento che ben poche erano lì per autentica vocazione.
Fu nell'occasione della visita del doge Pietro Tradonico nell'864 che la badessa Agostina Morosini gli fece dono di un bellissimo copricapo, dalla forma particolare, detto appunto "corno". Era interamente trapuntato di fili d'oro e adornato di 24 perle, un grosso rubino ed una croce formata da 28 smeraldi e 12 brillanti. Il cappello era talmente prezioso che venne soprannominato zoia (cioè "gioia" o "gioiello").
Il dono non era rivolto però al doge personalmente ma alla carica che rivestiva, di conseguenza il copricapo venne custodito nel Tesoro della Repubblica e utilizzato solo in occasioni ufficiali particolarmente importanti.

(Fonte: M. Brusegan)

mercoledì 15 dicembre 2010

Come si salvò la famiglia Giustinian

La nobile famiglia Giustinian corse il serio pericolo di estinguersi nel 1171, quando tutti i maschi della casata perirono nella guerra contro l'imperatore bizantino Manuele Comneno. Questi infatti aveva fatto arrestare i veneziani che si trovavano nel suo impero, circa diecimila in quel periodo, confiscando tutti i loro beni e facendone uccidere a centinaia.
Il doge Vitale Michiel II, sull'onda dell'indignazione generale, organizzò una spedizione capitanata da lui stesso. Attaccò diversi porti greci, e stava puntando su Costantinopoli quando un'epidemia di peste colpì le sue navi, costringendolo a rientrare a Venezia. Poco dopo il suo rientro venne assassinato, ma prima di morire concesse la mano della figlia Anna all'unico Giustinian superstite, Nicolò, che però era monaco a San Nicolò del Lido. Al giovane frate, papa Alessandro III  concesse una speciale dispensa che permise il matrimonio.
Dall'unione nacquero nove figli, sei maschi e tre femmine. Fatto il proprio dovere, Nicolò Giustinian ritornò in convento, e Anna Michiel si fece monaca benedettina.
Così la nobile famiglia veneziana fu salva

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giovedì 30 settembre 2010

Il convento di San Lorenzo

Un primo monastero di monache benedettine riservato al patriziato venne fondato nell’850 per iniziativa della potente famiglia Partecipazio, con il tempo il complesso accrebbe le sue ricchezze in maniera vertiginosa, già nel 1100 era proprietario di circa 200 immobili in città e vari appezzamenti in campagna, tutte rendite utili che si sommavano alle ricche doti portate delle novizie che provenivano tutte da benestanti famiglie nobili.
Nel tempo chiesa e monastero hanno subito numerosi lavori di restauro e modifiche, durante uno di questi lavori andarono purtroppo dispersi i resti di Marco Polo che qui era sepolto. San Lorenzo oltre ad essere uno dei due conventi riservati ai patrizi (l’altro è San Zaccaria) era anche uno dei cinque conventi doppi dove cioè vivevano sia frati che monache. E' chiaro che trattandosi di donne costrette alla vita conventuale dalle loro famiglie solo per accrescere il capitale dei figli maschi, queste non erano esattamente guidate dalla vocazione! E così per rivalsa esigevano distinzioni e privilegi, anzi, nei conventi, lontane dalla severità familiare, erano in un certo senso più libere e potevano abbandonarsi ad un ozio raffinato e libertino.
Ma non tutte accettavano supinamente il loro destino: una voce forte fu quella della monaca  Anna Tarabotti che all’inizio del 1600 scrisse un libretto titolato: “L’inferno monacale”, dove denunciava le autorità politiche e religiose di basso maschilismo, contestando i condizionamenti, le repressioni e le mortificazioni che le sue contemporanee, lei per prima, dovevano subire – ma fu una voce isolata, le costrizioni perdurarono e così i vizi ed i lussi delle monache. Da citare una nota dal diario del Granduca di Toscana Cosimo III, che venne qui in visita agli inizi del 1700, dove descrisse le monache in ”abito più da ninfe che da monache”.
Ma tutta questa libertà portava una seria preoccupazione: le gravidanze indesiderate – in tutta la città per questo v’erano diverse imprese che producevano contraccettivi, fabbricati con budella di animali, in dialetto erano chiamati "condoni", termine che qualcuno fa risalire ad un ipotetico medico inglese Condom di cui però non c’è alcuna certezza della sua esistenza, più probabilmente deriva dal latino “condere”="proteggere". Questo interesse al profilattico era dettato anche dal tentativo di difendersi dalla sifilide, malattia la cui prima epidemia esplose nel 1496 con la discesa di Carlo VIII di Francia alla conquista del Regno di Napoli (ed è per questo tra l’altro che la sifilide viene anche detta "mal francese", cosa curiosa è che in Francia invece la chiamano "mal napolitaine"). Tra i personaggi famosi colpiti dalla sifilide ricordiamo Casanova, Giorgio Baffo e Papa Giulio II!




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