"No se sa mai, un mal de note..."
("Non si sa mai, un male di notte...)
Intercalare ironico tipicamente veneziano. Lo si dice quando si voglia prendere per precauzione un qualche cosa che nulla abbia a che fare con i mali che possano capitare d'improvviso. Ad esempio, chi si portasse un libro per leggere prima di addormentarsi, potrebbe sentirsi dire da un amico: "No se sa mai, un mal de note...".
A proposito di notti e delle attività ad essa connesse, ci piace raccontare quel che successe a Giotto. Un amico del sommo pittore era andato a trovarlo nella sua casa ad aveva così avuto modo di osservarne i figli. E fu così che trovò il coraggio di chiedere a Giotto per quale motivo i suoi dipinti fossero tanto belli ed i suoi figli invece così brutti.
A tale domanda Giotto rispose in modo adeguato e pertinente, dicendo che tutto era così accaduto perché i dipinti li faceva di giorno ed invece i figli li aveva fatti di notte.
giovedì 27 settembre 2012
lunedì 17 settembre 2012
Morosini: palazzi, dogi, amanti e gatti
Palazzo Morosini fu portato in dote da Laura Priuli, vedova di Francesco Malipiero, quando sposò Pietro Morosini, rimasto vedovo di Maria Morosini.
La sontuosa dimora era composta da due edifici separati da un cortile interno; le facciate di terra e di acqua presentavano caratteri diversi e quella sul campo era affrescata da Antonio Aliense.
A fine Settecento, Gianantonio Selva aveva rimodernato l'intero edificio che raccoglieva armi, trofei, sculture e dipinti preziosi. Tra i suoi ospiti si ricorda Casanova, amico di Lorenzo II Morosini. Tra i due era nata una sincera amicizia e lo stesso Lorenzo invitava Casanova a frequentare il suo casin in Calle Casselleria, dove il Morosini incontrava l'amante, Paolina Stratico, sorella del suo professore!
I tesori di Palazzo Morosini furono dispersi nell'asta del 1894. Diverse opere si trovano oggi al Museo Correr e a Ca' Rezzonico; mentre l'affresco di G.B. Tiepolo "L'apoteosi del Peloponnesiaco" si trova a Milano, in Palazzo Isimbardi.
Naturalmente il personaggio più illustre della famiglia fu Francesco Morosini. Francesco veniva descritto come uomo di alta statura, carnagione chiara, occhi azzurri e capelli biondo rossicci, particolare comune a vari membri della famiglia.
Il futuro doge si fece valere nella guerra di Candia e nella famosa riconquista del Peloponneso (durante la quale fece bombardare il Partenone di Atene che i Turchi avevano trasformato in polveriera). L'elezione al dogado avvenne nell'aprile 1688, mentre Francesco era ancora impegnato nella campagna del Peloponneso. Solo alla conclusione dell'impresa tornò in città, dove venne accolto in modo trionfale l'11 gennaio 1690.
Morosini però è ricordato anche per alcune sue particolarità: era molto ambizioso, facile all'ira ma anche al perdono; non accavallava mai le gambe, considerandolo gesto poco dignitoso, mangiava con posate d'argento dorato, e amò a tal punto il suo gatto che alla sua morte lo fece imbalsamare!
La sontuosa dimora era composta da due edifici separati da un cortile interno; le facciate di terra e di acqua presentavano caratteri diversi e quella sul campo era affrescata da Antonio Aliense.
A fine Settecento, Gianantonio Selva aveva rimodernato l'intero edificio che raccoglieva armi, trofei, sculture e dipinti preziosi. Tra i suoi ospiti si ricorda Casanova, amico di Lorenzo II Morosini. Tra i due era nata una sincera amicizia e lo stesso Lorenzo invitava Casanova a frequentare il suo casin in Calle Casselleria, dove il Morosini incontrava l'amante, Paolina Stratico, sorella del suo professore!
I tesori di Palazzo Morosini furono dispersi nell'asta del 1894. Diverse opere si trovano oggi al Museo Correr e a Ca' Rezzonico; mentre l'affresco di G.B. Tiepolo "L'apoteosi del Peloponnesiaco" si trova a Milano, in Palazzo Isimbardi.
Naturalmente il personaggio più illustre della famiglia fu Francesco Morosini. Francesco veniva descritto come uomo di alta statura, carnagione chiara, occhi azzurri e capelli biondo rossicci, particolare comune a vari membri della famiglia.
Il futuro doge si fece valere nella guerra di Candia e nella famosa riconquista del Peloponneso (durante la quale fece bombardare il Partenone di Atene che i Turchi avevano trasformato in polveriera). L'elezione al dogado avvenne nell'aprile 1688, mentre Francesco era ancora impegnato nella campagna del Peloponneso. Solo alla conclusione dell'impresa tornò in città, dove venne accolto in modo trionfale l'11 gennaio 1690.
Morosini però è ricordato anche per alcune sue particolarità: era molto ambizioso, facile all'ira ma anche al perdono; non accavallava mai le gambe, considerandolo gesto poco dignitoso, mangiava con posate d'argento dorato, e amò a tal punto il suo gatto che alla sua morte lo fece imbalsamare!
lunedì 10 settembre 2012
Antichi mestieri veneziani: pistori e calegheri
La chiesa di Santo Stefano a Venezia ospitò per un certo periodo la Scuola dei pistori (fornai).
I fornai erano molto abili nel confezionare il pan-biscotto, elemento indispensabile sulle navi che trascorrevano in mare settimane quando non mesi. Così dal 1402 il Consiglio dei X permise loro di radunarsi prima nella Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo e poi a Santo Stefano, più vicino ad alcune loro proprietà immobiliari.
Un'altra confraternita si radunava in quella chiesa già dal 1383: i calegheri (calzolai).
Non era una vera e propria Scuola d'Arte, ma piuttosto di assistenza e devozione, riservata ai calzolai operanti in Venezia in caso di malattia, per questo motivo dipendeva direttamente dai Provveditori sopra gli Ospedali.
Nel 1482 un membro della confraternita, Enrico Corrado, donò alla Corporazione un edificio in Calle delle Botteghe (n.c. 3127-3133); qui ebbero la loro sede, contraddistinta da alcune calzature scolpite sui pilastri, e il loro ospedale. Una lapide ricorda un restauro secentesco. Molto eleganti i due bassorilievi con le raffigurazioni di calzature e il rilievo con l'Annunciazione sopra il portale d'ingresso.
Piccola curiosità: dal 1737 tutti i calegheri che risiedevano in città dovevano accorrere sul posto dove scoppiava un incendio. Muniti di spago, cuoio ed altri strumenti del mestiere erano a disposizione per riparare eventuali guasti alle manichette delle pompe dell'acqua.
I fornai erano molto abili nel confezionare il pan-biscotto, elemento indispensabile sulle navi che trascorrevano in mare settimane quando non mesi. Così dal 1402 il Consiglio dei X permise loro di radunarsi prima nella Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo e poi a Santo Stefano, più vicino ad alcune loro proprietà immobiliari.
Un'altra confraternita si radunava in quella chiesa già dal 1383: i calegheri (calzolai).
Non era una vera e propria Scuola d'Arte, ma piuttosto di assistenza e devozione, riservata ai calzolai operanti in Venezia in caso di malattia, per questo motivo dipendeva direttamente dai Provveditori sopra gli Ospedali.
Nel 1482 un membro della confraternita, Enrico Corrado, donò alla Corporazione un edificio in Calle delle Botteghe (n.c. 3127-3133); qui ebbero la loro sede, contraddistinta da alcune calzature scolpite sui pilastri, e il loro ospedale. Una lapide ricorda un restauro secentesco. Molto eleganti i due bassorilievi con le raffigurazioni di calzature e il rilievo con l'Annunciazione sopra il portale d'ingresso.
Piccola curiosità: dal 1737 tutti i calegheri che risiedevano in città dovevano accorrere sul posto dove scoppiava un incendio. Muniti di spago, cuoio ed altri strumenti del mestiere erano a disposizione per riparare eventuali guasti alle manichette delle pompe dell'acqua.
domenica 2 settembre 2012
“Mio caro, niente di quello che ho sentito di Venezia può evocare la sua magnifica e stupenda realtà. Le immagini più fantastiche delle Mille e una notte non sono nulla in confronto a Piazza San Marco e all’impressione che si prova una volta entrati nella chiesa. La reale magnificenza di Venezia va oltre la più stravagante fantasia di un sognatore. L’oppio non riuscirebbe a creare il sogno di un luogo simile, e nessuna suggestione potrebbe creare le sembianze altrettanto incantevoli. Tutto quello che avevo sentito, letto o fantasticato su Venezia è lontano mille miglia. Sai che quando le aspettative sono alte tendo a restare deluso, ma Venezia è superlativa, è oltre, è al di fuori dell’immaginazione umana. Non è mai stata considerata a sufficienza. Solo a vederla piangeresti”
(Charles Dickens, novembre 1844)
(Charles Dickens, novembre 1844)
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