"Scaleter" è il termine col quale si indicavano i pasticceri a Venezia. Il nome deriva da alcuni dolci che si producevano in occasioni di feste particolari o matrimoni: erano come cialde con impressi dei segni simili a gradini di una scala.
La prima sede dell'Arte fu nella chiesa di S. Fantin, dove ancora oggi è custodito il loro stendardo con l'immagine di San Fantino, loro protettore. Poi passarono ai Frari e a S. Paternian. Nel Settecento ebbero ospitalità presso la magistratura del Fontego della Farina, a Rialto. Alla fine della Repubblica erano presenti in città 59 botteghe.
Come ogni mestiere aveva delle regole severe: si doveva lavorare quattro anni come garzoni, poi altri sei come lavoranti e infine si poteva affrontare la prova per diventare maestri di bottega; se bocciati bisognava continuare per altri due anni come lavoranti e poi si poteva ritentare. Tra le varie prove si ricordano: "impastar et cucinar dodici savoiardi, dodici pani di Spagna, dodici bozzoladi del Zane, dodici bozzoladi caneladi col marzapan e dodici sfogiade tutti da due soldi l'uno con dodici storti e dodici scalette".
Il Levi segnala che nella loro mariegola (statuto) si trovano alcune disposizioni curiose: "che niun Scaleter ardisca di lavorare o far lavorare in pasta done, cavali, gali, oseli, calisoni ne cesteli".
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giovedì 6 dicembre 2012
L'Arte dei pasticceri veneziani
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venerdì 19 ottobre 2012
San Samuele e i terrazzi alla veneziana
La chiesa di San Samuele fu fondata verso l'anno Mille con il contributo della famiglia Boldù. Nel periodo gotico subì varie trasformazioni, finché nel Seicento venne profondamente ristrutturata.
La Chiesa mantenne il titolo di parrocchia fino al 1810, quando fu destinata ad oratorio della Chiesa di Santo Stefano.
Il campanile risale al XII secolo e conserva intatta la sua struttura originaria, con la cuspide a forma piramidale. L'edificio a ridosso del campanile era già presente nel Settecento ma fu ristrutturato e ampliato nel 1915 dal pittore Sezanne.
Come tutte le chiese cittadine, anche quella di San Samuele ospitò, in passato, molte Scuole d'Arte, tra queste ricordiamo la Scuola dei Terrazzeri. La Scuola dei fabbricatori di pavimenti era stata fondata nel 1370 ed era unita con quella dei Mureri (muratori), dai quali si divisero nel 1583.
I solai veneziani sono costituiti di travi d'abete o di larice, disposti paralleli lungo il lato più breve della stanza. Poi sopra i travi portanti si posizionano dei tavoloni d'abete che sorreggono la pavimentazione vera e propria, pavimentazione che deve sopportare, senza danno, le vibrazioni e le oscillazioni delle case veneziane, costruite su pali di legno.
Questo pavimento è il tipico "terrazzo alla veneziana". E' costituito da un sottofondo composto da un impasto di cotto macinato e calce di circa dieci, quindici centimetri di spessore, posto direttamente sopra le assi del solaio. Sopra il sottofondo è steso il pavimento vero e proprio, formato da pezzi di marmo colorato, a volte anche con lapislazzuli e madreperla, seminati a mano, uno ad uno, come in un mosaico.
La Chiesa mantenne il titolo di parrocchia fino al 1810, quando fu destinata ad oratorio della Chiesa di Santo Stefano.
Il campanile risale al XII secolo e conserva intatta la sua struttura originaria, con la cuspide a forma piramidale. L'edificio a ridosso del campanile era già presente nel Settecento ma fu ristrutturato e ampliato nel 1915 dal pittore Sezanne.
Come tutte le chiese cittadine, anche quella di San Samuele ospitò, in passato, molte Scuole d'Arte, tra queste ricordiamo la Scuola dei Terrazzeri. La Scuola dei fabbricatori di pavimenti era stata fondata nel 1370 ed era unita con quella dei Mureri (muratori), dai quali si divisero nel 1583.
I solai veneziani sono costituiti di travi d'abete o di larice, disposti paralleli lungo il lato più breve della stanza. Poi sopra i travi portanti si posizionano dei tavoloni d'abete che sorreggono la pavimentazione vera e propria, pavimentazione che deve sopportare, senza danno, le vibrazioni e le oscillazioni delle case veneziane, costruite su pali di legno.
Questo pavimento è il tipico "terrazzo alla veneziana". E' costituito da un sottofondo composto da un impasto di cotto macinato e calce di circa dieci, quindici centimetri di spessore, posto direttamente sopra le assi del solaio. Sopra il sottofondo è steso il pavimento vero e proprio, formato da pezzi di marmo colorato, a volte anche con lapislazzuli e madreperla, seminati a mano, uno ad uno, come in un mosaico.
lunedì 10 settembre 2012
Antichi mestieri veneziani: pistori e calegheri
La chiesa di Santo Stefano a Venezia ospitò per un certo periodo la Scuola dei pistori (fornai).
I fornai erano molto abili nel confezionare il pan-biscotto, elemento indispensabile sulle navi che trascorrevano in mare settimane quando non mesi. Così dal 1402 il Consiglio dei X permise loro di radunarsi prima nella Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo e poi a Santo Stefano, più vicino ad alcune loro proprietà immobiliari.
Un'altra confraternita si radunava in quella chiesa già dal 1383: i calegheri (calzolai).
Non era una vera e propria Scuola d'Arte, ma piuttosto di assistenza e devozione, riservata ai calzolai operanti in Venezia in caso di malattia, per questo motivo dipendeva direttamente dai Provveditori sopra gli Ospedali.
Nel 1482 un membro della confraternita, Enrico Corrado, donò alla Corporazione un edificio in Calle delle Botteghe (n.c. 3127-3133); qui ebbero la loro sede, contraddistinta da alcune calzature scolpite sui pilastri, e il loro ospedale. Una lapide ricorda un restauro secentesco. Molto eleganti i due bassorilievi con le raffigurazioni di calzature e il rilievo con l'Annunciazione sopra il portale d'ingresso.
Piccola curiosità: dal 1737 tutti i calegheri che risiedevano in città dovevano accorrere sul posto dove scoppiava un incendio. Muniti di spago, cuoio ed altri strumenti del mestiere erano a disposizione per riparare eventuali guasti alle manichette delle pompe dell'acqua.
I fornai erano molto abili nel confezionare il pan-biscotto, elemento indispensabile sulle navi che trascorrevano in mare settimane quando non mesi. Così dal 1402 il Consiglio dei X permise loro di radunarsi prima nella Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo e poi a Santo Stefano, più vicino ad alcune loro proprietà immobiliari.
Un'altra confraternita si radunava in quella chiesa già dal 1383: i calegheri (calzolai).
Non era una vera e propria Scuola d'Arte, ma piuttosto di assistenza e devozione, riservata ai calzolai operanti in Venezia in caso di malattia, per questo motivo dipendeva direttamente dai Provveditori sopra gli Ospedali.
Nel 1482 un membro della confraternita, Enrico Corrado, donò alla Corporazione un edificio in Calle delle Botteghe (n.c. 3127-3133); qui ebbero la loro sede, contraddistinta da alcune calzature scolpite sui pilastri, e il loro ospedale. Una lapide ricorda un restauro secentesco. Molto eleganti i due bassorilievi con le raffigurazioni di calzature e il rilievo con l'Annunciazione sopra il portale d'ingresso.
Piccola curiosità: dal 1737 tutti i calegheri che risiedevano in città dovevano accorrere sul posto dove scoppiava un incendio. Muniti di spago, cuoio ed altri strumenti del mestiere erano a disposizione per riparare eventuali guasti alle manichette delle pompe dell'acqua.
lunedì 11 giugno 2012
L'Arte dei pescatori a Venezia
In un luogo così strettamente connesso con l'elemento liquido, le confraternite dei pescatori sono, naturalmente, tra le prime a formarsi. I pescatori di Chioggia fondano una prima associazione di mestiere già nel 792, nell'836 è la volta dei nicolotti, raccolti intorno alla Chiesa di San Niccolò dei Mendicoli.
Il governo pratica una severa politica ambientale per la conservazione e la difesa del patrimonio ittico, e dà voce all'esperienza acquisita dai pescatori, tanto è vero che i più anziani partecipano alle sedute del Consiglio quando vengono discussi problemi relativi alla laguna.
Nel 1227 l'Arte viene divisa in pescatori e compravendipesce. I pescatori, al ritorno dal lavoro con le loro tipiche imbarcazioni lagunari come il bragozzo o la togna, confluiscono nel punto ufficialmente deputato per la vendita all'ingrosso: il palo di Rialto, dove i compravendi fanno la stima del pescato per qualità e prezzo. L'offerta viene sussurrata segretamente alla rechia (cioè, all'orecchio), e la vendita al pubblico si farà nelle due grandi pescherie di Rialto e di San Marco. La prima dove si trova tutt'oggi, la seconda nei pressi dell'edificio della Zecca.
Quello del compravendi pesce è un mestiere lucroso e ambito che viene concesso solo a chi ha compiuto almeno cinquant'anni, e dopo esser stato pescatore per almeno venti anni. Una legge del 1433 stabilisce inoltre che bisogna essere originari di Venezia e avervi domicilio.
Nelle due grandi pescherie, una magistratura apposita controlla che il pesce marcio venga buttato e che siano rispettate le misure minime per la rivendita. Trucchi vecchi e nuovi connotano i venditori disonesti che insanguinano le branchie del pesce per farlo apparire morto da poco, o lo guarniscono con troppe alghe per nasconderne la cattiva qualità. Pene molto severe colpiscono i truffatori, che qui infatti non hanno vita facile.
Durante la giornata di vendita il pesce viene mantenuto in tinozze di acqua salata.
Una volta venduto, il pesce viene conservato con diversi metodi: la carpionatura, la salamoia, la conservazione sottolio, l'essiccazione e l'affumicatura.
Fonti documentaristiche medievali registrano che nelle case "ad ogni finestra, in ogni corte, sono stese collane di pesce che insieme ai panni sbiancano al sole". Pratica, questa, utilizzata ancora fino agli inizi del Novecento. Il pesce essiccato veniva poi ammorbidito con olio e condito con erbette di laguna, sale e pepe.
Si praticava anche la salagione casalinga, in questo caso il pesce veniva poi cotto su una base di cipolla e aceto, metodo che è alla base delle ricette di pesce dette "al saor", che qualche osteria propone ancora oggi.
Il governo pratica una severa politica ambientale per la conservazione e la difesa del patrimonio ittico, e dà voce all'esperienza acquisita dai pescatori, tanto è vero che i più anziani partecipano alle sedute del Consiglio quando vengono discussi problemi relativi alla laguna.
Nel 1227 l'Arte viene divisa in pescatori e compravendipesce. I pescatori, al ritorno dal lavoro con le loro tipiche imbarcazioni lagunari come il bragozzo o la togna, confluiscono nel punto ufficialmente deputato per la vendita all'ingrosso: il palo di Rialto, dove i compravendi fanno la stima del pescato per qualità e prezzo. L'offerta viene sussurrata segretamente alla rechia (cioè, all'orecchio), e la vendita al pubblico si farà nelle due grandi pescherie di Rialto e di San Marco. La prima dove si trova tutt'oggi, la seconda nei pressi dell'edificio della Zecca.
Quello del compravendi pesce è un mestiere lucroso e ambito che viene concesso solo a chi ha compiuto almeno cinquant'anni, e dopo esser stato pescatore per almeno venti anni. Una legge del 1433 stabilisce inoltre che bisogna essere originari di Venezia e avervi domicilio.
Nelle due grandi pescherie, una magistratura apposita controlla che il pesce marcio venga buttato e che siano rispettate le misure minime per la rivendita. Trucchi vecchi e nuovi connotano i venditori disonesti che insanguinano le branchie del pesce per farlo apparire morto da poco, o lo guarniscono con troppe alghe per nasconderne la cattiva qualità. Pene molto severe colpiscono i truffatori, che qui infatti non hanno vita facile.
Durante la giornata di vendita il pesce viene mantenuto in tinozze di acqua salata.
Una volta venduto, il pesce viene conservato con diversi metodi: la carpionatura, la salamoia, la conservazione sottolio, l'essiccazione e l'affumicatura.
Fonti documentaristiche medievali registrano che nelle case "ad ogni finestra, in ogni corte, sono stese collane di pesce che insieme ai panni sbiancano al sole". Pratica, questa, utilizzata ancora fino agli inizi del Novecento. Il pesce essiccato veniva poi ammorbidito con olio e condito con erbette di laguna, sale e pepe.
Si praticava anche la salagione casalinga, in questo caso il pesce veniva poi cotto su una base di cipolla e aceto, metodo che è alla base delle ricette di pesce dette "al saor", che qualche osteria propone ancora oggi.
martedì 29 maggio 2012
Mercerie: le botteghe di Venezia
Le Mercerie a Venezia occupano quell'area strategicamente posta tra il centro politico-religioso di San Marco e quello commerciale-mercantile di Rialto. Per la loro importanza, già nel Duecento erano pavimentate in cotto.
Lungo le Mercerie di San Salvador avevano bottega i principali editori musicali e liutai: i Gardano all'insegna "del Leone e dell'Orso", il liutaio Sigismondo Mahler, i Tieffenbrucker all'insegna "dell'Aquila nera", Francesco Bonafin, costruttore di clavicembali, Giorgio Sellas all'insegna "alla Stella" famoso per le sue chitarre, Luigi Hoffer costruttore di fortepiani.
La vita lungo le Mercerie fu sempre molto attiva: su di esse affacciavano numerosi negozi e costantemente si svolgeva un andirivieni di prodotti d'ogni tipo, da cui il detto "far marsaria" per indicare un trasloco.
La Merceria San Salvador prende il nome dall'omonima chiesa posta all'inizio della strada, verso il Canal Grande, la cui facciata principale volge verso il campo, mentre l'ingresso laterale si trova lungo la calle, tramite un sotoportego che attraversa il blocco edilizio di proprietà del Capitolo della Chiesa. Questo giustifica l'altezza delle case in questa zona: più erano numerosi gli appartamenti e maggiori erano le entrate per il clero! Gli stessi monaci di San Salvador scrissero nel 1507: "da queste case trazemo non mediocre utilità".
Poco più avanti prospetta la Calle degli Stagneri. Gli stagneri erano artigiani che lavoravano lo stagno con una tale abilità da farlo sembrare argento. Nacque il detto "xè passà per la cale degli stagneri", usato quando si dubitava dell'autenticità di un oggetto prezioso.
Lungo le Mercerie del Capitello si trova invece la Calle de le Balote. Qui esisteva la fabbrica delle speciali palline destinate alle votazioni delle magistrature veneziane e alla elezione del doge. Inizialmente fabbricate in cera e poi in tela di lino pressata, queste "balote" sono all'origine del termine "ballottaggio" usato ancora oggi per le votazioni.
Lungo le Mercerie di San Salvador avevano bottega i principali editori musicali e liutai: i Gardano all'insegna "del Leone e dell'Orso", il liutaio Sigismondo Mahler, i Tieffenbrucker all'insegna "dell'Aquila nera", Francesco Bonafin, costruttore di clavicembali, Giorgio Sellas all'insegna "alla Stella" famoso per le sue chitarre, Luigi Hoffer costruttore di fortepiani.
La vita lungo le Mercerie fu sempre molto attiva: su di esse affacciavano numerosi negozi e costantemente si svolgeva un andirivieni di prodotti d'ogni tipo, da cui il detto "far marsaria" per indicare un trasloco.
La Merceria San Salvador prende il nome dall'omonima chiesa posta all'inizio della strada, verso il Canal Grande, la cui facciata principale volge verso il campo, mentre l'ingresso laterale si trova lungo la calle, tramite un sotoportego che attraversa il blocco edilizio di proprietà del Capitolo della Chiesa. Questo giustifica l'altezza delle case in questa zona: più erano numerosi gli appartamenti e maggiori erano le entrate per il clero! Gli stessi monaci di San Salvador scrissero nel 1507: "da queste case trazemo non mediocre utilità".
Poco più avanti prospetta la Calle degli Stagneri. Gli stagneri erano artigiani che lavoravano lo stagno con una tale abilità da farlo sembrare argento. Nacque il detto "xè passà per la cale degli stagneri", usato quando si dubitava dell'autenticità di un oggetto prezioso.
Lungo le Mercerie del Capitello si trova invece la Calle de le Balote. Qui esisteva la fabbrica delle speciali palline destinate alle votazioni delle magistrature veneziane e alla elezione del doge. Inizialmente fabbricate in cera e poi in tela di lino pressata, queste "balote" sono all'origine del termine "ballottaggio" usato ancora oggi per le votazioni.
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lunedì 16 aprile 2012
Candele a Venezia
A due passi dall'Oratorio dei Crociferi si trova la piccola Corte delle Candele, con una vera da pozzo trecentesca in marmo rosa di Verona, dove compare lo stemma della famiglia Zen, il cui palazzo si affaccia sul vicino rio di Santa Caterina.
Qui infatti esisteva una fabbrica di candele, molto usate dai veneziani, in particolare per le funzioni religiose, ma anche esportate all'estero. Gli artigiani veneziani importavano la cera vergine dall'Oriente e dalla Moldavia. Grazie al clima la si poteva lavorare senza che la polvere la rovinasse. Tra il 1400 e il 1500 si contavano ventiquattro fabbriche in città, ma nel Seicento la produzione cominciò a diminuire e nel Settecento fu vera crisi a causa della grande cereria di Trieste, fornita di grossi capitali ed esente da dazi.
Come ricorda il Tassini, era famoso a Venezia, nel Settecento, un certo Gian Battista Talamini, proprietario di una spezieria a Rialto all'insegna "della Fonte", il quale, precorrendo i tempi, riuscì per primo a colorare e lavorare la cera, dandole le forme più varie: piante, fiori, frutta, animali e rendendola tanto dura che sottoforma di tazze, bicchieri e vasi poteva reggere qualsiasi liquido.
La cera veniva anche usata per realizzare maschere mortuarie o veri e propri ritratti di persone a grandezza naturale. A tal riguardo è in corso a Venezia una mostra titolata "Avere una bella cera" presso Palazzo Fortuny.
Qui infatti esisteva una fabbrica di candele, molto usate dai veneziani, in particolare per le funzioni religiose, ma anche esportate all'estero. Gli artigiani veneziani importavano la cera vergine dall'Oriente e dalla Moldavia. Grazie al clima la si poteva lavorare senza che la polvere la rovinasse. Tra il 1400 e il 1500 si contavano ventiquattro fabbriche in città, ma nel Seicento la produzione cominciò a diminuire e nel Settecento fu vera crisi a causa della grande cereria di Trieste, fornita di grossi capitali ed esente da dazi.
Come ricorda il Tassini, era famoso a Venezia, nel Settecento, un certo Gian Battista Talamini, proprietario di una spezieria a Rialto all'insegna "della Fonte", il quale, precorrendo i tempi, riuscì per primo a colorare e lavorare la cera, dandole le forme più varie: piante, fiori, frutta, animali e rendendola tanto dura che sottoforma di tazze, bicchieri e vasi poteva reggere qualsiasi liquido.
La cera veniva anche usata per realizzare maschere mortuarie o veri e propri ritratti di persone a grandezza naturale. A tal riguardo è in corso a Venezia una mostra titolata "Avere una bella cera" presso Palazzo Fortuny.
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giovedì 5 aprile 2012
Scuola d'Arte dei Botteri a Venezia
La Corporazione dei fabbricatori di botti a Venezia si costituì nel 1271 e non conobbe mai periodi di crisi, in quanto tutti i liquidi erano trasportati e conservati nelle botti.
Le botti si costruivano posizionando le doghe all'interno di un cerchio guida, posto a metà altezza; finita la struttura di base si poneva all'interno uno scaldino per curvare più facilmente il legno. Poi si realizzavano i fondi e ogni maestro doveva porre il proprio marchio sul cocchiume (foro con tappo posto sulla doga di massimo diametro) della botte. Ogni maestro non poteva possedere più di 1500 doghe.
Le doghe in rovere, fin dal 1278, dovevano essere acquistate esclusivamente sulle rive tra il Ponte di Rialto e il traghetto di Santa Sofia, mentre quelle di abete si acquistavano in Barbaria delle Tole e a San Basilio; le botti invece erano vendute a Rialto e a San Marco nel giorno di sabato.
Era proibito lavorare di notte e tenere il legname vicino ai camini per timore degli incendi. Per far parte dell'arte era richiesta l'età minima di 17 anni, e per diventare Gastaldo almeno 35. Il Gastaldo, massimo responsabile della Confraternita, non poteva assentarsi da Venezia per più di 15 giorni consecutivi, pena la perdita della carica e di un anno di paga, inoltre doveva provvedere alla riparazione di tutte le botti di Palazzo Ducale gratuitamente; il doge in cambio forniva il cibo e i cerchi per le botti.
Le botti si costruivano posizionando le doghe all'interno di un cerchio guida, posto a metà altezza; finita la struttura di base si poneva all'interno uno scaldino per curvare più facilmente il legno. Poi si realizzavano i fondi e ogni maestro doveva porre il proprio marchio sul cocchiume (foro con tappo posto sulla doga di massimo diametro) della botte. Ogni maestro non poteva possedere più di 1500 doghe.
Le doghe in rovere, fin dal 1278, dovevano essere acquistate esclusivamente sulle rive tra il Ponte di Rialto e il traghetto di Santa Sofia, mentre quelle di abete si acquistavano in Barbaria delle Tole e a San Basilio; le botti invece erano vendute a Rialto e a San Marco nel giorno di sabato.
Era proibito lavorare di notte e tenere il legname vicino ai camini per timore degli incendi. Per far parte dell'arte era richiesta l'età minima di 17 anni, e per diventare Gastaldo almeno 35. Il Gastaldo, massimo responsabile della Confraternita, non poteva assentarsi da Venezia per più di 15 giorni consecutivi, pena la perdita della carica e di un anno di paga, inoltre doveva provvedere alla riparazione di tutte le botti di Palazzo Ducale gratuitamente; il doge in cambio forniva il cibo e i cerchi per le botti.
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mercoledì 1 febbraio 2012
Ospedale dei Forner a Venezia
A pochi passi dal Ponte della Madonna de l'Orto, al civico 3378, sorgeva un tempo l'Ospedale dei Fornai, costruito nel Quattrocento dalla medesima Scuola per i propri confratelli poveri, vecchi o infermi. Il termine "ospedale" veniva utilizzato con un senso più ampio di luogo dedito non solo alla cura, ma anche al ricovero di anziani e a volte di orfanotrofio.
Dai documenti dell'epoca scopriamo che il terreno acquistato dai Fornai per la costruzione del detto edificio costò ben mille ducati! Una cifra davvero notevole per l'epoca, ma evidentemente la Scuola era ben florida.
Questa corporazione di mestiere aveva sede nella cappella absidale sinistra della Chiesa della Madonna dell'Orto; l'altare in questione era stato disegnato e realizzato dal tajapiera (scalpellino) Filippo Gasparo, il quale venne compensato con 85 ducati.
La Scuola dei Forner fu istituita nel 1445 e nella Mariegola (statuto) si trovano notizie interessanti: regole per cucinare i diversi tipi di pane e i relativi prezzi, gli anni di garzonato (apprendistato), le concessioni ai maestri per affittare i forni, le licenze per cucinare il panbiscotto per gli equipaggi delle navi e le specifiche per i tipi di legno da utilizzare per la cottura.
Sempre all'interno della Mariegola si trovano anche disposizione di carattere religioso, come pesanti multe per chi nominava il diavolo (forse ricordato dalle fiamme dei forni) e l'espulsione dall'Arte per chi non si confessasse e comunicasse almeno una volta l'anno!
Dai documenti dell'epoca scopriamo che il terreno acquistato dai Fornai per la costruzione del detto edificio costò ben mille ducati! Una cifra davvero notevole per l'epoca, ma evidentemente la Scuola era ben florida.
Questa corporazione di mestiere aveva sede nella cappella absidale sinistra della Chiesa della Madonna dell'Orto; l'altare in questione era stato disegnato e realizzato dal tajapiera (scalpellino) Filippo Gasparo, il quale venne compensato con 85 ducati.
La Scuola dei Forner fu istituita nel 1445 e nella Mariegola (statuto) si trovano notizie interessanti: regole per cucinare i diversi tipi di pane e i relativi prezzi, gli anni di garzonato (apprendistato), le concessioni ai maestri per affittare i forni, le licenze per cucinare il panbiscotto per gli equipaggi delle navi e le specifiche per i tipi di legno da utilizzare per la cottura.
Sempre all'interno della Mariegola si trovano anche disposizione di carattere religioso, come pesanti multe per chi nominava il diavolo (forse ricordato dalle fiamme dei forni) e l'espulsione dall'Arte per chi non si confessasse e comunicasse almeno una volta l'anno!
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