venerdì 30 dicembre 2011
Il miglior decrittatore di messaggi cifrati d'Europa
La sua fama era talmente diffusa che alcuni Stati spedivano alla Serenissima i plichi intercettati perché fossero decifrati. Nel 1526 papa Clemente VII gli inviò due crittogrammi particolarmente difficili, ed entrambi gli furono restituiti col testo in chiaro. In un altra occasione invece, poiché un crittogramma della Santa Sede era stato intercettato dalle spie fiorentine, il pontefice ne mandò una copia a Venezia per essere rassicurato circa l'inviolabilità del messaggio. Soro dichiarò di non essere in grado di decifrarlo, e a Roma si concluse che i fiorentini non potevano aver fatto di meglio. Si pensa però che la risposta di Soro mirasse a infondere un falso senso di sicurezza nei colleghi vaticani. Una risposta differente avrebbe potuto spingerli infatti ad adottare crittogrammi più difficili, che forse nemmeno Soro sarebbe più riuscito a violare!
Sempre a proposito delle magistrature della Serenissima, va ricordato che Venezia fu la prima nella storia a riconoscere il diritto di "copyright" sulle invenzioni dell'uomo. Una disposizione del 1474 assegna infatti ai Provveditori de Comun il compito di sovrintendere alla registrazione dei brevetti.
venerdì 23 dicembre 2011
Palazzo Foscarini ai Carmini e le sue stranezze
Un vero scrigno di tesori artistici, quindi, testimonianza della passione per l'arte e del mecenatismo che caratterizzarono molti componenti della prestigiosa famiglia, la quale possedeva già numerosi palazzi in città.
In ogni caso la famiglia era nota anche per certe loro stranezze. Il loro membro più illustre, Marco Foscarini, eletto doge nel 1762 era uomo particolarmente erudito, ma noto soprattutto per la sua esagerata passione per i coralli, tanto che il celebre letterato Gasparo Gozzi, spesso suo ospite nel bel palazzo di famiglia, si lamentava del fatto che ogni conversazione, in ogni momento della giornata, dovesse riguardare quell'argomento tanto insolito!
Oggi il palazzo è in parte privato e in parte occupato da una delle sedi dell'Università Ca' Foscari di Venezia, ma il suo stato di conservazione non è ottimale e necessita di un integrale restauro.
lunedì 19 dicembre 2011
Il mistero di Ca' Dario
Il palazzo venne fatto realizzare da Giovanni Dario nel 1487, su un preesistente edificio gotico, ispirato ai modi di Pietro Solari detto il Lombardo.
Giovanni Dario era un mercante di origine cretese, ma fu anche uomo dotato di grande personalità, cultura umanistica e diplomazia, tanto che divenne notaio della Cancelleria Ducale; ma soprattutto viene ricordato per aver negoziato l'accordo di pace del 1479 con il sultano Mehmet II.
Alla sua morte il palazzo passò in eredità alla figlia Marietta, che andò in sposa a Vincenzo Barbaro e da questi al figlio Gasparo. Il palazzo restò della famiglia Barbaro fino alla fine del Settecento.
Da quel momento accadde qualcosa di strano al palazzo che divenne foriero di disgrazie di ogni sorta per chi ne divenne proprietario.
Riportiamo qui solo alcuni esempi:
- Un commerciante armeno di pietre preziose, Arbit Abdoll, fece bancarotta poco dopo aver acquistato il palazzo - Rawdon Brown, ai primi dell'800, si suicidò all'interno del palazzo insieme al compagno, probabilmente a causa dello scandalo provocato dal loro legame omosessuale - Henry De Reigner si ammalò gravemente dopo l’acquisto del palazzo e fu costretto a tornare in Francia - Il conte Giordano delle Lanze, venne ucciso nel palazzo, colpito alla testa con un vaso dal marinaio croato di 18 anni che viveva con lui e che dopo l’omicidio fuggì a Londra, dove venne a sua volta assassinato - Il manager degli Who, Christoph Lambert, vi muore d’infarto - Nel 1964 si fece avanti il tenore Mario Del Monaco che però ruppe le trattative quando, mentre si stava recando a Venezia per perfezionare la compravendita, fu vittima di un gravissimo incidente stradale che ne interruppe per lungo tempo l'attività - All'inizio degli anni Ottanta il palazzo venne acquistato da un uomo d’affari veneziano, Fabrizio Ferrari, che vi si trasferì insieme con la sorella Nicoletta: anch'egli fece bancarotta in poco tempo mentre la sorella morì in un incidente stradale senza testimoni - Alla fine degli anni Ottanta il palazzo venne acquistato dal finanziere Raul Gardini, il quale, dopo una serie di rovesci economici e il coinvolgimento nello scandalo di Tangentopoli, si suicidò tragicamente pochi anni dopo.
Qualcuno ha fatto notare che sulla facciata del palazzo che dà sul Canal Grande si può leggere "Urbis Genio Joannes Darius", che significa "Giovanni Dario al genio della città", ma anagrammando la frase latina diventa: "Sub ruina insidiosa genero", cioè "genero insidiose rovine a chi abita sotto questo tetto".
giovedì 15 dicembre 2011
Il primo film realizzato a Venezia
La prima "carrellata" della storia del cinema venne realizzata a Venezia dai Fratelli Lumière, sistemando la macchina da presa su un vaporetto che percorreva il Canal Grande. Questa tipologia di ripresa in movimento venne allora chiamata "panorama". Era il 1896.
Nel filmato il vaporetto sta risalendo il Canal Grande dall'ansa di Ca' Foscari verso il Ponte di Rialto. La camera è puntata verso sinistra, per cui si intravede nel primo fotogramma l'angolo estremo destro di Palazzo Bernardo, poi Palazzo Donà de la Madoneta (interessante notare che all'epoca non c'erano ancora le due orribili finestre moderne che si vedono oggi all'ultimo piano), Palazzo Donà, Palazzo Papadopoli (col suo giardino), Palazzo Giustinian Businello e Palazzo Barzizza.
Da notare la presenza di alcune gondole con ancora il felze, destinato a scomparire nel Novecento per soddisfare le esigenze dei turisti.
lunedì 12 dicembre 2011
Musica a Venezia
Proviamo ad immaginare la sorpresa degli stranieri che arrivano a Venezia per la prima volta e scoprono che all'ora della messa e dei vespri le chiese risuonano di una musica travolgente di virtuosità, eseguita da ensemble formati unicamente da fanciulle, le quali non solo cantano come angeli, ma suonano anche il violino, il clavicembalo, il corno e il contrabbasso! Chiese piene di una folla di appassionati che hanno acquistato il loro posto nel tempio sacro, esattamente come fanno per l'opera durante la settimana.
La fama di queste fanciulle giunge in tutta Europa: Parigi, Londra, Berlino, Vienna, San Pietroburgo... Jean-Jacques Rousseau scrive che spesso tra il pubblico c'erano anche attori e cantanti di fama internazionale..
Queste misteriose giovani che vivono in una sorta di clausura, e il cui talento uguaglia quello delle dive più adulate delle scene dell'opera, sono in realtà orfane soccorse per strada al fine di evitar loro una vita tristemente destinata alla prostituzione, e alle quali, in seno agli Ospedali (a Venezia gli Ospedali erano anche ospizi e orfanotrofi) che le accolgono, viene insegnata musica e canto.
Contribuisce senz'altro al successo di queste fanciulle, il fatto che cantino sempre nascoste dietro alle grate dei barchi e delle tribune, alimentando quindi un senso di mistero e di fantasia sulla loro ipotetica bellezza pari solo alla loro bravura.
In ogni caso le cappelle musicali femminili degli Ospedali rappresentano molto più di una semplice curiosità, esse sono infatti per la Serenissima un vero e proprio simbolo, un simbolo mistico e politico, legato in modo indissolubile alla storia della città. I loro canti sono l'allegoria stessa di Venezia-Venere, della Venere uscita dalle acque che in Venezia si identifica con la Vergine Maria (non a caso la data leggendaria della fondazione della città viene fatta risalire al 25 marzo, giorno dell'Annunciazione). Era quindi con grande orgoglio che il governo veneziano invitava principi, imperatori e ambasciatori ad ascoltare i concerti di queste speciali fanciulle.
Pochissimi i fortunati ch'ebbero l'occasione di conoscerle personalmente, tra questi ricordiamo J.J. Rousseau che ebbe il privilegio di poter entrare presso l'Ospedale dei Mendicanti e conoscere le ragazze del coro... ma ne rimase un poco deluso:
"Entrando nel salotto che conteneva quelle divine beltà tanto desiderate, provai un fremito d'amore. Il signor Le Blond mi presentò, una dopo l'altra le celebri cantanti, di cui voce e nome era quanto mi era noto: "Venite Sofia"... era orribile, "Venite Caterina" ... era guercia, "Venite Bettina"... il vaiolo l'aveva sfigurata.... Quasi nessuna era immune da una qualche notevole imperfezione. Quell'uomo rideva della mia crudele delusione. Pure, due o tre, mi parvero discrete. Ero sconfortato. Durante la merenda, le stuzzicammo, e esse si misero in allegria. La bruttezza non esclude la grazia, ne scoprii. Mi dicevo: "Non si canta così senz'anima, esse ne hanno". Alla fine il mio modo di vederle mutò a tal punto che uscii quasi innamorato di quei mostriciattoli" (J.J. Rousseau, "Confessioni").
Oggi in città esistono ancora delle tracce di questo passato musicale e grazie ai percorsi musicali de L'altra Venezia è possibile ripercorrerne la storia.
sabato 10 dicembre 2011
(il peggio non è mai morto)
martedì 6 dicembre 2011
All'inizio fu il sale
All'inizio dunque è il sale. E le notizie, anche se incerte e frammentarie fanno supporre che in laguna si estraesse il sale fin dai tempi dei romani. Nel paesaggio lagunare, appena antropomorfizzato, queste rudimentali saline nel volgere di alcuni secoli, diventano sempre più funzionali e facilmente gestibili. Tanto che Lorenzo de Monacis nel suo Chronicon scrive che erano veramente sorprendenti e magnifiche e una delle cose che più ammiravano i foresti in visita. Gli abitanti della laguna però non le chiamavano saline, ma "fondamentum".
Alla fine del XII secolo si contano 120 fondamenti, di cui una settantina nella laguna di Chioggia e molte altre tra Murano, Torcello e Sant'Erasmo. Ma quello che è davvero sorprendente è il numero di saline presenti all'interno della stessa Venezia: circa una decina! Nel Trecento se ne ricordano ancora a San Silvestro, ai Frari e a San Basilio. Ma già nel Quattrocento queste saline cittadine scompaiono e resta solo il ricordo nella toponomastica "Fondamenta".
In ogni caso la produzione di sale è così immensa che Venezia detiene il monopolio per la fornitura del sale in tutta Europa e nel Mediterraneo orientale. Il sale, sia grezzo che raffinato, viene conservato in enormi magazzini situati parte sull'isola della Giudecca e parte nei depositi alla Punta della Dogana.
Naturalmente all'epoca il sale non veniva usato solo per insaporire i piatti, ma anche, anzi, soprattutto per la conservazione dei cibi.
martedì 29 novembre 2011
Le classi sociali nella Repubblica di Venezia
- era di origine mercantile anziché feudale
- la sua creazione e sopravvivenza era giustificata dalla sua costante partecipazione al governo della Serenissima
- era formato da famiglie anziché da individui e la primogenitura era l'eccezione invece della regola
- non usava specifici titoli nobiliari
Si può ben dire che l'atto creativo del patriziato fu la Serrata del Maggior Consiglio nel 1297, per cui diventarono patrizie le famiglie i cui antenati avevano reso importanti servigi alla Serenissima dall'anno 810 (data del trasferimento della sede ducale da Malamocco a Rivoalto) in poi, o un cui membro aveva seduto nel Maggior Consiglio nei quattro anni precedenti la Serrata. In tutto furono iscritte nel Libro d'Oro della nobiltà veneziana, circa 220 famiglie. Questo cambiamento della costituzione (che di fatto passò da repubblica democratica a repubblica aristocratica) non provocò le tensioni politico-sociali che ci sarebbe potuto aspettare. In primo luogo perché esso confermava una situazione che già esisteva di fatto; inoltre trattavasi di un gruppo sociale omogeneo, attivo, di antica ricchezza, già abituato a servire gli interessi generali; infine era un gruppo numeroso, giacché corrispondeva a circa il 5% della popolazione.
La "classe mercantile" era formata da cittadini veneziani con diritto "de intus" o "de extra", ossia abilitati a commerciare all'interno o all'esterno della città. I non veneziani potevano, se considerati degni, acquistare il diritto "de intus" dopo dodici anni di residenza e attività professionale, e il supplementare diritto "de extra" dopo diciotto anni.
Alla "classe mercantile" appartenevano sia "patrizi" sia "cittadini".
La categoria dei "cittadini" assorbiva anche uomini di scienza e di legge, letterati, medici, funzionari amministrativi e commercianti, formando una classe borghese talvolta ricca, sempre agiata, che aveva comunque una propria rappresentanza politica.
Alle classi privilegiate va aggiunta la classe ecclesiastica, che corrispondeva a circa l'1% della popolazione.
La linea divisoria tra queste classi e il Popolo era il lavoro manuale. A sua volta il Popolo era diviso fra membri delle "Arti" o "Scuole di Mestiere", cioè lavoratori specializzati che accompagnavano il loro lavoro con una certa cultura tecnica, e tutti gli altri che invece vivevano solo del proprio lavoro manuale.
Pur privati di potere politico, i Popolani godevano in compenso di salari relativamente alti (rispetto al resto d'Italia e d'Europa), di cibo sicuro e a prezzi controllati dalla Serenissima; non temevano guerre civili o assalti di eserciti stranieri; non erano relegati in suburbi, poiché le loro abitazioni fiancheggiavano quelle dei patrizi e dei mercanti con cui si mescolavano nelle calli e nei campi, parlando la stessa lingua veneta. Fieri dell'appartenenza ad uno Stato forte e libero, partecipavano alle feste pubbliche, civili e religiose, al Carnevale, alle Regate, alle cerimonie d'elezione dei Dogi e a quelle che accompagnavano le visite di personaggi illustri.
Si spiega così la quasi totale mancanza di movimenti sociali, la fedeltà alle istituzioni ed il senso di appartenenza di così lunga durata.
lunedì 21 novembre 2011
I meccanismi del governo della Repubblica Serenissima di Venezia
Questo equilibrio era essenziale, poiché gli stessi oligarchi, attraverso le strutture amministrative, dovevano garantire altri equilibri: quelli sociali della città, quelli dello Stato da Mar, quelli del Dominio di Terraferma e quelli internazionali. Dal Dogato all'ultima funzione amministrativa, tre erano i requisiti fondamentali: l'efficacia della funzione, l'impossibilità per il funzionario di creare un potere personale o ereditario, l'evitare conflitti tra le funzioni. Anche se Venezia non avesse fatto altro nei suoi dieci secoli d'indipendenza che elaborare la propria costituzione, sarebbe sufficiente ad immortalarne la fama.
Nei primi secoli vi furono tentativi di alcune famiglie nobili di rendere ereditario il Dogato o quanto meno di esercitare un certo controllo sul corpo elettorale. Sebbene nessuno di questi tentativi ebbe successo, già nel XI secolo si ebbero riforme costituzionali atte ad impedirli. Il doge Jacopo Tiepolo (1229-1249) elaborò la formula della "promissione", una sorta di contratto tra il Doge e il Maggior Consiglio che delimitava fortemente i poteri del primo.
Nel 1268 fu introdotto il definitivo sistema d'elezione del doge, che comportava ben dieci fasi: esclusi dai membri del Maggior Consiglio coloro che non avevano ancora compiuto trent'anni, fra i rimanenti si sceglievano 30 patrizi per ballottaggio in modo da non permettere che una famiglia avesse più di un rappresentante eleggibile. Con un secondo sorteggio venivano ridotti a 9, i quali ne eleggevano 40, ridotti per nuovo sorteggio a 12. Questi ne eleggevano 25, ridotti nuovamente a 9, che a loro volta ne eleggevano 45, su cui si sorteggiavano 11 i quali sceglievano i 41 elettori finali che procedevano all'elezione del Doge. Sistema complicato che testimonia quanta importanza si dava all'evitare la trasmissione ereditaria della funzione.
Direttamente in rapporto con il Doge erano i vari Consiglieri, i Procuratori, i Pregadi, i Savi e, indirettamente, una varietà di magistrati: Avogadori, Apontadori, Camerlenghi, Cassieri, Consoli, Governadori, Giudici, Masseri della Zecca, Officiali, Provveditori e Pagadori. Ogni corpo della Magistratura era poi suddiviso per responsabilità specifiche e per aree cittadine ed extra-cittadine. Alcune di queste cariche erano vitalizie, la più parte con limiti di tempo che variavano da sei mesi a due anni; alcuni erano stipendiati, altri no; alcuni dovevano avere un'età massima, altri un età minima.
Si aggiungano a queste magistrature: i Podestà, i Castellani, i Capitani del Dominio di Terraferma, i Capitani da Mar, i Baili e gli Ambasciatori, fiore della diplomazia europea. Un elenco preciso comporterebbe centinaia di voci, ma anche questo sguardo sintetico alla struttura amministrativa della Serenissima permette di valutarne la complessità e il gran numero di uomini capaci che la classe patrizia doveva produrre anno dopo anno.
Forse l'analogia migliore con il governo veneziano si trova nel libro 1984 di George Orwell: "L'essenza di un governo oligarchico non è la trasmissione del potere da padre in figlio, ma la continuità di una certa concezione del mondo e un certo modo di vivere imposto dai morti sui vivi. Un gruppo governante è tale in quanto abbia il potere di formare i propri successori. Chi detiene il potere non è importante a condizione che la struttura gerarchica non cambi".
Si spiega così perché è impossibile scrivere una storia della Serenissima riportando in ordine cronologico la storia individuale dei 120 Dogi.
A Venezia il potere era anonimo.
(Fonte: G. Villa)
venerdì 18 novembre 2011
Breve riassunto della storia artistica a Venezia
Ecco una classificazione molto semplificata:
- Lo stile Bizantino (maggior monumento la Basilica di San Marco) predomina fino a tutto il Duecento; fatto comprensibile in una città fortemente legata a Costantinopoli. Il Romanico vi si affianca piuttosto timidamente.
- Nel Trecento si passa al Gotico (maggior monumento il Palazzo Ducale) che predomina per tutto il Quattrocento, con sviluppi particolarmente felici
- Il Cinquecento è il secolo del Rinascimento, le cui prime opere (la Chiesa dei Miracoli e la statua equestre di Colleoni), nonché quelle del maggior architetto, Mauro Codussi, hanno un vero carattere rinascimentale, ma rapidamente sopravviene il Manierismo delle opere di Sansovino e di Palladio. Egualmente ispirati al Manierismo i tre maggiori pittori del secolo: Tiziano, Tintoretto e Veronese.
- Venezia sembra lieta nel Seicento di ritrovare nel Barocco uno stile più conforme al proprio gusto del teatrale (Chiesa della Salute di Longhena), e poi indulgere nel Rococò del Settecento (massimo esponente: Tiepolo)
- Nei suoi ultimi decenni la Serenissima si specchia nei dipinti eleganti di Canaletto, Guardi e Longhi.
- Il Seicento fu anche il grande secolo della musica a Venezia, con i Gabrieli, Monteverdi, Albinoni, Vivaldi e Benedetto Marcello, mentre nel Settecento emerge il genio di Carlo Goldoni.
- Alla fine del Settecento viene completato il Teatro della Fenice. I teatri privati veneziani, fra i primi teatri coperti d'Europa, ebbero enorme successo anche nel secolo seguente. Maggior artista figurativo: Antonio Canova.
lunedì 14 novembre 2011
Le Venezie invisibili
- Dimmi ancora un'altra città - insisteva.
- Di là l'uomo si parte e cavalca tre giornate tra greco e levante... - riprendeva a dire Marco, e a enumerare nomi e costumi e commerci d'un gran numero di terre. Il suo repertorio poteva dirsi inesauribile, ma ora toccò a lui d'arrendersi. Era l'alba quando disse:
- Sire, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco.
- Ne resta una di cui non parli mai.
Marco Polo chinò il capo.
- Venezia - disse il Kan.
Marco sorrise: - E di che altro credevi che ti parlassi?
L'imperatore non batté ciglio. - Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome.
E Polo: - Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia
- Quando ti chiedo d'altre città, voglio sentirti dire di quelle, e di Venezia, quando ti chiedo di Venezia
- Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia
- Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza, descrivendo Venezia così com'è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ricordi di lei.
L'acqua del lago era appena increspata; il riflesso di rame dell'antica reggia dei Sung si frantumava in riverberi scintillanti come foglie che galleggiano.
- Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano - disse Marco - Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d'altre città, l'ho già perduta a poco a poco."
(Italo Calvino)
venerdì 11 novembre 2011
Struttura delle case veneziane
La costrizione orizzontale (a Venezia la superficie edificabile, ed edificata, è di soli 7kmq) portò i palazzi e le case in genere ad affiancarsi senza interruzioni o divise da calli strettissime, per cui generalmente solo la facciata prospiciente l'acqua è decorata. Dove rii o canali sono stati interrati, eventuali decorazioni di facciate sono indice della loro passata esistenza.
La preoccupazione del peso si ritrova nella scarsa sporgenza dei balconi, nell'uso di scale esterne per tutta l'epoca gotica e successivamente di scale interne prive di balaustre e sormontate a volta per ridurre la pressione dei muri esterni. Questi avevano sovente uno spessore di quattro mattoni al piano terreno che si riducevano poi a tre o anche a due mattoni nei piani superiori. I muri divisori solitamente erano formati da due sottili strati di legno con l'intercapedine riempita di pietrisco e mattoni triturati.
La decorazione delle pareti veniva eseguita in stucco, affreschi, sete o cuoio, spesso campeggiavano placche di "marmorino", una polvere di marmo che somiglia a lastre della stessa materia pur pesando molto meno. Similmente i pavimenti erano ricoperti di "terrazzo", un misto di polveri di marmo, di vetro e di mattoni, sovente con elementi decorativi in tessere di mosaico. Oltre al peso ridotto il pavimento "alla terrazza" ha notevole elasticità, utile a compensare i movimenti delle fondamenta.
I soffitti sono in travi, quanto più leggeri possibili, talvolta dipinti, altre volte nascosti da un leggero reticolato stuccato o affrescato. Eguale leggerezza si ritrova nelle strutture dei sottotetti, nella scelta delle tegole e nella costruzione dei terrazzi sovrastanti i tetti, le "altane".
lunedì 7 novembre 2011
Fondamenta Zattere
In realtà la fondamenta è suddivisa in: Molin, al Ponte Longo, ai Gesuati, agli Incurabili (dove si trova anche una targa dedicata al poeta Josif Brodskij), allo Spirito Santo, ai Saloni, de la Dogana, a la Salute; ma tutti la chiamano semplicemente "Zattere".
Anticamente veniva chiamata Carbonaria, come era chiamato anche il canale della Giudecca, per i carichi di carbone che qui arrivavano e si scaricavano. Poi fu chiamata Zattere perché vi approdavano le grosse zattere che, navigando lungo i fiumi che scendono dalle montagne venete, portavano il legname in città. Vi fu anche un decreto dei Provveditori alle Legne e Boschi del 1640, che imponeva a tutti i trasportatori di legname di scaricare esclusivamente in questo luogo. Nel XVII secolo alle Zattere esisteva anche un teatro per opere musicali.
Vi si affacciano inoltre le chiese dei Gesuati e dei Domenicani, oltre all'enorme complesso dell'antico Ospedale degli Incurabili, oggi occupato dall'Accademia di Belle Arti di Venezia.
La Fondamenta è senz'altro una delle più belle passeggiate di Venezia e, per l'esposizione a sud, vi si può gustare un po' di calore nelle giornate di sole autunnali, o ammirare meravigliosi tramonti sulla laguna.
lunedì 31 ottobre 2011
Via Garibaldi
Posta nel popoloso sestiere di Castello, la via Garibaldi è sempre piena di vita; ricca di negozi di ogni tipo, bar, ristoranti e una chiesa (San Francesco da Paola); un tempo c'era anche un cinema. Alla mattina vi si trova un mercato di frutta, verdura e pesce, e si respira aria di paese.
Il turista che percorre la via Garibaldi, tracciando una diagonale tra l'isola di San Pietro e la Basilica della Salute che si intravede all'orizzonte, vi giunge un po' timido ma di buon umore, perché crederà d'aver preso finalmente confidenza con la città e perché da poco si è fatto fotografare accanto alle enormi ancore del Museo Navale (gemelle di quelle del Ministero della Marina a Roma). Eccolo dunque, il turista, imboccare con baldanza l'anomalo boulevard di cui poco sa, visto che dalle guide è praticamente ignorato.
Secondo Napoleone e l'architetto Antonio Selva, questa strada doveva conferire modernità ed eleganza alla città, ma al contrario, a due secoli di distanza, via Garibaldi è divenuta la linea di confine oltre la quale resiste nella sua grandezza e nella sua miseria la venezianità popolare che riesce a relegare il turista a mera tappezzeria.
La via è sempre animata: al mattino, tra i banchi del mercato, le casalinghe scendono in pantofole per fare più in fretta la spese, salvo poi trattenersi a parlare tra di loro (bandita ovviamente la lingua italiana) delle cose di cui parlano le donne da sempre: i figli, gli uomini e gli schei ("soldi") che non bastano mai; al pomeriggio sciami di bambini giocano ancora ai giochi di una volta; mentre la sera, bar e osterie traboccano di uomini (per lo più artigiani e barcaioli). Il turista sopraggiunto, proverà a comprendere qualcosa di quegli infervorati dialoghi, potrà farlo liberamente giacché nessuno gli baderà, ma non capirà nulla, se non forse che si sta parlando di barche e di pesce; ma se tornerà l'indomani e, meglio, ancora il giorno dopo, sarà accolto come chi si appresta a far parte della comunità.
Questo succede nel sestiere di Castello, sventrato dalla volontà di Napoleone, ma giammai estirpato della sua venezianità.
mercoledì 26 ottobre 2011
Venezia minore
Il libro pionieristico e assai apprezzato anche da Le Corbusier, di Egle Trincanato, Venezia minore, aiuta a penetrare nella logica delle costruzioni civili veneziane, in particolare nei sestieri di Dorsoduro e Castello, determinata dall'utilizzo della pietra d'Istria, dalla presenza di alcuni stilemi (cornici, porte architravate, finestre monofore, bifore, polifore...) a volte rispondenti a soluzioni funzionali immediate, come la protettiva sporgenza dei barbacani sulle botteghe a piano terra, con il conseguente recupero di spazio abitativo nel piano superiore. Si tratta quindi di un importante codice di identificazione che impronta, anche nella vita quotidiana, un certo modo di concepire lo spazio e il decoro urbano.
Venezia minore era anche il titolo di un documentario del 1940 di Francesco Pasinetti, regista veneziano scomparso prematuramente (1911-49), fratello del romanziere Pier Maria Pasinetti. L'opera intendeva indirizzare la cinepresa alle sequenze di una vita quotidiana che scorreva lenta nelle calli, lungo i canali e attraverso i ponti dei sestieri di Cannaregio e Castello, ma anche alla Giudecca. L'interpretazione visiva di Pasinetti contrastava, per il suo realismo, con l'utilizzo scenografico della città in alcune grandi cerimonie pubbliche (come la visita di Hitler nel 1934).
E ancora, con Gianni Berengo Gardin, è possibile, grazie alle sue fotografie in bianco e nero, seguire un itinerario alternativo a Venezia che parte da Piazza San Marco innevata o battuta dalla pioggia o invasa dall'acqua alta, solcata dalle passerelle, finché scatto dopo scatto l'occhio si addentra nelle calli, scruta gli accessi, entra nelle case visitandone gli interni e ritraendone i proprietari: dal paesaggio al ritratto, questo è il filo del reportage di Berengo Gardin.
Il film Pane e tulipani (2000) di Silvio Soldini racconta una Venezia insolita negli interni bassamente illuminati, delle pensioncine di infimo ordine, delle trattorie, degli appartamenti popolari di Santa Marta. Il tipo di intreccio del film è quello denominato "scomparso a Venezia", in cui un uomo (nella fattispecie una donna) esce dalla propria insoddisfacente routine, evadendo significativamente dal proprio ruolo sociale, durante un viaggio veneziano all'origine apparentemente casuale, in verità iniziatico e profondamente autorivelatorio.
venerdì 21 ottobre 2011
Vela al terzo nella Laguna di Venezia
La forma della vela non è triangolare come nelle barche a vela normali ma trapezoidale, con un lato molto alto che supera anche l'albero stesso per poter catturare meglio il vento.
Nei secoli scorsi era l'unico mezzo di propulsione nella laguna veneta oltre ai remi. Le vele erano tutte colorate in modo diverso, per poter distinguere le varie barche anche da lontano.
In genera la vela viene sempre tenuta a sinistra dell'albero e, a seconda della direzione del vento, funziona anche appoggiata all'albero stesso. L'andatura migliore per questo tipo di vela è con il vento "al giardinetto", cioè proveniente da poppa e spostato di circa trenta gradi, ma può tenere anche una discreta bolina, cioè con il vento quasi di fronte.
Abbandonata per decenni a favore dei motori, la vela al terzo ha visto negli ultimi anni un rifiorire di associazioni di amanti delle tradizioni popolari che ne hanno riportato in auge l'uso. La laguna si presta molto al diporto e si possono vedere sempre più spesso delle vele colorate che, lente ma non troppo, percorrono la laguna veneziana in lungo e in largo: è un modo meraviglioso per godersi la natura nel silenzio delle barene, lontano dalla frenesia dei motori.
lunedì 17 ottobre 2011
Università Ca' Foscari
Infine il fiore all'occhiello dell'insegnamento universitario a Venezia: lo IUAV, Istituto Universitario di Architettura di Venezia (fondato nel 1926), del quale vale assolutamente la pena visitare il rettorato, presso l'antico convento dei Tolentini. L'atmosfera del chiostro è degna di un campus americano. Ricca e funzionale è la biblioteca al primo piano. Ma quello che più colpisce e resta indelebile nella memoria è l'intervento didattico di Carlo Scarpa (1906-78) nell'ingresso, immediatamente alla destra di chi entra.
Va osservato con attenzione, perché esso vuole essere una dimostrazione pratica del principio di Le Corbusier, secondo il quale a Venezia si può solo costruire senza costruire. In questo senso Scarpa ha recuperato un portale dalle macerie del convento, come fece il Selva durante gli sventramenti per i Giardini di Castello, ma al contrario di Selva, Scarpa lo ha rovesciato a terra e riempito d'acqua, come si fa per una vasca, dunque costruendo senza costruire e proponendo quella tacita (o forse criptica) lezione ai futuri architetti dello IUAV, ogni volta che ne dovranno varcare la soglia.
giovedì 13 ottobre 2011
Toponomastica veneziana
Calli: sono le vie veneziane: lunghe, larghe, strette, luminose, buie, odorose, puzzolenti, dritte, curve, silenziose, chiassose, ce ne sono per tutti i gusti (NB: singolare: calle, plurale: calli - da non confondere con il fiore: calla, plurale: calle)
Campi: sono il corrispondente delle piazze delle altre città, di dimensioni variabili ("campiello" se è piccolo, "campazzo" se è grande), solitamente con una o più vere da pozzo. Si chiamano in questo modo perché anticamente erano letteralmente dei campi erbosi (ad oggi è rimasto così solo quello di San Pietro di Castello)
Corte: è un campo con un solo sbocco
Fondamenta: sono calli con da un lato le case e dall'altro un rio o un canale
Lista: un tempo indicava le strade davanti ad una Ambasciata straniera (come la Lista di Spagna, vicino alla Stazione Santa Lucia)
Piazza: a Venezia ce n'è una sola, Piazza San Marco
Piscina: anticamente indicava un'area di acqua stagnante, oggi sono tutte interrate
Ramo: di solito una piccola calle che immette in una calle più importante, oppure una calle senza sbocco (se non magari su un rio)
Rio terà: un rio interrato e trasformato in calle
Ruga: è una calle con botteghe su ambo i lati
Salizada: sono le calli che per prime vennero selciate
domenica 9 ottobre 2011
Tiepolo Giambattista, ragazzo di Castello
La venezianità a tutto tondo di Tiepolo è attestata tuttavia da una presenza costante, paragonabile solo a quella di Tintoretto, presso le chiese della città.
Un percorso sulle tracce di Tiepolo a Venezia non può prescindere da questi luoghi:
- Chiesa degli Scalzi: ospitava un affresco sul tema della Casa di Loreto, perduto in seguito ad un bombardamento austriaco nel 1915; nella Cappella del Redentore si può invece ancora apprezzare la monocromia del Cristo nell'orto degli ulivi (1732); di un Tiepolo meno maturo sopravvive la volta della cappella dedicata a Santa Teresa d'Avila, che è rappresentata con gli occhi bassi, in preghiera, non in estasi dunque
- Chiesa di San Stae: Martirio di San Bartolomeo (1722), opera di formazione, sotto l'influenza del Piazzetta, chiaroscuro drammatico
- Chiesa di San Polo: Apparizione della Vergine a San Giovanni Nepomuceno (1754), martire boemo del Trecento, canonizzato nel 1729; la pala venne commissionata all'artista dal re di Polonia Augusto III che aveva donato alla chiesa le reliquie del santo
- Chiesa della Fava: Educazione della Vergine (1732)
- Basilica di San Marco, sacrestia: Adorazione del Bambino (1732), intima e calda come la precedente; la pala però viene esposta solo a Natale
- Chiesa della Pietà: affresco al centro della navata Incoronazione della Vergine e Celebrazione della Musica (1755) e le Virtù teologali e David
- Chiesa di San Francesco della Vigna: decorazione della Cappella Sagredo
- Chiesa di Santa Maria dei Derelitti (Ospedaletto): ciclo degli Apostoli e il Sacrificio di Isacco (1724), ancora un violento chiaroscuro alla maniera del Piazzetta
- Chiesa dei Santi Apostoli: Comunione di Santa Lucia, con in primo piano i macabri segni del martirio, in forte contrasto con la luminosità dell'ambiente e la bellezza della santa
- Chiesa di Sant'Alvise: Incoronazione, Flagellazione e Salita al Calvario (1740), caratterizzati da una religiosità tragica concentrata sulla Passione di Gesù, che strapperà alla Enciclopedia Cattolica un raro riconoscimento: "In queste tele il Tiepolo lascia ogni ricerca di bellezza formale per attingere unicamente al senso drammatico dell'epopea di Cristo"
- Chiesa dei Gesuati (che sarebbe più corretto però chiamare dei Domenicani): nella quale Tiepolo lavorò nel 1737 affrescandone il soffitto e l'abside.
lunedì 3 ottobre 2011
Teatro Verde sull'Isola di San Giorgio Maggiore
Secondo il romanzo esoterico Hypnerotomachia Poliphili, pubblicato da Aldo Manuzio nel 1499, il significato delle tre porte è, per il neofita, il seguente: la prima porta Gloria Dei, la seconda Mater Amoris, la terza Gloria Mundi.
Progettato nel 1952 da Luigi Vietti e Angelo Scattolin, il Teatro Verde è invece un'opera moderna caratterizzata da un esasperato classicismo, che se riprende la forma del teatro greco da una parte, dei teatri di "verzura" delle ville venete, assume dall'altra, in virtù delle gradinate di pietra e della corona di cipressi secolari, un tratto decisamente sepolcrale e funereo.
Caduto in disgrazia dopo memorabili rappresentazioni notturne di Romeo e Giulietta e della Carmen di Bizet, lo straordinario anfiteatro di 1500 posti, con palcoscenico di 56 metri sul fronte e 210 metri quadri complessivi, giace oggi in completo abbandono. Tuttavia gli alti spiriti che ancora aleggiano nell'atmosfera del Teatro Verde sono quelli di Gabriele D'Annunzio e di Eleonora Duse (le cui lettere sono conservate negli archivi della Fondazione Cini), in particolare riecheggiano ancora le rappresentazioni de La Nave e La Città morta (perché secondo certe indicazioni contenute nel romanzo Il Fuoco, la tragedia d'ambientazione archeologica si sarebbe configurata nella mente dell'autore durante una passeggiata meridiana per Venezia): "Entravano nel campo San Cassiano deserto sul suo rio livido, e la voce e i passi echeggiarono come in un circo di rupi, chiaramente, nel rombo che veniva dal Canal Grande come da un fiume...".
Il Teatro Verde riprende, nella cornice buia e priva di rumori esterni, la condizione notturna in cui ebbe a sprigionarsi dalla mano cieca di D'Annunzio, nell'inverno caliginoso del 1916, la più tenue e duratura fiammella del fantastico veneziano.
lunedì 26 settembre 2011
Streghe a Venezia
Le streghe veneziane non adoravano il demonio ma al massimo lo invocavano, pagandogli addirittura in anticipo i favori gettando delle monete e manciate di sale sul fuoco; l'unica raffigurazione diabolica che conoscevano era quella presente tra le carte dei Tarocchi.
A volte si ritrovavano presso il cimitero ebraico del Lido, luogo considerato carico di poteri occulti.
Si trattava in sostanza di una stregoneria spicciola, patrimonio dei ceti più poveri dai quali provenivano la maggioranza di queste donne, che applicavano antichi segreti e pratiche di dubbia efficacia. I segreti venivano rivelati di generazione in generazione nelle notti di Natale o in punto di morte e venivano poi usati come mezzo di sostentamento.
Alcune presunte streghe erano anche cortigiane: c'era la convinzione che sapessero fare fatture e incantesimi affinché gli uomini si innamorassero di loro.
Queste fattucchiere sarebbero rimaste anonime se il Sacro Tribunale dell'Inquisizione non si fosse accanito nella caccia alle streghe. Nel resto dell'Europa gli Inquisitori sfogavano le proprie frustrazioni su povere donne che venivano plagiate, sottoposte a torture e mandate al rogo. Per fortuna, data la particolarità della società veneziana, nessun rogo fu mai acceso nel territorio della Serenissima e le torture vennero applicate in pochissimi casi; questo anche perché il governo veneziano, sempre mal disposto nei confronti della Chiesa di Roma, aveva saputo, sottilmente e tra le quinte, conferire un indirizzo speciale alla questione.
(fonte: Brusegan)
giovedì 22 settembre 2011
Campo dell'Abbazia e Scuola della Misericordia
L'attuale edificio che si affaccia sul Campo dell'Abbazia risale invece al 1200, e coeva risulta la chiesa ad angolo (la cui facciata però venne rifatta nel Seicento). Già dopo due soli secoli la sede della Scuola risulta troppo piccola e viene deliberata la costruzione della Scuola Nuova, per opera del Sansovino, dall'altra parte del rio. La Scuola Nuova venne poi abbandonata con l'arrivo di Napoleone e utilizzata per gli usi i più disparati (oggi è sede espositiva).
Il Campo dell'Abbazia è un punto tra i più suggestivi del sestiere di Cannaregio, proteso come appare sull'incrocio di due rii, in modo da assumere l'aspetto di uno scalo fluviale o, nei pomeriggi invernali, porto delle nebbie.
Facco De Lagarda lo descrive così, in una sua poesia degli anni Quaranta:
Esco e già scende la sera
sull'Abbazia calda ancora di sole,
davanti al portale di quercia
guizzano in torneo le rondini.
Lungo il deserto canale degli orti
l'acqua si gonfia nell'alta marea,
disegna molli arabeschi,
s'increspa a un colpo improvviso di vento.
Sosto,
vicino al capitello degli addii.
lunedì 19 settembre 2011
Gli Squeri di Venezia
L'esistenza degli squeri e dell'Arte degli Squeraroli era di fondamentale importanza per la Serenissima, in quanto lo sviluppo e la vita stessa della città dipendevano dall'acqua e dai suoi trasporti. La sede della loro Scuola era a San Trovaso, sotto la protezione di Santa Elisabetta, e proprio a San Trovaso esiste ancora un caratteristico squero per le gondole, meta di pittori, poeti e scrittori per il fascino che emana. Qui il tempo sembra essersi fermato: gli strumenti di lavoro sono quasi gli stessi che si usavano un tempo e l'odore della pece aleggia tra le gondole adagiate su un fianco, vicino alla casa che sembra uscita da una cartolina di montagna.
Un tempo gli squeri erano moltissimi, ora ne sono rimasti pochissimi; ve ne sono alcuni di pubblici, dove i cittadini possono tirare a secco le proprie barche per piccole riparazioni; sono dei semplici scivoli sull'acqua, a cielo aperto, e chi li usa si deve arrangiare.
lunedì 12 settembre 2011
Scala Contarini del Bovolo
Lo scrittore veneziano Renato Pestriniero ha dedicato a questo insolito monumento il racconto Nodi, pubblicato per la prima volta nel 1981. Si tratta di un'interpretazione visionaria di notevole suggestione:
"Avevamo lasciato Campo Manin per inoltrarci nell'unico accesso alla corte, una fessura in ombra tra cataste di case antiche, occhiaie nere, bocche di cantine putrescenti, muri di mattoni corrosi dalla salsedine, e alla fine ecco la corte, piccola e raccolta, un pozzo formato da pareti di case sovrapposte, protuberanze, anfratti, un labirinto di volumi incastrati l'uno nell'altro nel corso dei secoli. La scala sorge lì. E' una spirale di gradini che si avvolge all'esterno di una torre cilindrica, un nastro orlato di trine marmoree, un capriccio architettonico.
Cominciai a salire aggirando il corpo cilindrico della costruzione sul quale si avvolge la scala. Sul lato esterno la serie ininterrotta di archi si apriva su un vuoto grigio. Ad ogni decina di gradini passavo accanto a una porta di legno simile a quella dalla quale ero uscito. Un numero così elevato di porte faceva prevedere una struttura interna ben strana. Sostai accanto ad una di esse. Filtravano suoni che non riuscivo ad interpretare, una sorta di scalpiccio, un mormorare proprio accanto all'uscio, eppure lontanissimo, passi soffici provenienti da un silenzio per immergersi in un altro silenzio.
Continuai a salire, ma quando ebbi completato un paio di volute e mi trovai nuovamente sulla verticale della corte, mi resi conto che nelle distanze c'era qualcosa di sbagliato..."
lunedì 5 settembre 2011
Il triangolo amoroso di George Sand a Venezia
Quando, dopo alcuni giorni, De Musset riprende coscienza dal delirio delle febbri e vede il medico, comprende immediatamente quanto è accaduto: il medico premuroso si è preso cura anche della donna del paziente.
Alle sue domande pressanti la Sand risponde negando tacciandolo addirittura di visionario. Intanto però la tresca prosegue senza pause, sfruttando persino, allorché la passione risulta incontenibile, i recessi inopinabili del movimentato Danieli.
Dunque tutto si svolge secondo il copione del classico triangolo borghese, e questo non depone a favore della scapigliata coppia francese, a parole sprezzante di ogni forma di compromesso. Dei tre quello che, per così dire, ne uscirebbe meglio sarebbe proprio Pagello (che in fondo fa il suo dovere di medico di stazione turistica, obbediente al capriccio dell'ospite), se non si fosse fatto convincere dalla donna (che riceve dalle mani di un ormai stremato de Musset) a seguirla a Parigi.
Accompagnato da una fama di stallone, il Pagello si improvvisa battitore di mediocri quadri che da buon veneziano aveva portato in valigia, per sicurezza, non si sa mai, nei convegni e presso i salotti in cui la scrittrice lo trascina. Subisce però lo smacco del contro-triangolo: troppo per un italiano! Meglio scomparire di scena ritornando al suo regno di medico mandato dalla provvidenza, in più cortese e belloccio: Venezia, il Danieli, i turisti pieni di fregole e acciacchi.
Ma al Danieli non c'è una targa che lo ricordi.
(Fonti: M. Brusegan / A. Scarsella / M. Vittoria)
giovedì 1 settembre 2011
Divertimenti veneziani
Tra i ridotti più importanti c'era quello aperto nel Palazzo Dandolo a San Moisè nel 1638, gestito dallo Stato, tanto celebre da essere chiamato semplicemente "Il Ridotto". Al suo interno vi erano molti tavoli in fila, in ognuno dei quali era seduto un nobiluomo (i barnabotti) che teneva il banco con zecchini e ducati, in attesa dei giocatori. Potevano giocare i nobili o chiunque portasse una maschera. La più usata era senz'altro la bauta, che permetteva di celare agevolmente la propria identità.
La fama del Ridotto si sparse in tutta l'Europa, tanto che gli stranieri più facoltosi che passavano per Venezia, accorrevano a visitarlo, fra tutti ricordiamo Federico IV re di Danimarca. Cliente fisso ne era Giacomo Casanova.
Al Ridotto si giocava alla Bassetta, al Faraone e a tutti quei giochi d'azzardo nei quali i frequentatori si accanivano, sperperando intere fortune e arrivando perfino a privarsi di effetti personali, quali orologi, anelli, collane o, i più disperati, anche della moglie! Una delle regole del Ridotto era quello di giocare in silenzio: interi patrimoni cambiavano proprietà, arricchendo qualcuno e riducendo sul lastrico qualcun altro, nell'assoluto silenzio.
Negli ultimi anni della Repubblica si contavano in città 136 casin, tra pubblici e privati. Alcuni casin erano dei veri e propri postriboli, con letti eleganti, specchi e vasche da bagno in marmo, ma non tutti erano luoghi di perdizione, ve ne erano molti con accademie musicali, letture di poesie o semplici feste da ballo; ricordiamo ad esempio il Casin degli Spiriti presso Palazzo Contarini dal Zaffo, dove si svolgevano incontri letterari.
domenica 21 agosto 2011
Ponte delle Tette
Per attirare la clientela, esse sedevano sulle finestre a seno nudo e con le gambe penzoloni per mostrare tutte le loro grazie, o ancor di più, stavano completamente nude davanti alle finestre: il tutto proprio sopra il ponte in questione.
Si narra che potessero stare in questi atteggiamenti grazie ad un'ordinanza del XV secolo che, addirittura, le incoraggiava a mostrarsi per richiamare clienti. Questo per distogliere la popolazione maschile da un'ondata di omosessualità che era diventata quasi un problema di stato. Si ritrovano infatti, tra i fascicoli dei processi più famosi, molti casi contro omosessuali o per violenza "contro natura". Ad esempio tale Francesco Cercato fu impiccato per sodomia tra le colonne della Piazzetta San Marco nel 1480, e tale Francesco Fabrizio, prete e poeta, fu decapitato e bruciato nel 1545 per il "vizio inenarrabile". Comunque sia, sembra che l'omosessualità fosse molto diffusa nella Venezia del Cinquecento, tanto da indurre le prostitute, nel 1511, ad inviare una supplica al procuratore Antonio Contarini affinché facesse qualcosa in merito, perché sembrava non avessero più clienti.
Forse però la vera ragione della loro crisi economica era un'altra: nel 1509 a Venezia vi erano 11.654 cortigiane censite (su una popolazione di 150.000 abitanti...), con tale abbondanza di offerta sembra logico pensare che i guadagni pro-capite calassero di molto!
mercoledì 10 agosto 2011
Simbolismo dell'acqua
Loredana Gambuzzi, psicologa junghiana, campionando delle testimonianze di "genti disperse" trapiantate a Venezia, ha reso attendibile quest'ipotesi affascinante, che rilancia il tratto iniziatico originario di ogni grande insediamento urbano, non solo di Venezia, con la differenza che a Venezia, come grande isola pedonale, labirintica e difesa dall'acqua, esso sarebbe ancora direttamente percepibile.
Recenti teorie psicanalitiche riconoscono nelle acque di Venezia la capacità di portare a galla la nostra vera natura, spiegando pertanto il così vasto ventaglio di emozioni diverse che essa suscita; in pratica, ognuno vede in Venezia ciò che è lui stesso.
Venezia dunque assume la veste di iniziatrice, della Grande Madre che riceve l'iniziato e attraverso i suoi labirinti lo libera dalle strettoie della coscienza raziocinante, facendo riaffiorare l'energia della libido primordiale.
Occorre inoltre tener conto di quanto ricorda Enrico Raffi, scrittore della scuola di Alberto Moravia (che aveva pure lui una casa a Venezia, presso la Basilica della Salute): "Sono state le acque a salvare Venezia, quelle acque che dovrebbero infradiciare i ponti, ma che in questo caso sono più simili a quelle a cui dovette la vita il piccolo Mosè". Si analizzi questa frase alla luce della persistenza del mito biblico nel mito di Venezia: Mosè salvato dalle acque separerà le acque, come si auspicherebbe, per la salvezza della città, separare le acque del mare da quelle della laguna con una macchina dal nome "Mose".
Non a caso l'episodio della salvezza di Mosè dalle acque è stato affrontato anche da Tintoretto e Veronese, i quali collocano l'episodio biblico nel contesto di una sorta di gineceo. Acquaticità e femminilità sono dunque assunti come motivi convergenti e indissolubili.
venerdì 22 luglio 2011
mercoledì 20 luglio 2011
Isola Monte dell'Oro
Molti pescatori narrano che di notte si possono ancora vedere gli spiriti degli Unni che vigilano sul tesoro; tesoro ritenuto maledetto perché chiunque provò a cercarlo morì di morte violenta.
Data la posizione strategica, l'isola venne utilizzata per ricoprire un ruolo nel sistema difensivo ottocentesco della laguna. Vi si costruì una postazione d'artiglieria con un presidio di una cinquantina di militari.
Oggi l'isola si presenta come un dosso dalla forma tondeggiante con alle spalle la Palude della Rosa, e del tutto spoglia. Non resta che la suggestione del nome, l'affascinante vista sul paesaggio lagunare ed il piacere di cogliere qualche mora selvatica in estate sognando tesori nascosti.
mercoledì 13 luglio 2011
(Renato Pestriniero)
lunedì 11 luglio 2011
Storia della cucina veneziana
Si tratta di un percorso a piedi per le calli di Venezia alla ricerca delle tracce della cultura gastronomica della città, la quale è, anch'essa, tutt'altro che scontata! Partendo dalle primissime ricette lagunari risalenti ai tempi in cui Venezia era solo una delle province di Bisanzio, passando per il tripudio delle spezie portate dai commerci con il Levante, attraverso una serie vertiginosa di contaminazioni straniere, si arriva fino alla cucina dei giorni nostri, o quantomeno di ciò che ne sopravvive.
Profumi esotici, ricette bizzarre e curiose abitudini a tavola, saranno narrate per scoprire anche questo lato affascinante della cultura veneziana, mai abbastanza disvelata, e che rischia di scomparire travolta dalla globalizzazione imperante delle pizzette e del cibo surgelato.
Durante il percorso sono previste delle tappe in alcuni bacari (tipici locali veneziani) nei quali sarà possibile degustare i celebri cicchetti (piccoli assaggi) accompagnati da un'ombra di vino.
Il tour dura circa tre ore e può essere abbinato ad una cena privata in una casa veneziana.
Per info e prenotazioni: info@laltravenezia.it
venerdì 8 luglio 2011
La sindrome di Baron Corvo
"Venezia, serenamente difesa dalla sua laguna, non è città dove Lazzaro possa nascondere le sue piaghe... Dio dammi una casa!".
Inutile quindi cercare una targa che ricordi la dimora veneziana di Baron Corvo , giacché viveva "baraccato" in una vecchia gondola; barone illustre e letterato, naufrago volontario a Venezia.
In un suo racconto Renato Pestriniero ha ricostruito magistralmente il processo di scelta della marginalità e il conseguente adattamento alle condizioni atipiche della città di un barbone che spesso è uno scomparso a Venezia: "E così, quando l'alba sommerse un altro ultimo giorno di Carnevale, non presi il solito aereo per Milano. Non potevo più vivere in un mondo che non sentivo mio, anche se si trattava del mondo vero, quello che mi assicurava una vita brillante. Dovetti fare una scelta. Da una grossa borsa sportiva ricavai un contenitore che incastrai nello scheletro di una vecchia carrozzina. Ci misi la maschera e pochi altri oggetti, distrussi ogni documento di identificazione. Per il mondo svanii. Tutto il mio mondo materiale è in questo carrello al quale ho aggiunto un paio di piccole ruote per superare facilmente gli oltre quattrocento ponti che scavalcano i canali".
(Fonte: Brusegan)
mercoledì 6 luglio 2011
(Marcello Gatti)
lunedì 4 luglio 2011
Atlantide a Venezia
Metamauco venne probabilmente fondata dai padovani in fuga dalle invasioni barbariche nel VI secolo, quindi divenne sede del Governo veneziano negli anni dal 742 all'810, quando in seguito all'assalto dei Franchi guidati da Pipino, figlio di Carlo Magno, il doge Angelo Partecipazio decise di trasferire la sede ducale presso le isole realtine (da "rivo alto"), all'interno della laguna e quindi più facilmente difendibile.
Le cronache parlano di un violento terremoto avvenuto nel 1106 che avrebbe causato l'inghiottimento di Metamauco da parte del mare. A tutt'oggi però, nonostante studi approfonditi e numerose ricerche effettuate nel mare circostante, di questo antico centro non si è trovato traccia.
Le supposizioni, le storie e le ipotesi che circolano attorno a questa Atlantide lagunare hanno finora soltanto alimentato la curiosità intorno a questa leggenda.
venerdì 1 luglio 2011
(Dicesi di quelle persone talmente altruiste da anteporre i desideri del cuore degli altri a quelli del proprio)
venerdì 24 giugno 2011
La Bautta e la Moretta
La bautta è da considerare maschera assolutamente originale di Venezia. Bianca, leggermente sorridente per l'ampia sporgenza destinata ad alterare la voce, la bautta contrasta con il nero del tabarro (ampio mantello) e del tricorno (cappello a tre punte). L'etimologia più convincente del termine è quella che lo fa risalire al "bau", cioè l'uomo nero spauracchio dei bambini. Questo travestimento prevedeva un utilizzo unisex, e risultava particolarmente gradito alle signore dedite al gioco d'azzardo o ad appuntamenti notturni illeciti.
Quasi altrettanto celebre è la moretta, maschera che consiste in un volto nero ovoidale, destinata esclusivamente alle donne, le quali, trattenendola con la bocca grazie ad un morso posteriore, mantenevano l'anonimato e il silenzio. Si ritiene che l'imposizione del silenzio alle donne non fosse casuale...
La personalità certo svanisce dietro l'eccitante esperienza del mascheramento, ma la suo posto non ne sorge un'altra con relativo complesso di significati. L'anonimato e l'incognito garantiti dalle maschere sublimano le funzioni trasgressive e a fondo sessuale connesse con l'ambiguità della maschera. Da qui evidentemente l'immenso successo di queste maschere.
mercoledì 22 giugno 2011
giovedì 16 giugno 2011
("Andare col sedere sul burro" - Dicesi quando tutto fila via liscio)
lunedì 13 giugno 2011
Quando per un solo voto Venezia non emigrò a Costantinopoli
L'occasione si presentò nel 1204 quando con la quarta crociata Venezia pose il vessillo di San Marco sulle torri imperiali di Bisanzio. Fu lo stesso doge Pietro Ziani che espose in Maggior Consiglio l'ipotesi di trasferire la capitale proprio a Bisanzio, illustrando come la laguna di Venezia fosse povera di risorse e non ci fosse spazio per ampliare la città stessa, per non parlare del continuo pericolo d'inondazione, mentre Costantinopoli era un magnifico paese dotato di tutte le grazie e i doni di Dio.
Angelo Falier, membro di una delle più antiche famiglie veneziane rispose al doge Ziani che tra quelle paludi erano sepolti i loro padri, e che l'asperità e le difficoltà di quei luoghi erano stati la causa stessa della forza dei veneziani.
Si mise quindi al ballottaggio la proposta, e per un solo voto contrario non si aderì alla proposta del trasferimento delle istituzioni veneziane a Bisanzio!
In realtà non c'è traccia alcuna nei documenti storici di questo avvenimento narrato da Molmenti, e il racconto è verosimilmente una leggenda, ma come si sa, dietro ad ogni leggenda c'è sempre un fondo di verità...
venerdì 10 giugno 2011
(Tiziano Scarpa)
giovedì 9 giugno 2011
Marin Sanudo e le cronache veneziane
Fu un importante cronachista della vita veneziana, che descrisse accuratamente in ben 58 volumi. Si occupò di vicende politiche, economiche e militari, ma anche quotidiane e di costume dell'epoca.
I volumi, che vennero pubblicati col titolo di Diarii ed erano composti in lingua veneziana, sono tutt'oggi una fonte inesauribile di notizie per qualunque studioso di storia veneziana, ma anche un semplice lettore vi può trovare innumerevoli particolari e curiosità. La sua scrittura è semplice e diretta, e priva di retorica alcuna.
Marin Sanudo fu anche autore di altre imprese letterarie: Le vite dei Dogi, Itinerario per la terraferma veneziana, De situ et magistratibus urbis Venetae, anch'esse fonti notevoli di informazioni.
Egli possedeva inoltre un'importante biblioteca privata di opere manoscritte e a stampa (tra cui le Cronache di Altino e alcune opere di Poliziano ed Ovidio edite da Aldo Manuzio), molto ammirata dai sui contemporanei, che purtroppo però è andata dispersa con i saccheggi napoleonici.
Nel 1531 il Senato gli concederà un vitalizio di 150 ducati l'anno come riconoscimento dell'alto valore della sua opera.
mercoledì 8 giugno 2011
(Le chiacchiere durano soltanto tre giorni, poi svaniscono perché si dimentica o perché ormai niente più scandalizza davvero...)