VENEZIA
"Con una forza di volontà panteista
Il piccolo artefice del Mar dei Coralli,
Eroico nell'abisso azzurro,
Erige una splendida galleria e una lunga arcata,
Costruzioni ricche di molti fregi, di ghirlande marmoree,
A riprova di ciò che un verme sa fare,
Faticando in un'acqua più bassa,
Esperto in un'arte simile,
Un essere intrepido mostrò la potenza di Pan,
Quando Venezia sorse in scogliere di palazzi"
(H. Melville)
ATTILA
"Tre mesi d'assedio, cibo scarso, l'esercito protesta,
Meditando sotto le mura di Aquileia
Egli vede le cicogne: Guardate! Se ne vanno!
Dio parla agli uccelli. La città è nostra".
Così è.
Non lasciano pietra su pietra dove passano,
Gli abitanti che sopravvivono, fuggono di qua di là,
E alcuni si volgono alla costa, alle paludi,
Alle isole sull'Adriatico. Qui.
Tre generazioni dopo, Cassiodoro,
Li trova, un popolo che, come uccelli acquatici,
Ha fissato il suo nido sul petto delle onde.
Un'economia cresce sul sale, e lo commercia,
Sorge, ed è Venezia. Che adesso sprofonda.
Lo Stato fondato inconsapevolmente dagli Unni"
(P. Martin)
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martedì 2 dicembre 2014
mercoledì 21 maggio 2014
L'isola di Poveglia
L'isola di Poveglia è situata a sud-ovest della laguna veneziana, di fronte a Malamocco.
Anticamente era denominata "Popilia", forse a causa della presenza di numerosi alberi di pioppo, o forse in onore del Console romano Popilio Lena, che aveva fatto costruire la parte settentrionale della via Emilia-Altinate.
Nel 421 l'isola fu occupata dai profughi fuggiti dalle città di Padova e d'Este a causa delle invasioni barbariche. Nell'anno 809 gli abitanti dell'isola si trasferirono nella zona di Rivoalto (attuale Rialto) a causa della guerra di Pipino re di Francia contro Venezia.
Nell'864 venne ucciso il doge Pietro Tradonico (13° doge) a seguito di una congiura. I servi del doge si barricarono nel Palazzo Ducale chiedendo "giustizia" per l'avvenuto omicidio. Il nuovo doge, Orso Partecipazio, riuscì a trattare con la servitù del suo predecessore e permise loro di abitare nell'isola di Poveglia, concedendo ai nuovo abitanti diversi privilegi.
Nell'isola venne costruita una chiesa, con campanile, convento e cavana. L'isola si popolò di circa duecento famiglie, che dopo un secolo si erano moltiplicate ed avevano edificato più d'ottocento case, avviando la coltivazione di campi e orti. Fu anche realizzata la costruzione di un castello fortificato.
L'amministrazione dell'isola era anticamente tenuta da un Tribuno, poi da un Gastaldo Ducale ed infine da un Podestà. Nel 1379 fu deciso dal Senato lo smantellamento del castello fortificato.
Durante la guerra di Chioggia (contro i genovesi), gli abitanti di Poveglia si trasferirono alla Giudecca. Finita la guerra, i povegliani ritornarono in isola, ma la trovarono erosa dalle acque. In seguito la popolazione diminuì sensibilmente, ma per chi decideva di restare furono offerti molti privilegi, come quello di non pagare le tasse, di fare la scorta d'onore al Bucintoro durante la Festa della Sensa, la libera compravendita del pesce per gli anziani e l'esenzione dal servizio militare.
Nel 1527, il magistrato alle Rason Vecchie, che controllava gli interessi di Poveglia, offrì l'isola ai Camaldolesi, che però non l'accettarono. Nel 1777 l'isola passò sotto la giurisdizione del Magistrato alla Sanità. Dal 1793 al 1799, Poveglia fu trasformata in un lazzaretto provvisorio, in quanto su due navi in transito in laguna era scoppiata la peste.
Tra il 1805 e il 1814 l'isola venne nuovamente utilizzata come lazzaretto, essendo tra l'altro piuttosto distante da Venezia. Sotto la dominazione francese, la chiesa venne chiusa. Al suo interno c'era un bel pavimento di marmo, un Crocefisso e una tavola del Tiziano. Il Crocefisso ora è conservato nella chiesa di Malamocco.
Durante l'occupazione austriaca, il campanile della chiesa venne utilizzato come faro.
All'inizio del Novecento l'isola fu utilizzata come luogo di convalescenza per lunghe malattie e come casa di riposo per anziani, ma dal 1968 anche questo utilizzo venne dismesso e l'isola fu ceduta al Demanio.
Nel 2013, assieme a San Giacomo in Paludo, Poveglia è stata messa in vendita per essere recuperata a fini turistici. Nell'aprile del 2014 è nata un'associazione senza fini di lucro, Poveglia per tutti, con lo scopo di partecipare al bando del demanio per aggiudicarsi il possesso dell'isola per 99 anni e permetterne l'uso pubblico. Il 13 maggio 2014 l'imprenditore Luigi Brugnaro, patron di Umana, si è aggiudicato all'asta l'isola per il prezzo di 513mila euro. L’affidamento definitivo è stato però rinviato al 13 giugno, e in questi giorni i tecnici dovranno valutare con attenzione la «congruità dell’offerta».
Anticamente era denominata "Popilia", forse a causa della presenza di numerosi alberi di pioppo, o forse in onore del Console romano Popilio Lena, che aveva fatto costruire la parte settentrionale della via Emilia-Altinate.
Nel 421 l'isola fu occupata dai profughi fuggiti dalle città di Padova e d'Este a causa delle invasioni barbariche. Nell'anno 809 gli abitanti dell'isola si trasferirono nella zona di Rivoalto (attuale Rialto) a causa della guerra di Pipino re di Francia contro Venezia.
Nell'864 venne ucciso il doge Pietro Tradonico (13° doge) a seguito di una congiura. I servi del doge si barricarono nel Palazzo Ducale chiedendo "giustizia" per l'avvenuto omicidio. Il nuovo doge, Orso Partecipazio, riuscì a trattare con la servitù del suo predecessore e permise loro di abitare nell'isola di Poveglia, concedendo ai nuovo abitanti diversi privilegi.
Nell'isola venne costruita una chiesa, con campanile, convento e cavana. L'isola si popolò di circa duecento famiglie, che dopo un secolo si erano moltiplicate ed avevano edificato più d'ottocento case, avviando la coltivazione di campi e orti. Fu anche realizzata la costruzione di un castello fortificato.
L'amministrazione dell'isola era anticamente tenuta da un Tribuno, poi da un Gastaldo Ducale ed infine da un Podestà. Nel 1379 fu deciso dal Senato lo smantellamento del castello fortificato.
Durante la guerra di Chioggia (contro i genovesi), gli abitanti di Poveglia si trasferirono alla Giudecca. Finita la guerra, i povegliani ritornarono in isola, ma la trovarono erosa dalle acque. In seguito la popolazione diminuì sensibilmente, ma per chi decideva di restare furono offerti molti privilegi, come quello di non pagare le tasse, di fare la scorta d'onore al Bucintoro durante la Festa della Sensa, la libera compravendita del pesce per gli anziani e l'esenzione dal servizio militare.
Nel 1527, il magistrato alle Rason Vecchie, che controllava gli interessi di Poveglia, offrì l'isola ai Camaldolesi, che però non l'accettarono. Nel 1777 l'isola passò sotto la giurisdizione del Magistrato alla Sanità. Dal 1793 al 1799, Poveglia fu trasformata in un lazzaretto provvisorio, in quanto su due navi in transito in laguna era scoppiata la peste.
Tra il 1805 e il 1814 l'isola venne nuovamente utilizzata come lazzaretto, essendo tra l'altro piuttosto distante da Venezia. Sotto la dominazione francese, la chiesa venne chiusa. Al suo interno c'era un bel pavimento di marmo, un Crocefisso e una tavola del Tiziano. Il Crocefisso ora è conservato nella chiesa di Malamocco.
Durante l'occupazione austriaca, il campanile della chiesa venne utilizzato come faro.
All'inizio del Novecento l'isola fu utilizzata come luogo di convalescenza per lunghe malattie e come casa di riposo per anziani, ma dal 1968 anche questo utilizzo venne dismesso e l'isola fu ceduta al Demanio.
Nel 2013, assieme a San Giacomo in Paludo, Poveglia è stata messa in vendita per essere recuperata a fini turistici. Nell'aprile del 2014 è nata un'associazione senza fini di lucro, Poveglia per tutti, con lo scopo di partecipare al bando del demanio per aggiudicarsi il possesso dell'isola per 99 anni e permetterne l'uso pubblico. Il 13 maggio 2014 l'imprenditore Luigi Brugnaro, patron di Umana, si è aggiudicato all'asta l'isola per il prezzo di 513mila euro. L’affidamento definitivo è stato però rinviato al 13 giugno, e in questi giorni i tecnici dovranno valutare con attenzione la «congruità dell’offerta».
lunedì 6 gennaio 2014
Il sistema fognario veneziano
La laguna, si sa, è da sempre le difesa naturale di Venezia, che difatti non ha mai avuto bisogno di costruire mura difensive. Ma le sue acque hanno però anche un altro, fondamentale, pur se più umile, compito: quello di ripulire la città.
Tutto il sistema fognario di Venezia è affidato all'acqua dei suoi canali che due volte al giorno, con il ritmo della marea, portano via l'acqua sporca e riportano l'acqua pulita dal mare: "l'acqua va in mar" e "il mar va in acqua" dicono i veneziani per descrivere questo processo.
Oggi il mare è forse meno limpido di un tempo, ma tuttora la marea crescente porta un fiume di acqua pulita in ogni rio della città e trascina via lordure d'ogni genere.
Venezia era considerata città pulita e salubre, almeno sino a che le nuove tecniche non dotarono le altre città di sistemi fognari più moderni ed efficienti.
Tutte le abitazioni erano dotate di un sistema di tubature di ceramica, dette canoni da necessario (sembra evidente che cosa si intendesse per necessario...), inserite all'interno dei muri, che scaricavano le acque nere nei gatoli, canalizzazioni sottostanti le pavimentazioni stradali. Da qui venivano convogliate nei canali. Il sistema funziona in gran parte ancora oggi, con qualche cautela in più: prima di arrivare nei rii, il materiale si deposita e decanta nelle vasche biologiche, mentre altre misure igieniche si prendono per gli alberghi e altre sedi.
Fondamentale rimane comunque la funzione di igiene urbana operata dalle acque lagunari.
(Fonte: G. Gianighian, P. Pavanini)
Tutto il sistema fognario di Venezia è affidato all'acqua dei suoi canali che due volte al giorno, con il ritmo della marea, portano via l'acqua sporca e riportano l'acqua pulita dal mare: "l'acqua va in mar" e "il mar va in acqua" dicono i veneziani per descrivere questo processo.
Oggi il mare è forse meno limpido di un tempo, ma tuttora la marea crescente porta un fiume di acqua pulita in ogni rio della città e trascina via lordure d'ogni genere.
Venezia era considerata città pulita e salubre, almeno sino a che le nuove tecniche non dotarono le altre città di sistemi fognari più moderni ed efficienti.
Tutte le abitazioni erano dotate di un sistema di tubature di ceramica, dette canoni da necessario (sembra evidente che cosa si intendesse per necessario...), inserite all'interno dei muri, che scaricavano le acque nere nei gatoli, canalizzazioni sottostanti le pavimentazioni stradali. Da qui venivano convogliate nei canali. Il sistema funziona in gran parte ancora oggi, con qualche cautela in più: prima di arrivare nei rii, il materiale si deposita e decanta nelle vasche biologiche, mentre altre misure igieniche si prendono per gli alberghi e altre sedi.
Fondamentale rimane comunque la funzione di igiene urbana operata dalle acque lagunari.
(Fonte: G. Gianighian, P. Pavanini)
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martedì 6 dicembre 2011
All'inizio fu il sale
Il prefetto romano Cassiodoro, nel VI secolo dc, ci lascia una descrizione minuta della laguna e dei suoi abitanti. Tra le immagini più colorite spicca la descrizione dell'uso di legare una barca fuori di casa invece del cavallo. Ma quello che colpisce di più è la considerazione che mentre gli altri fanno girare falci e aratri, gli abitanti della laguna ricavano e triturano sale. E ciò che all'inizio era una pura necessità, diventa ben presto un'immensa fonte di guadagno, dato che il sale assumerà un valore altissimo, tale da essere usato come moneta di scambio.
All'inizio dunque è il sale. E le notizie, anche se incerte e frammentarie fanno supporre che in laguna si estraesse il sale fin dai tempi dei romani. Nel paesaggio lagunare, appena antropomorfizzato, queste rudimentali saline nel volgere di alcuni secoli, diventano sempre più funzionali e facilmente gestibili. Tanto che Lorenzo de Monacis nel suo Chronicon scrive che erano veramente sorprendenti e magnifiche e una delle cose che più ammiravano i foresti in visita. Gli abitanti della laguna però non le chiamavano saline, ma "fondamentum".
Alla fine del XII secolo si contano 120 fondamenti, di cui una settantina nella laguna di Chioggia e molte altre tra Murano, Torcello e Sant'Erasmo. Ma quello che è davvero sorprendente è il numero di saline presenti all'interno della stessa Venezia: circa una decina! Nel Trecento se ne ricordano ancora a San Silvestro, ai Frari e a San Basilio. Ma già nel Quattrocento queste saline cittadine scompaiono e resta solo il ricordo nella toponomastica "Fondamenta".
In ogni caso la produzione di sale è così immensa che Venezia detiene il monopolio per la fornitura del sale in tutta Europa e nel Mediterraneo orientale. Il sale, sia grezzo che raffinato, viene conservato in enormi magazzini situati parte sull'isola della Giudecca e parte nei depositi alla Punta della Dogana.
Naturalmente all'epoca il sale non veniva usato solo per insaporire i piatti, ma anche, anzi, soprattutto per la conservazione dei cibi.
All'inizio dunque è il sale. E le notizie, anche se incerte e frammentarie fanno supporre che in laguna si estraesse il sale fin dai tempi dei romani. Nel paesaggio lagunare, appena antropomorfizzato, queste rudimentali saline nel volgere di alcuni secoli, diventano sempre più funzionali e facilmente gestibili. Tanto che Lorenzo de Monacis nel suo Chronicon scrive che erano veramente sorprendenti e magnifiche e una delle cose che più ammiravano i foresti in visita. Gli abitanti della laguna però non le chiamavano saline, ma "fondamentum".
Alla fine del XII secolo si contano 120 fondamenti, di cui una settantina nella laguna di Chioggia e molte altre tra Murano, Torcello e Sant'Erasmo. Ma quello che è davvero sorprendente è il numero di saline presenti all'interno della stessa Venezia: circa una decina! Nel Trecento se ne ricordano ancora a San Silvestro, ai Frari e a San Basilio. Ma già nel Quattrocento queste saline cittadine scompaiono e resta solo il ricordo nella toponomastica "Fondamenta".
In ogni caso la produzione di sale è così immensa che Venezia detiene il monopolio per la fornitura del sale in tutta Europa e nel Mediterraneo orientale. Il sale, sia grezzo che raffinato, viene conservato in enormi magazzini situati parte sull'isola della Giudecca e parte nei depositi alla Punta della Dogana.
Naturalmente all'epoca il sale non veniva usato solo per insaporire i piatti, ma anche, anzi, soprattutto per la conservazione dei cibi.
lunedì 7 novembre 2011
Fondamenta Zattere
Di fronte all'isola della Giudecca si trova una larga fondamenta, fatta costruire in pietra per decreto del Magistrato alle Acque dell'8 febbraio 1519 e terminata nel 1531. La fondamenta è molto lunga, giacché parte da Santa Marta, costeggia tutto il Canale della Giudecca fino alla Punta della Dogana e ha nome al plurale: le Zattere.
In realtà la fondamenta è suddivisa in: Molin, al Ponte Longo, ai Gesuati, agli Incurabili (dove si trova anche una targa dedicata al poeta Josif Brodskij), allo Spirito Santo, ai Saloni, de la Dogana, a la Salute; ma tutti la chiamano semplicemente "Zattere".
Anticamente veniva chiamata Carbonaria, come era chiamato anche il canale della Giudecca, per i carichi di carbone che qui arrivavano e si scaricavano. Poi fu chiamata Zattere perché vi approdavano le grosse zattere che, navigando lungo i fiumi che scendono dalle montagne venete, portavano il legname in città. Vi fu anche un decreto dei Provveditori alle Legne e Boschi del 1640, che imponeva a tutti i trasportatori di legname di scaricare esclusivamente in questo luogo. Nel XVII secolo alle Zattere esisteva anche un teatro per opere musicali.
Vi si affacciano inoltre le chiese dei Gesuati e dei Domenicani, oltre all'enorme complesso dell'antico Ospedale degli Incurabili, oggi occupato dall'Accademia di Belle Arti di Venezia.
La Fondamenta è senz'altro una delle più belle passeggiate di Venezia e, per l'esposizione a sud, vi si può gustare un po' di calore nelle giornate di sole autunnali, o ammirare meravigliosi tramonti sulla laguna.
In realtà la fondamenta è suddivisa in: Molin, al Ponte Longo, ai Gesuati, agli Incurabili (dove si trova anche una targa dedicata al poeta Josif Brodskij), allo Spirito Santo, ai Saloni, de la Dogana, a la Salute; ma tutti la chiamano semplicemente "Zattere".
Anticamente veniva chiamata Carbonaria, come era chiamato anche il canale della Giudecca, per i carichi di carbone che qui arrivavano e si scaricavano. Poi fu chiamata Zattere perché vi approdavano le grosse zattere che, navigando lungo i fiumi che scendono dalle montagne venete, portavano il legname in città. Vi fu anche un decreto dei Provveditori alle Legne e Boschi del 1640, che imponeva a tutti i trasportatori di legname di scaricare esclusivamente in questo luogo. Nel XVII secolo alle Zattere esisteva anche un teatro per opere musicali.
Vi si affacciano inoltre le chiese dei Gesuati e dei Domenicani, oltre all'enorme complesso dell'antico Ospedale degli Incurabili, oggi occupato dall'Accademia di Belle Arti di Venezia.
La Fondamenta è senz'altro una delle più belle passeggiate di Venezia e, per l'esposizione a sud, vi si può gustare un po' di calore nelle giornate di sole autunnali, o ammirare meravigliosi tramonti sulla laguna.
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venerdì 21 ottobre 2011
Vela al terzo nella Laguna di Venezia
Tipica delle lagune venete, la vela la terzo è chiamata così perché le barche sono armate con una vela con l'antenna superiore fissata all'albero a circa un terzo della sua lunghezza: questo per contrastare il forte scarroccio generato dal fondo piatto e dal basso pescaggio dei natanti. Il grande timone mobile (che nell'acqua bassa si deve poter sollevare) delle barche con vela al terzo funge anche da deriva.
La forma della vela non è triangolare come nelle barche a vela normali ma trapezoidale, con un lato molto alto che supera anche l'albero stesso per poter catturare meglio il vento.
Nei secoli scorsi era l'unico mezzo di propulsione nella laguna veneta oltre ai remi. Le vele erano tutte colorate in modo diverso, per poter distinguere le varie barche anche da lontano.
In genera la vela viene sempre tenuta a sinistra dell'albero e, a seconda della direzione del vento, funziona anche appoggiata all'albero stesso. L'andatura migliore per questo tipo di vela è con il vento "al giardinetto", cioè proveniente da poppa e spostato di circa trenta gradi, ma può tenere anche una discreta bolina, cioè con il vento quasi di fronte.
Abbandonata per decenni a favore dei motori, la vela al terzo ha visto negli ultimi anni un rifiorire di associazioni di amanti delle tradizioni popolari che ne hanno riportato in auge l'uso. La laguna si presta molto al diporto e si possono vedere sempre più spesso delle vele colorate che, lente ma non troppo, percorrono la laguna veneziana in lungo e in largo: è un modo meraviglioso per godersi la natura nel silenzio delle barene, lontano dalla frenesia dei motori.
La forma della vela non è triangolare come nelle barche a vela normali ma trapezoidale, con un lato molto alto che supera anche l'albero stesso per poter catturare meglio il vento.
Nei secoli scorsi era l'unico mezzo di propulsione nella laguna veneta oltre ai remi. Le vele erano tutte colorate in modo diverso, per poter distinguere le varie barche anche da lontano.
In genera la vela viene sempre tenuta a sinistra dell'albero e, a seconda della direzione del vento, funziona anche appoggiata all'albero stesso. L'andatura migliore per questo tipo di vela è con il vento "al giardinetto", cioè proveniente da poppa e spostato di circa trenta gradi, ma può tenere anche una discreta bolina, cioè con il vento quasi di fronte.
Abbandonata per decenni a favore dei motori, la vela al terzo ha visto negli ultimi anni un rifiorire di associazioni di amanti delle tradizioni popolari che ne hanno riportato in auge l'uso. La laguna si presta molto al diporto e si possono vedere sempre più spesso delle vele colorate che, lente ma non troppo, percorrono la laguna veneziana in lungo e in largo: è un modo meraviglioso per godersi la natura nel silenzio delle barene, lontano dalla frenesia dei motori.
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mercoledì 20 luglio 2011
Isola Monte dell'Oro
Questo piccolo isolotto deve il suo suggestivo nome ad un'antica leggenda che lo vuole depositario, nelle sue viscere, del tesoro di Attila. Sembra infatti che gli Unni, inseguendo gli abitanti di Altino, che cercavano rifugio nella laguna di Venezia, fossero finiti impantanati con i loro pesanti carri in queste insidiose barene. Proprio lì, il più pesante di questi carri, carico del bottino di guerra e, secondo la leggenda, dello stesso arco di Attila, finì inghiottito nel fango.
Molti pescatori narrano che di notte si possono ancora vedere gli spiriti degli Unni che vigilano sul tesoro; tesoro ritenuto maledetto perché chiunque provò a cercarlo morì di morte violenta.
Data la posizione strategica, l'isola venne utilizzata per ricoprire un ruolo nel sistema difensivo ottocentesco della laguna. Vi si costruì una postazione d'artiglieria con un presidio di una cinquantina di militari.
Oggi l'isola si presenta come un dosso dalla forma tondeggiante con alle spalle la Palude della Rosa, e del tutto spoglia. Non resta che la suggestione del nome, l'affascinante vista sul paesaggio lagunare ed il piacere di cogliere qualche mora selvatica in estate sognando tesori nascosti.
Molti pescatori narrano che di notte si possono ancora vedere gli spiriti degli Unni che vigilano sul tesoro; tesoro ritenuto maledetto perché chiunque provò a cercarlo morì di morte violenta.
Data la posizione strategica, l'isola venne utilizzata per ricoprire un ruolo nel sistema difensivo ottocentesco della laguna. Vi si costruì una postazione d'artiglieria con un presidio di una cinquantina di militari.
Oggi l'isola si presenta come un dosso dalla forma tondeggiante con alle spalle la Palude della Rosa, e del tutto spoglia. Non resta che la suggestione del nome, l'affascinante vista sul paesaggio lagunare ed il piacere di cogliere qualche mora selvatica in estate sognando tesori nascosti.
mercoledì 23 marzo 2011
Tour in barca per la Laguna di Venezia
L'offerta dei servizi de L'altra Venezia si arricchisce ancora: un nuovo itinerario in barca a vela alla scoperta delle isole della Laguna Nord di Venezia.
Il tour, creato in collaborazione con l'Associazione Navigador, viene effettuato su una tipica imbarcazione dell'alto Adriatico, il "bragozzo", mosso a vela o a motore.
Già dalla seconda metà del Cinquecento, il bragozzo veniva utilizzato come barca da pesca lagunare. Nel tempo divenne una vera e propria barca d'altura per la pesca in mare.
La proposta ha l'obiettivo di andare alla scoperta di alcune isole poco conosciute (anche perché non raggiungibili con i mezzi pubblici) e delle attività di pesca e viticoltura che ancora vi vengono svolte.
L'itinerario prevede:
- partenza da Venezia (Ponte Tre Archi, raggiungibile a piedi o con i vaporetti linee 51, 52, 41, 42) o dalla terraferma (Forte Marghera a Mestre, raggiungibile in auto)
- navigazione in laguna fino all'isola di Mazzorbo, dove è previsto un incontro con i pescatori locali
- sbarco e visita alla chiesa di S. Caterina e alla cantina Venissa
- passeggiata a piedi fino a Burano dove ci si imbarca nuovamente con destinazione Isola di San Francesco del Deserto
- pranzo a bordo con prodotti tipici veneti
- nel pomeriggio visita del convento francescano
- imbarco e navigazione costeggiando l'isola di Sant'Erasmo, ricca di orti che forniscono le primizie poi vendute al mercato di Rialto
- sbarco e visita guidata all'isola del Lazzaretto Nuovo (area archeologica)
- imbarco e ritorno al punto di partenza nel tardo pomeriggio
Il tour viene effettuato per un minimo di 6 persone.
Periodo: da maggio ad ottobre.
Per maggiori informazioni: info@laltravenezia.it
o scheda tecnica: http://issuu.com/walterfano/docs/laguna_nord_laltravenezia
Il tour, creato in collaborazione con l'Associazione Navigador, viene effettuato su una tipica imbarcazione dell'alto Adriatico, il "bragozzo", mosso a vela o a motore.
Già dalla seconda metà del Cinquecento, il bragozzo veniva utilizzato come barca da pesca lagunare. Nel tempo divenne una vera e propria barca d'altura per la pesca in mare.
La proposta ha l'obiettivo di andare alla scoperta di alcune isole poco conosciute (anche perché non raggiungibili con i mezzi pubblici) e delle attività di pesca e viticoltura che ancora vi vengono svolte.
L'itinerario prevede:
- partenza da Venezia (Ponte Tre Archi, raggiungibile a piedi o con i vaporetti linee 51, 52, 41, 42) o dalla terraferma (Forte Marghera a Mestre, raggiungibile in auto)
- navigazione in laguna fino all'isola di Mazzorbo, dove è previsto un incontro con i pescatori locali
- sbarco e visita alla chiesa di S. Caterina e alla cantina Venissa
- passeggiata a piedi fino a Burano dove ci si imbarca nuovamente con destinazione Isola di San Francesco del Deserto
- pranzo a bordo con prodotti tipici veneti
- nel pomeriggio visita del convento francescano
- imbarco e navigazione costeggiando l'isola di Sant'Erasmo, ricca di orti che forniscono le primizie poi vendute al mercato di Rialto
- sbarco e visita guidata all'isola del Lazzaretto Nuovo (area archeologica)
- imbarco e ritorno al punto di partenza nel tardo pomeriggio
Il tour viene effettuato per un minimo di 6 persone.
Periodo: da maggio ad ottobre.
Per maggiori informazioni: info@laltravenezia.it
o scheda tecnica: http://issuu.com/walterfano/docs/laguna_nord_laltravenezia
lunedì 14 marzo 2011
Sviluppo urbano nell'antica Venezia
Lo sviluppo urbano di Venezia è stato fortemente condizionato dall'ambiente naturale così insolito: la disposizione dei suoi spazi è stata dettata infatti dal continuo rapporto terra-acqua.
Per potersi sviluppare, la città ha dovuto strappare all'acqua il terreno su cui sorgere, rassodando con palafitte di legno o con strati di pietra gli isolotti situati nei luoghi maggiormente difendibili, tanto che il suo tessuto urbano ha assunto caratteristiche apparentemente casuali.
La laguna ha condizionato anche il gusto dei suoi abitanti, perché i rapporti spazio-colore e architettura-luce divennero fondamentali. L'architettura è misura e costruzione dello spazio, ma a Venezia lo spazio si trasformò in luce e colore.
E' facilmente intuibile come ambiente, clima e costume degli abitanti furono gli elementi che maggiormente condizionarono la realizzazione degli edifici pubblici e privati.
La prima accurata descrizione dell'ambiente lagunare è quella del prefetto romano Cassiodoro (VI secolo): "abitanti liberi e autonomi le cui risorse di vita sono la pesca e il sale, e le loro abitazioni sono per lo più di legno con tetto di paglia, materiali adatti ad un terreno fragile e fangoso".
Già nel IX secolo, in alcune zone dal terreno più compatto, si incominciò a costruire anche con la pietra, materiali provenienti per lo più dagli edifici romani distrutti dalle orde barbariche nelle zone di Aquileia e Altino.
Le case erano a due piani: quello inferiore in argilla, più umido, destinato a deposito e quello superiore in legno, più asciutto, ad uso abitativo. Le finestre erano strette, con inferriate, e non era ancora evidente, nella struttura, la distinzione tra i vari ceti sociali.
Nei quattro secoli seguenti si delineò (seguendo un principio policentrico, per cui intorno ad un campo e ad una chiesa si sviluppava il tessuto urbano) l'intera struttura della città, e a fine Trecento Venezia aveva già pienamente raggiunto la sua conformazione e dimensione, non molto diversa da quella che vediamo oggi.
Per potersi sviluppare, la città ha dovuto strappare all'acqua il terreno su cui sorgere, rassodando con palafitte di legno o con strati di pietra gli isolotti situati nei luoghi maggiormente difendibili, tanto che il suo tessuto urbano ha assunto caratteristiche apparentemente casuali.
La laguna ha condizionato anche il gusto dei suoi abitanti, perché i rapporti spazio-colore e architettura-luce divennero fondamentali. L'architettura è misura e costruzione dello spazio, ma a Venezia lo spazio si trasformò in luce e colore.
E' facilmente intuibile come ambiente, clima e costume degli abitanti furono gli elementi che maggiormente condizionarono la realizzazione degli edifici pubblici e privati.
La prima accurata descrizione dell'ambiente lagunare è quella del prefetto romano Cassiodoro (VI secolo): "abitanti liberi e autonomi le cui risorse di vita sono la pesca e il sale, e le loro abitazioni sono per lo più di legno con tetto di paglia, materiali adatti ad un terreno fragile e fangoso".
Già nel IX secolo, in alcune zone dal terreno più compatto, si incominciò a costruire anche con la pietra, materiali provenienti per lo più dagli edifici romani distrutti dalle orde barbariche nelle zone di Aquileia e Altino.
Le case erano a due piani: quello inferiore in argilla, più umido, destinato a deposito e quello superiore in legno, più asciutto, ad uso abitativo. Le finestre erano strette, con inferriate, e non era ancora evidente, nella struttura, la distinzione tra i vari ceti sociali.
Nei quattro secoli seguenti si delineò (seguendo un principio policentrico, per cui intorno ad un campo e ad una chiesa si sviluppava il tessuto urbano) l'intera struttura della città, e a fine Trecento Venezia aveva già pienamente raggiunto la sua conformazione e dimensione, non molto diversa da quella che vediamo oggi.
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mercoledì 1 dicembre 2010
Cibi da mar
Se prendiamo alla lettera le lamentele dei passeggeri delle navi veneziane, ci facciamo l'idea che le cose commestibili a bordo fossero ben poche, in realtà non si mangia così male, ma tutto dipende, come si direbbe oggi, dal "pacchetto" che si sceglie!
I pellegrini che nel Medioevo vanno in Terrasanta, se sono poveri, provvedono al vitto per proprio conto, gli altri si accordano con la formula "all inclusive", che comprende anche i pasti a bordo. I più ricchi mangiano alla tavola del capitano, di solito ben rifornita.
Il nobiluomo veneziano Alessandro Magno, imbarcatosi nel 1557 alla volta di Cipro, parla di tre tavole: tra la prima (quella del capitano) e la seconda (frequentata dall'equipaggio specializzato), non c'è molta differenza, si mangia egualmente bene, Nella terza tavola la qualità scende e, ad esempio, il vino è allungato con l'acqua, anche perché è difficile conservarlo a bordo. Il rituale delle tre tavole che rompe la monotonia del mare e offre occasioni di contatti sociali, colpisce il francese Carlier de Pinon, che ci lascia una descrizione vivissima del suo viaggio verso Levante su una nave Veneziana. Ma qual è la lista delle vivande descritta da Carlier de Pinon? Formaggi, carni e pesci salati, olio, vino e acqua di base, ma poi nei porti le navi si riforniscono anche di frutta, uova e verdure. E' diffusa comunque l'abitudine di tenere a bordo animali vivi: pollame, pecore e vitelli che vengono macellati all'occorrenza.
Anche se l'alimentazione da mar, risponde innanzitutto all'esigenza di consumare derrate a lunga conservazione, è innegabile che ci sia anche una certa attenzione verso la salubrità dei cibi. Prevenire disturbi fisici legati al consumo dei cibi è considerato fondamentale soprattutto per gli uomini dell'equipaggio che devono mantenersi in forze per condurre la nave a destinazione. Una malattia piuttosto diffusa è lo scorbuto e per combatterla sulle navi veneziane si consumano rametti carnosi e gonfi di succo salato di una pianta spontanea della laguna veneta: la salicornia. Ad alto contenuto di acido ascorbico, si può mangiare fresca in insalata, o bollita come i fagiolini, ma sottaceto è una vera prelibatezza.
L'altra derrata marittima di cui i veneziani vanno fieri è il panbiscotto, una galletta di alta qualità e lunga durata, confezionata con farina di grano e burro, ma di cui la ricetta completa era ed è tutt'oggi segreta. Durante degli scavi eseguiti sull'isola di Creta, a metà Ottocento, vennero ritrovate delle scorte di panbiscotto risalenti alla guerra con i Turchi nel Seicento, ed erano ancora commestibili!
English version
Version française
(Fonte: C.Coco)
I pellegrini che nel Medioevo vanno in Terrasanta, se sono poveri, provvedono al vitto per proprio conto, gli altri si accordano con la formula "all inclusive", che comprende anche i pasti a bordo. I più ricchi mangiano alla tavola del capitano, di solito ben rifornita.
Il nobiluomo veneziano Alessandro Magno, imbarcatosi nel 1557 alla volta di Cipro, parla di tre tavole: tra la prima (quella del capitano) e la seconda (frequentata dall'equipaggio specializzato), non c'è molta differenza, si mangia egualmente bene, Nella terza tavola la qualità scende e, ad esempio, il vino è allungato con l'acqua, anche perché è difficile conservarlo a bordo. Il rituale delle tre tavole che rompe la monotonia del mare e offre occasioni di contatti sociali, colpisce il francese Carlier de Pinon, che ci lascia una descrizione vivissima del suo viaggio verso Levante su una nave Veneziana. Ma qual è la lista delle vivande descritta da Carlier de Pinon? Formaggi, carni e pesci salati, olio, vino e acqua di base, ma poi nei porti le navi si riforniscono anche di frutta, uova e verdure. E' diffusa comunque l'abitudine di tenere a bordo animali vivi: pollame, pecore e vitelli che vengono macellati all'occorrenza.
Anche se l'alimentazione da mar, risponde innanzitutto all'esigenza di consumare derrate a lunga conservazione, è innegabile che ci sia anche una certa attenzione verso la salubrità dei cibi. Prevenire disturbi fisici legati al consumo dei cibi è considerato fondamentale soprattutto per gli uomini dell'equipaggio che devono mantenersi in forze per condurre la nave a destinazione. Una malattia piuttosto diffusa è lo scorbuto e per combatterla sulle navi veneziane si consumano rametti carnosi e gonfi di succo salato di una pianta spontanea della laguna veneta: la salicornia. Ad alto contenuto di acido ascorbico, si può mangiare fresca in insalata, o bollita come i fagiolini, ma sottaceto è una vera prelibatezza.
L'altra derrata marittima di cui i veneziani vanno fieri è il panbiscotto, una galletta di alta qualità e lunga durata, confezionata con farina di grano e burro, ma di cui la ricetta completa era ed è tutt'oggi segreta. Durante degli scavi eseguiti sull'isola di Creta, a metà Ottocento, vennero ritrovate delle scorte di panbiscotto risalenti alla guerra con i Turchi nel Seicento, ed erano ancora commestibili!
English version
Version française
(Fonte: C.Coco)
martedì 14 settembre 2010
Una gita in barca in laguna
cliccare sul titolo per il link alla foto-storia
lunedì 5 luglio 2010
Indiani in Laguna
Da sempre i veneziani sono considerati dei validi navigatori. Sembra che alcuni di essi facessero parte dell'equipaggio della piccola flotta di Erik il Rosso quando, all'inizio del XI secolo, superati l'Islanda e i banchi di Terranova raggiunse l'attuale Maine per fondare la mitica Vinland, "terra del vino e del miele", la prima comunità bianca del Mondo Nuovo.
Tutto questo molto prima di Colombo e dei Caboto...
Quella piccola colonia seppe convivere con gli indigeni per parecchi anni, finché, sembra per una storia di donne, i rapporti con gli indiani si guastarono e i bianchi dovettero fuggire.
Si racconta che uno di questi marinai di origine veneziana ritornò a Mazzorbo, completamente tatuato, accompagnato da una donna dai grandi orecchini e dai lunghi capelli nerissimi. La si vedeva spesso avvolta nella sua colorata coperta guardare lontano oltre le barene...
I due ebbero molti figli, che non tatuarono. Sembra inoltre che la donna fosse bravissima a conciare le pelli. Quell'inverno quasi tutti a Mazzorbo circolavano con dei vistosi berretti di pelle di coniglio...
Fonte: Fuga e Vianello
Tutto questo molto prima di Colombo e dei Caboto...
Quella piccola colonia seppe convivere con gli indigeni per parecchi anni, finché, sembra per una storia di donne, i rapporti con gli indiani si guastarono e i bianchi dovettero fuggire.
Si racconta che uno di questi marinai di origine veneziana ritornò a Mazzorbo, completamente tatuato, accompagnato da una donna dai grandi orecchini e dai lunghi capelli nerissimi. La si vedeva spesso avvolta nella sua colorata coperta guardare lontano oltre le barene...
I due ebbero molti figli, che non tatuarono. Sembra inoltre che la donna fosse bravissima a conciare le pelli. Quell'inverno quasi tutti a Mazzorbo circolavano con dei vistosi berretti di pelle di coniglio...
Fonte: Fuga e Vianello
giovedì 17 giugno 2010
Il Mose e i problemi della Laguna di Venezia
Venezia ha dovuto combattere una millenaria battaglia contro le azioni esterne, assai più difficile di quella di qualunque altra città, e fino a tutto il Settecento la Repubblica Serenissima seppe mantenere il precario equilibrio per la sopravvivenza della città e della laguna. Oggi questa lotta si fa più complicata per l'azione di fenomeni nuovi, che ne intaccano fisicamente la struttura, per lo più di origine umana:
- il moto ondoso prodotto dai natanti a motore che corrode le fondazioni degli edifici e gli argini dei canali;
- l'inquinamento dovuto soprattutto (ma non solo) dagli scarichi degli insediamenti in terraferma;
- l'abbassamento del suolo derivante dall'emungimento intensivo del sottosuolo nell'area industriale di Porto Marghera (è stato calcolato un abbassamento reale, in quest'ultimo secolo, del fondo della laguna di circa 30cm!);
- l'innalzamento del livello del mare.
Di tutti questi e di tanti altri problemi, quello delle acque alte è sicuramente il più drammatico. Si tratta di un fenomeno sempre esistito a Venezia, ma che nell'ultimo secolo ha raggiunto frequenze e altezze davvero preoccupanti.
A questo proposito bisogna ricordare quali sono le caratteristiche della laguna stessa: si tratta di uno spazio acqueo (circa 500 Kmq) separato dal mare dalle isole del litorale (Lido e Pellestrina), e ad esso collegata da tre aperture (dette bocche): del Lido, di Malamocco e di Chioggia. Attraverso queste bocche l'acqua del mare entra ed esce seguendo il ritmo delle maree (e cioè due volte al giorno) assicurando l'indispensabile ricambio per la sopravvivenza della Laguna.
Si tratta quindi di un sistema precario da sempre assicurato dalle vigili attenzioni della Repubblica. Equilibrio che negli ultimi tempi è venuto meno per una serie di ragioni concomitanti:
- l'abbassamento del suolo di cui si è detto poc'anzi;
- il maggior volume di acqua che entra dal mare dovuto allo scavo dei canali per il passaggio delle petroliere (...);
- la difficoltà per l'acqua che entra in laguna di espandersi liberamente per il fatto che molte aree barenose sono state convertite ad altri usi (zone industriali di Marghera, il nuovo aeroporto Marco Polo, ecc.) o trasformate in valli da pesca impedendo comunque la libera circolazione delle maree;
- il mancato dragaggio dei canali effettuato dalla Repubblica per mille anni e interrotto a partire dal 1800.
Una situazione grave quindi che avrebbe richiesto una soluzione agente su piani diversi:
- puntando al recupero altimetrico del fondo della laguna (uno dei progetti presentati prevedeva l'iniezione di una schiuma espandente nelle cavità del sottosuolo svuotate dalle industrie di Porto Marghera per recuperare quei 30 cm persi);
- riducendo i volumi d'acqua scambiati tra mare e laguna, ottenibile attraverso un ridimensionamento delle sezioni delle tre bocche di porto;
- migliorando la penetrabilità acquea con la riapertura delle casse di colmata della zona industriale;
- il ripristino della pratica di dragaggio dei canali.
Ma alla fine si è scelta una soluzione diversa. Si stanno costruendo delle enormi paratie mobili sul fondo delle tre bocche di porto, che normalmente staranno sul fondo e che in caso di notevoli alte maree (oltre 110cm) si sollevano e separano il mare dalla laguna. Stiamo parlando del "Mose" (acronimo di MOdulo Sperimentale Elettromeccanico)
In pratica stiamo spendendomilioni miliardi di euro per costruire un opera immensa che servirà solo poche volte all'anno (cioè quando le previsoni dell'acqua alta in città supereranno i 110cm) e che nel caso in cui davvero il livello del mare (come sembra ormai confermato) dovesse continuare ad alzarsi, dovrà separare in maniera definitiva la laguna dal mare facendola morire.
E' come se per aprire la porta di casa, di cui abbiamo accidentalmente dimenticato le chiavi, invece di chiamare un fabbro utilizzassimo un carro armato, con tutte le conseguenze del caso, da quelle economiche al risultato ottenibile.
Per approfondire: nomose
- il moto ondoso prodotto dai natanti a motore che corrode le fondazioni degli edifici e gli argini dei canali;
- l'inquinamento dovuto soprattutto (ma non solo) dagli scarichi degli insediamenti in terraferma;
- l'abbassamento del suolo derivante dall'emungimento intensivo del sottosuolo nell'area industriale di Porto Marghera (è stato calcolato un abbassamento reale, in quest'ultimo secolo, del fondo della laguna di circa 30cm!);
- l'innalzamento del livello del mare.
Di tutti questi e di tanti altri problemi, quello delle acque alte è sicuramente il più drammatico. Si tratta di un fenomeno sempre esistito a Venezia, ma che nell'ultimo secolo ha raggiunto frequenze e altezze davvero preoccupanti.
A questo proposito bisogna ricordare quali sono le caratteristiche della laguna stessa: si tratta di uno spazio acqueo (circa 500 Kmq) separato dal mare dalle isole del litorale (Lido e Pellestrina), e ad esso collegata da tre aperture (dette bocche): del Lido, di Malamocco e di Chioggia. Attraverso queste bocche l'acqua del mare entra ed esce seguendo il ritmo delle maree (e cioè due volte al giorno) assicurando l'indispensabile ricambio per la sopravvivenza della Laguna.
Si tratta quindi di un sistema precario da sempre assicurato dalle vigili attenzioni della Repubblica. Equilibrio che negli ultimi tempi è venuto meno per una serie di ragioni concomitanti:
- l'abbassamento del suolo di cui si è detto poc'anzi;
- il maggior volume di acqua che entra dal mare dovuto allo scavo dei canali per il passaggio delle petroliere (...);
- la difficoltà per l'acqua che entra in laguna di espandersi liberamente per il fatto che molte aree barenose sono state convertite ad altri usi (zone industriali di Marghera, il nuovo aeroporto Marco Polo, ecc.) o trasformate in valli da pesca impedendo comunque la libera circolazione delle maree;
- il mancato dragaggio dei canali effettuato dalla Repubblica per mille anni e interrotto a partire dal 1800.
Una situazione grave quindi che avrebbe richiesto una soluzione agente su piani diversi:
- puntando al recupero altimetrico del fondo della laguna (uno dei progetti presentati prevedeva l'iniezione di una schiuma espandente nelle cavità del sottosuolo svuotate dalle industrie di Porto Marghera per recuperare quei 30 cm persi);
- riducendo i volumi d'acqua scambiati tra mare e laguna, ottenibile attraverso un ridimensionamento delle sezioni delle tre bocche di porto;
- migliorando la penetrabilità acquea con la riapertura delle casse di colmata della zona industriale;
- il ripristino della pratica di dragaggio dei canali.
Ma alla fine si è scelta una soluzione diversa. Si stanno costruendo delle enormi paratie mobili sul fondo delle tre bocche di porto, che normalmente staranno sul fondo e che in caso di notevoli alte maree (oltre 110cm) si sollevano e separano il mare dalla laguna. Stiamo parlando del "Mose" (acronimo di MOdulo Sperimentale Elettromeccanico)
In pratica stiamo spendendo
E' come se per aprire la porta di casa, di cui abbiamo accidentalmente dimenticato le chiavi, invece di chiamare un fabbro utilizzassimo un carro armato, con tutte le conseguenze del caso, da quelle economiche al risultato ottenibile.
Per approfondire: nomose
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