VENEZIA
"Con una forza di volontà panteista
Il piccolo artefice del Mar dei Coralli,
Eroico nell'abisso azzurro,
Erige una splendida galleria e una lunga arcata,
Costruzioni ricche di molti fregi, di ghirlande marmoree,
A riprova di ciò che un verme sa fare,
Faticando in un'acqua più bassa,
Esperto in un'arte simile,
Un essere intrepido mostrò la potenza di Pan,
Quando Venezia sorse in scogliere di palazzi"
(H. Melville)
ATTILA
"Tre mesi d'assedio, cibo scarso, l'esercito protesta,
Meditando sotto le mura di Aquileia
Egli vede le cicogne: Guardate! Se ne vanno!
Dio parla agli uccelli. La città è nostra".
Così è.
Non lasciano pietra su pietra dove passano,
Gli abitanti che sopravvivono, fuggono di qua di là,
E alcuni si volgono alla costa, alle paludi,
Alle isole sull'Adriatico. Qui.
Tre generazioni dopo, Cassiodoro,
Li trova, un popolo che, come uccelli acquatici,
Ha fissato il suo nido sul petto delle onde.
Un'economia cresce sul sale, e lo commercia,
Sorge, ed è Venezia. Che adesso sprofonda.
Lo Stato fondato inconsapevolmente dagli Unni"
(P. Martin)
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martedì 2 dicembre 2014
lunedì 7 luglio 2014
Cattedrale Santa Maria Assunta di Torcello
Fondata nel 639, come ricorda l'iscrizione epigrafica a sinistra del coro (considerato il più antico documento in laguna), fu fatta ricostruire nel 1008 da Orso Orseolo, figlio del doge Pietro Orseolo II, quando divenne vescovo di Torcello.
L'edificio veneto-bizantino (in forma basilicale romanica) si presenta a tre navate, con pietre a vista, una facciata centrale sopraelevata scandita da sei lesene e un porticato antistante. Questo, originariamente sorretto da quattro colonne, ne vide aggiungersi altre da entrambi i lati, che lo portarono a congiungersi con quello di Santa Fosca nel corso del XIV e XV secolo.
Sul lato destro si erge la grande torre quadrata del campanile (XII secolo), emblema, come nelle contemporanee Pomposa e Aquileia, della potenza della città.
Anticamente la facciata era affiancata da un battistero a pianta circolare di cui ancora si possono vedere le fondamenta.
Sul fianco della chiesa sono interessanti le chiusure delle finestre centinate a grandi lastroni di pietra movibili su cardini anch'essi di pietra.
Il soffitto ligneo, ad incavallature scoperte, è rimasto forse quello originario.
L'ampia e luminosa navata tripla, con le alte colonne che sorreggono capitelli in parte romani e in parte imitati nelle officine veneziane, ricorda Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna.
Il pavimento in mosaico di marmo è sopraelevato di circa venti centimetri sul preesistente del IX secolo, lavorato con cubetti bianchi e neri i cui resti si possono ammirare attraverso due botole.
Il presbiterio, ai cui piedi è posta la pietra tombale del vescovo Paolo di Altino, è segnato dall'iconostasi con al centro la porta sacra, delimitata da tre sottili colonne, chiuse per metà da plutei marmorei bizantini dell'XI secolo, adorni, come merletti di pietra, da immagini di fiori, leoni e pavoni che si abbeverano alla fontana divina. Le colonne sorreggono tavole quattrocentesche che rappresentano la Madonna attorniata dai dodici apostoli, su cui si innalza il coevo crocifisso ligneo.
L'altare, il cui piano è di spesso marmo greco, è stato ricostruito nel 1939 in luogo di un deturpante impianto barocco. Ai suoi piedi, protetto da una grata, si trova un sarcofago romano del III secolo che contiene le spoglie del santo vescovo altinate Eliodoro (spoglie traslate a Torcello in seguito alla conquista di Altino da parte dei Longobardi).
La conca absidale si apre con il trono del vescovo addossato all'abside, come in Santa Maria delle Grazie a Grado (V secolo). Questo si erge su gradinate circolari e vi si accede salendo dieci scalini, simbolo dei dieci comandamenti.
Sopra il trono episcopale è rappresentato, a mosaico, Sant'Eliodoro. Gli apostoli, vestiti con il proprio simbolo come nelle chiese ravennati, procedono simmetricamente sotto i piedi della Vergine. Al centro della processione si apre una finestrella, simbolo della luce divina, e la Vergine bizantina Teotoga (XII secolo), regalmente vestita e isolata nello spazio dorato del catino absidale, rappresenta l'incontro tra l'umano e il divino.
Tre le sue braccia regge il Bambino, che porta il rotolo della legge, mentre dalle sue mani pende un fazzoletto bianco, simbolo della mater dolorosa.
Il loro sguardo dolcissimo rapisce l'osservatore.
L'abside della cappella laterale destra, decorata a mosaico nel IX secolo e rimaneggiata nel XII secolo, rappresenta quattro dottori della Chiesa: Agostino, Ambrogio, Martino e Gregorio. Sopra è il Cristo Pantocratore con la tavola delle leggi attorniato dagli arcangeli Michele e Gabriele.
Nella cappella laterale sinistra permangono resti di un affresco duecentesco, e sulla stessa navata trova posto la piccola pala di Maria Vergine dipinta da Tintoretto.
L'imponente mosaico del Giudizio universale (XI - XII secolo), che occupa l'intera parete ovest (controfacciata), doveva ricordare ai fedeli che uscivano dalla funzione il destino finale.
Il racconto articolato in sei sequenze si legge dall'alto verso il basso: dalla Crocifissione alla separazione degli eletti dai dannati. Proprio nella raffigurazione di questi ultimi vi è la ricerca di un carattere narrativo più naturalistico, intensamente espressivo e radicalmente veneto: lo stesso carattere che si ritroverà nella Basilica di San Marco dove i mosaicisti si trasferirono alla fine di questo imponente lavoro.
L'edificio veneto-bizantino (in forma basilicale romanica) si presenta a tre navate, con pietre a vista, una facciata centrale sopraelevata scandita da sei lesene e un porticato antistante. Questo, originariamente sorretto da quattro colonne, ne vide aggiungersi altre da entrambi i lati, che lo portarono a congiungersi con quello di Santa Fosca nel corso del XIV e XV secolo.
Sul lato destro si erge la grande torre quadrata del campanile (XII secolo), emblema, come nelle contemporanee Pomposa e Aquileia, della potenza della città.
Anticamente la facciata era affiancata da un battistero a pianta circolare di cui ancora si possono vedere le fondamenta.
Sul fianco della chiesa sono interessanti le chiusure delle finestre centinate a grandi lastroni di pietra movibili su cardini anch'essi di pietra.
Il soffitto ligneo, ad incavallature scoperte, è rimasto forse quello originario.
L'ampia e luminosa navata tripla, con le alte colonne che sorreggono capitelli in parte romani e in parte imitati nelle officine veneziane, ricorda Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna.
Il pavimento in mosaico di marmo è sopraelevato di circa venti centimetri sul preesistente del IX secolo, lavorato con cubetti bianchi e neri i cui resti si possono ammirare attraverso due botole.
Il presbiterio, ai cui piedi è posta la pietra tombale del vescovo Paolo di Altino, è segnato dall'iconostasi con al centro la porta sacra, delimitata da tre sottili colonne, chiuse per metà da plutei marmorei bizantini dell'XI secolo, adorni, come merletti di pietra, da immagini di fiori, leoni e pavoni che si abbeverano alla fontana divina. Le colonne sorreggono tavole quattrocentesche che rappresentano la Madonna attorniata dai dodici apostoli, su cui si innalza il coevo crocifisso ligneo.
L'altare, il cui piano è di spesso marmo greco, è stato ricostruito nel 1939 in luogo di un deturpante impianto barocco. Ai suoi piedi, protetto da una grata, si trova un sarcofago romano del III secolo che contiene le spoglie del santo vescovo altinate Eliodoro (spoglie traslate a Torcello in seguito alla conquista di Altino da parte dei Longobardi).
La conca absidale si apre con il trono del vescovo addossato all'abside, come in Santa Maria delle Grazie a Grado (V secolo). Questo si erge su gradinate circolari e vi si accede salendo dieci scalini, simbolo dei dieci comandamenti.
Sopra il trono episcopale è rappresentato, a mosaico, Sant'Eliodoro. Gli apostoli, vestiti con il proprio simbolo come nelle chiese ravennati, procedono simmetricamente sotto i piedi della Vergine. Al centro della processione si apre una finestrella, simbolo della luce divina, e la Vergine bizantina Teotoga (XII secolo), regalmente vestita e isolata nello spazio dorato del catino absidale, rappresenta l'incontro tra l'umano e il divino.
Tre le sue braccia regge il Bambino, che porta il rotolo della legge, mentre dalle sue mani pende un fazzoletto bianco, simbolo della mater dolorosa.
Il loro sguardo dolcissimo rapisce l'osservatore.
L'abside della cappella laterale destra, decorata a mosaico nel IX secolo e rimaneggiata nel XII secolo, rappresenta quattro dottori della Chiesa: Agostino, Ambrogio, Martino e Gregorio. Sopra è il Cristo Pantocratore con la tavola delle leggi attorniato dagli arcangeli Michele e Gabriele.
Nella cappella laterale sinistra permangono resti di un affresco duecentesco, e sulla stessa navata trova posto la piccola pala di Maria Vergine dipinta da Tintoretto.
L'imponente mosaico del Giudizio universale (XI - XII secolo), che occupa l'intera parete ovest (controfacciata), doveva ricordare ai fedeli che uscivano dalla funzione il destino finale.
Il racconto articolato in sei sequenze si legge dall'alto verso il basso: dalla Crocifissione alla separazione degli eletti dai dannati. Proprio nella raffigurazione di questi ultimi vi è la ricerca di un carattere narrativo più naturalistico, intensamente espressivo e radicalmente veneto: lo stesso carattere che si ritroverà nella Basilica di San Marco dove i mosaicisti si trasferirono alla fine di questo imponente lavoro.
lunedì 31 marzo 2014
Le origini di Venezia
Sfatiamo subito un mito, e
cioè quello della città nata dal nulla da libere genti.
Il termine
“Venetia” infatti, insieme all’Istria era inizialmente una
delle regioni in cui l’imperatore Augusto aveva diviso il
territorio italico, e da quella regione si sarebbe venuta
distinguendo una seconda Venetia, questa volta lagunare composta da
isole e lidi sparsi tra le foci dell’Isonzo e del Po.
Ad avviare il processo per
cui dalla Venetia continentale veniva creandosi la nuova Venetia
marittima erano stati fattori esterni legati all’invasione
longobarda del 569. In realtà già nel secolo precedente con le
scorrerie degli Unni le lagune avevano offerto un rifugio sicuro alle
popolazioni della terraferma, ma in fondo la tempesta barbarica era
passata abbastanza rapidamente e le genti profughe avevano potuto
rientrare alle loro case. Le cose andarono diversamente invece con i
Longobardi, in quanto stavolta si trattava della migrazione vera e
propria di un intero popolo ben deciso a fermarsi in Italia, cosicché
per le genti che si ritiravano in laguna non si sarebbe più riaperta
la via del ritorno. Il primo passo quindi nella costruzione di una
Venetia diversa ebbe luogo con l’animo del profugo. In sostanza la
difesa del vecchio mondo pre-longobardo (e quindi “bizantino”)
divenne motivo per la nascita della nuova civiltà veneziana.
In ogni caso gli
insediamenti dei profughi sparsi per la laguna non erano certo
ancora identificabili come unità urbana e non lo saranno fino al IX
secolo.
E’ importante ricordare
che le lagune non erano disabitate prima dell’arrivo dei profughi e
già il prefetto Cassiodoro nel V sec. aveva lasciato una descrizione
precisa delle zone lagunari, le quali erano pienamente inserite nel
sistema organizzativo romano.
Che fosse nata dal nulla
quindi, come una Venere dalle acque del mare, ad opera di libere
genti che fuggivano dai barbari invasori su isole vuote e selvagge, è
un’invenzione costruita per ragioni molto concrete, con un’abilità
tale per cui ancora oggi quella leggenda è accettata come verità.
I Veneziani, dai massimi
vertici dello Stato fino all’ultimo pescatore avevano ogni
interesse ad accreditare un racconto del genere, perché se non c’era
nulla non c’erano nemmeno subordinazioni e servitù, sicché il
mito delle origini dal nulla rende plausibile e porta con sé quello
politicamente assai più rilevante dell’originaria libertà di
Venezia, ed è dunque la base del programma ideologico destinato ad
impedire ogni pretesa o rivendicazione da parte di qualsiasi autorità
esterna, uno status che Venezia difenderà fino alla fine dei suoi
giorni, mille anni dopo.
La difesa di questa
ideologia avverrà a volte con la forza ma molto più spesso con la
diplomazia o con abili mosse politiche, basti ricordare la tempestiva
trafugazione del corpo di San Marco ad Alessandria d’Egitto
nell’828, avvenuta proprio mentre nel sinodo di Mantova si
discuteva la giurisdizione spirituale tra Grado (chiesa lagunare
legata alle sorti venetiche) e Aquileia (sede patriarcale in sintonia
con le autorità politiche del Papato e città di cui la leggenda
narra fosse stata fondata proprio da San Marco…). L’arrivo in
città della salma marciana affermò dunque definitivamente
l’indipendenza di Venezia dall’autorità politica e religiosa di
Roma.
La vera e propria nascita
della Venezia urbana si fa risalire al 810 quando Agnello
Partecipazio, il primo doge della Repubblica, trasferisce la sede del
governo da Malamocco a Rivoalto.
Ma per capire appieno
l’unicità della storia veneziana è importante ricordare le radici
della sua stessa aristocrazia, che non era legata alla nobiltà di
sangue come nel resto dell’Europa, ma era invece nata dalle
famiglie dei mercanti locali, mercanti che in prima persona
rischiavano per creare nuovi commerci, anche molto lontani, e portare
redditi alla città stessa. Quasi sempre infatti Venezia deciderà di
usare guerra solo per ragioni di commercio, per difendere quindi il
proprio diritto e la propria libertà di commerciare. Fatto questo
che colpisce ancor di più se si pensa che nel resto del mondo
europeo il trattar denaro era considerato nient’affatto nobile,
solo i possedimenti terrieri e lo sfruttamento erano considerate
attività aristocratiche.
Ecco quindi che la difesa
dei propri interessi, e la possibilità di trarne vantaggio per tutte
le fasce sociali, compatta l’intero popolo veneziano in una
identificazione statale impossibile altrove.
(Fonte: Ortalli e Scarabello)
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