Visualizzazione post con etichetta nobiltà. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta nobiltà. Mostra tutti i post

lunedì 31 marzo 2014

Le origini di Venezia

Sfatiamo subito un mito, e cioè quello della città nata dal nulla da libere genti. 
Il termine “Venetia” infatti, insieme all’Istria era inizialmente una delle regioni in cui l’imperatore Augusto aveva diviso il territorio italico, e da quella regione si sarebbe venuta distinguendo una seconda Venetia, questa volta lagunare composta da isole e lidi sparsi tra le foci dell’Isonzo e del Po.
Ad avviare il processo per cui dalla Venetia continentale veniva creandosi la nuova Venetia marittima erano stati fattori esterni legati all’invasione longobarda del 569. In realtà già nel secolo precedente con le scorrerie degli Unni le lagune avevano offerto un rifugio sicuro alle popolazioni della terraferma, ma in fondo la tempesta barbarica era passata abbastanza rapidamente e le genti profughe avevano potuto rientrare alle loro case. Le cose andarono diversamente invece con i Longobardi, in quanto stavolta si trattava della migrazione vera e propria di un intero popolo ben deciso a fermarsi in Italia, cosicché per le genti che si ritiravano in laguna non si sarebbe più riaperta la via del ritorno. Il primo passo quindi nella costruzione di una Venetia diversa ebbe luogo con l’animo del profugo. In sostanza la difesa del vecchio mondo pre-longobardo (e quindi “bizantino”) divenne motivo per la nascita della nuova civiltà veneziana.
In ogni caso gli insediamenti dei profughi sparsi per la laguna non erano certo ancora identificabili come unità urbana e non lo saranno fino al IX secolo.
E’ importante ricordare che le lagune non erano disabitate prima dell’arrivo dei profughi e già il prefetto Cassiodoro nel V sec. aveva lasciato una descrizione precisa delle zone lagunari, le quali erano pienamente inserite nel sistema organizzativo romano.
Che fosse nata dal nulla quindi, come una Venere dalle acque del mare, ad opera di libere genti che fuggivano dai barbari invasori su isole vuote e selvagge, è un’invenzione costruita per ragioni molto concrete, con un’abilità tale per cui ancora oggi quella leggenda è accettata come verità.
I Veneziani, dai massimi vertici dello Stato fino all’ultimo pescatore avevano ogni interesse ad accreditare un racconto del genere, perché se non c’era nulla non c’erano nemmeno subordinazioni e servitù, sicché il mito delle origini dal nulla rende plausibile e porta con sé quello politicamente assai più rilevante dell’originaria libertà di Venezia, ed è dunque la base del programma ideologico destinato ad impedire ogni pretesa o rivendicazione da parte di qualsiasi autorità esterna, uno status che Venezia difenderà fino alla fine dei suoi giorni, mille anni dopo.
La difesa di questa ideologia avverrà a volte con la forza ma molto più spesso con la diplomazia o con abili mosse politiche, basti ricordare la tempestiva trafugazione del corpo di San Marco ad Alessandria d’Egitto nell’828, avvenuta proprio mentre nel sinodo di Mantova si discuteva la giurisdizione spirituale tra Grado (chiesa lagunare legata alle sorti venetiche) e Aquileia (sede patriarcale in sintonia con le autorità politiche del Papato e città di cui la leggenda narra fosse stata fondata proprio da San Marco…). L’arrivo in città della salma marciana affermò dunque definitivamente l’indipendenza di Venezia dall’autorità politica e religiosa di Roma.
La vera e propria nascita della Venezia urbana si fa risalire al 810 quando Agnello Partecipazio, il primo doge della Repubblica, trasferisce la sede del governo da Malamocco a Rivoalto.
Ma per capire appieno l’unicità della storia veneziana è importante ricordare le radici della sua stessa aristocrazia, che non era legata alla nobiltà di sangue come nel resto dell’Europa, ma era invece nata dalle famiglie dei mercanti locali, mercanti che in prima persona rischiavano per creare nuovi commerci, anche molto lontani, e portare redditi alla città stessa. Quasi sempre infatti Venezia deciderà di usare guerra solo per ragioni di commercio, per difendere quindi il proprio diritto e la propria libertà di commerciare. Fatto questo che colpisce ancor di più se si pensa che nel resto del mondo europeo il trattar denaro era considerato nient’affatto nobile, solo i possedimenti terrieri e lo sfruttamento erano considerate attività aristocratiche.
Ecco quindi che la difesa dei propri interessi, e la possibilità di trarne vantaggio per tutte le fasce sociali, compatta l’intero popolo veneziano in una identificazione statale impossibile altrove.

(Fonte: Ortalli e Scarabello)
 

venerdì 23 novembre 2012

L'ingiusta condanna a morte di Antonio Foscarini

Lungo il rio terà Foscarini, popolarmente detto degli alberetti, sorgeva un palazzo Foscarini, abbattuto nell'Ottocento con l'interramento del rio. Vi abitò il Cavaliere Antonio Foscarini, senatore e ambasciatore di Venezia in Inghilterra e in Francia.
Antonio era l'amante della contessa Alathea Talbot di Arundel and Surrey, consorte di Thomas Howard, Maresciallo d'Inghilterra, che risiedeva a palazzo Mocenigo a S. Samuele. Lì si recava il Foscarini, di nascosto, ogni sera. L'abitazione della Contessa era frequentata da molte personalità, tra esse il segretario dell'ambasciatore di Spagna, stato col quale Venezia non aveva buoni rapporti.
Il Foscarini venne arrestato con l'accusa di aver svelato al segretario spagnolo i resoconti delle sedute segrete del Senato. Fu interrogato per cinque ore, chiuso in carcere e condannato a morte. Era il 20 aprile 1622. Se solo avesse confessato il vero motivo delle sue visite...
Il 22 agosto dello stesso anno il Consiglio dei X ordinava l'arresto di un tale Girolamo Vano. Costui era stato il teste principale  a carico del Foscarini. In carcere Vano confessò e indicò, nella persona di Giulio Cazzari, la vera spia.
Il 16 gennaio 1623, la Repubblica proclamava solennemente il proprio errore e l'innocenza di Antonio Foscarini.
Il suo corpo venne riesumato e Venezia ne onorò la memoria con un funerale di stato, dedicandogli poi la lapide che ancor oggi può essere letta sulla sua tomba, nella chiesa di San Stae.

martedì 29 novembre 2011

Le classi sociali nella Repubblica di Venezia

Il patriziato veneziano si distingueva da quello europeo per alcune caratteristiche peculiari:
- era di origine mercantile anziché feudale
- la sua creazione e sopravvivenza era giustificata dalla sua costante partecipazione al governo della Serenissima
- era formato da famiglie anziché da individui e la primogenitura era l'eccezione invece della regola
- non usava specifici titoli nobiliari
Si può ben dire che l'atto creativo del patriziato fu la Serrata del Maggior Consiglio nel 1297, per cui diventarono patrizie le famiglie i cui antenati avevano reso importanti servigi alla Serenissima dall'anno 810 (data del trasferimento della sede ducale da Malamocco a Rivoalto) in poi, o un cui membro aveva seduto nel Maggior Consiglio nei quattro anni precedenti la Serrata. In tutto furono iscritte nel Libro d'Oro della nobiltà veneziana, circa 220 famiglie. Questo cambiamento della costituzione (che di fatto passò da repubblica democratica a repubblica aristocratica) non provocò le tensioni politico-sociali che ci sarebbe potuto aspettare. In primo luogo perché esso confermava una situazione che già esisteva di fatto; inoltre trattavasi di un gruppo sociale omogeneo, attivo, di antica ricchezza, già abituato a servire gli interessi generali; infine era un gruppo numeroso, giacché corrispondeva a circa il 5% della popolazione.
La "classe mercantile" era formata da cittadini veneziani con diritto "de intus" o "de extra", ossia abilitati a commerciare all'interno o all'esterno della città. I non veneziani potevano, se considerati degni, acquistare il diritto "de intus" dopo dodici anni di residenza e attività professionale, e il supplementare diritto "de extra" dopo diciotto anni.
Alla "classe mercantile" appartenevano sia "patrizi" sia "cittadini".
La categoria dei "cittadini" assorbiva anche uomini di scienza e di legge, letterati, medici, funzionari amministrativi e commercianti, formando una classe borghese talvolta ricca, sempre agiata, che aveva comunque una propria rappresentanza politica.
Alle classi privilegiate va aggiunta la classe ecclesiastica, che corrispondeva a circa l'1% della popolazione.
La linea divisoria tra queste classi e il Popolo era il lavoro manuale. A sua volta il Popolo era diviso fra membri delle "Arti" o "Scuole di Mestiere", cioè lavoratori specializzati che accompagnavano il loro lavoro con una certa cultura tecnica, e tutti gli altri che invece vivevano solo del proprio lavoro manuale.
Pur privati di potere politico, i Popolani godevano in compenso di salari relativamente alti (rispetto al resto d'Italia e d'Europa), di cibo sicuro e a prezzi controllati dalla Serenissima; non temevano guerre civili o assalti di eserciti stranieri; non erano relegati in suburbi, poiché le loro abitazioni fiancheggiavano quelle dei patrizi e dei mercanti con cui si mescolavano nelle calli e nei campi, parlando la stessa lingua veneta. Fieri dell'appartenenza ad uno Stato forte e libero, partecipavano alle feste pubbliche, civili e religiose, al Carnevale, alle Regate, alle cerimonie d'elezione dei Dogi e a quelle che accompagnavano le visite di personaggi illustri.
Si spiega così la quasi totale mancanza di movimenti sociali, la fedeltà alle istituzioni ed il senso di appartenenza di così lunga durata.