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martedì 29 novembre 2011

Le classi sociali nella Repubblica di Venezia

Il patriziato veneziano si distingueva da quello europeo per alcune caratteristiche peculiari:
- era di origine mercantile anziché feudale
- la sua creazione e sopravvivenza era giustificata dalla sua costante partecipazione al governo della Serenissima
- era formato da famiglie anziché da individui e la primogenitura era l'eccezione invece della regola
- non usava specifici titoli nobiliari
Si può ben dire che l'atto creativo del patriziato fu la Serrata del Maggior Consiglio nel 1297, per cui diventarono patrizie le famiglie i cui antenati avevano reso importanti servigi alla Serenissima dall'anno 810 (data del trasferimento della sede ducale da Malamocco a Rivoalto) in poi, o un cui membro aveva seduto nel Maggior Consiglio nei quattro anni precedenti la Serrata. In tutto furono iscritte nel Libro d'Oro della nobiltà veneziana, circa 220 famiglie. Questo cambiamento della costituzione (che di fatto passò da repubblica democratica a repubblica aristocratica) non provocò le tensioni politico-sociali che ci sarebbe potuto aspettare. In primo luogo perché esso confermava una situazione che già esisteva di fatto; inoltre trattavasi di un gruppo sociale omogeneo, attivo, di antica ricchezza, già abituato a servire gli interessi generali; infine era un gruppo numeroso, giacché corrispondeva a circa il 5% della popolazione.
La "classe mercantile" era formata da cittadini veneziani con diritto "de intus" o "de extra", ossia abilitati a commerciare all'interno o all'esterno della città. I non veneziani potevano, se considerati degni, acquistare il diritto "de intus" dopo dodici anni di residenza e attività professionale, e il supplementare diritto "de extra" dopo diciotto anni.
Alla "classe mercantile" appartenevano sia "patrizi" sia "cittadini".
La categoria dei "cittadini" assorbiva anche uomini di scienza e di legge, letterati, medici, funzionari amministrativi e commercianti, formando una classe borghese talvolta ricca, sempre agiata, che aveva comunque una propria rappresentanza politica.
Alle classi privilegiate va aggiunta la classe ecclesiastica, che corrispondeva a circa l'1% della popolazione.
La linea divisoria tra queste classi e il Popolo era il lavoro manuale. A sua volta il Popolo era diviso fra membri delle "Arti" o "Scuole di Mestiere", cioè lavoratori specializzati che accompagnavano il loro lavoro con una certa cultura tecnica, e tutti gli altri che invece vivevano solo del proprio lavoro manuale.
Pur privati di potere politico, i Popolani godevano in compenso di salari relativamente alti (rispetto al resto d'Italia e d'Europa), di cibo sicuro e a prezzi controllati dalla Serenissima; non temevano guerre civili o assalti di eserciti stranieri; non erano relegati in suburbi, poiché le loro abitazioni fiancheggiavano quelle dei patrizi e dei mercanti con cui si mescolavano nelle calli e nei campi, parlando la stessa lingua veneta. Fieri dell'appartenenza ad uno Stato forte e libero, partecipavano alle feste pubbliche, civili e religiose, al Carnevale, alle Regate, alle cerimonie d'elezione dei Dogi e a quelle che accompagnavano le visite di personaggi illustri.
Si spiega così la quasi totale mancanza di movimenti sociali, la fedeltà alle istituzioni ed il senso di appartenenza di così lunga durata.

domenica 29 agosto 2010

Venezia e le sue donne

Ci sono dei pregiudizi ancora abbastanza radicati sulla vita dei veneziani ai tempi della Repubblica. Sono pregiudizi che risalgono al 1818 quando apparve il libro di Pierre-Antoine Daru, Historie de la Rèpublique de Venise, che presenta il governo veneziano come regime bieco e tirannico. Niente di più falso.
Venezia fu il rifugio di perseguitati politici di altri stati, aveva una regolamentazione carceraria umana (cosa che ancora oggi non tutti gli stati hanno), e una politica sociale invidiabile. E la condizione femminile a Venezia appare unica per dignità e libertà, certamente ancora insufficiente ed inadeguata, ma di sicuro incomparabile con quella di altri stati in quella epoca.
Si legge nell'Editto di Rotari: "Se la moglie avrà ucciso il marito, sia uccisa, e i suoi beni siano assegnati ai parenti del marito, mentre se il marito avrà ucciso ingiustamente la moglie, paghi un risarcimento di 1200 scudi..." A Venezia viceversa abbiamo numerose sentenze di condanna per uxoricidio che prevedono la condanna a morte del marito. Anche nei casi di violenza carnale abbiamo numerose sentenze che vedono la donna in posizione vantaggiosa.
Nella civilissima Firenze la donna aveva meno possibilità che a Venezia di disporre dei propri beni in sede testamentaria. A Venezia la donna col divenire maggiorenne usciva dalla patria potestà (questo già a fine Trecento). A Venezia una donna poteva stipulare ogni tipo di atto: compravendite, locazioni, donazioni, prestiti.... Tutte possibilità impensabili altrove.
Questa ampia libertà ha permesso che a Venezia alcune donne si siano conquistate un posto nella storia: Elena Lucrezia Corner Piscopia, la prima donna laurerata nel mondo, Elisabetta Caminer Turra, considerata la prima redattrice letteraria in Europa, Rosalba Carriera, la prima pittrice donna a cui la società colta dell'epoca aprì le porte di corti reali e palazzi nobiliari, e Lucrezia Marinelli, prima femminista della storia, autrice del libro: Della nobiltà et eccellezza delle donne (1610).




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