Già nel XI secolo, con alcuni secoli d'anticipo rispetto agli altri Stati Europei, la Repubblica di Venezia crea delle sedi diplomatiche permanenti su suolo straniero. E' un modo rivoluzionario di stringere rapporti con gli stranieri e non solo dal punto di vista commerciale.
Per tutta la sua lunga storia la Serenissima cercherà sempre di evitare le armi, se non come ultima scelta possibile, puntando piuttosto sulla soluzione pacifica; e ben presto l'arte diplomatica veneziana diventa celebre e riconosciuta internazionalmente. Basti ricordare quel capolavoro di mediazione che fu la "Pace di Venezia" nel 1177, quando Papa Alessandro III e Federico Barbarossa trovarono soluzione ai loro conflitti in Basilica di San Marco.
Ci piace ricordare anche un aneddoto significativo avvenuto a Roma nella seconda metà del Quattrocento: Papa Giulio II, nel corso di un'udienza in San Pietro, chiese in tono canzonatorio all'ambasciatore veneziano quale diritto la Repubblica Serenissima potesse vantare sul Mare Adriatico. La risposta del diplomatico fu fulminante: "Vostra Santità lo troverà scritto sul rovescio della carta di donazione che Costantino vi ha fatto della città di Roma".
Proprio in quel periodo il pontefice aveva infatti chiesto a Raffaello di rappresentare in Vaticano la storia della donazione della città fatta dall'imperatore alla Chiesa, tradizione non testimoniata da alcun documento!
venerdì 27 gennaio 2012
La diplomazia veneziana
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lunedì 23 gennaio 2012
Pietro Orseolo II, Pericle di Venezia
Gli anni prima dell’anno Mille, erano anni difficili in Europa: anarchia feudale, guerre tra Impero e Papato, carestie e incertezza e in più nacque la psicosi del 1000 non più 1000. Ed è proprio in questo momento della storia che a Venezia visse il Doge Pietro Orseolo II, forse il più grande Doge della Repubblica, soprannominato il Pericle Veneziano. Era uomo ambizioso, ma soprattutto fu uomo del suo tempo, aveva capito quanto più forte fosse la parola rispetto alle armi, quando più valida fosse una politica basata sulle relazioni diplomatiche piuttosto che sulla guerra, e quanta importanza avesse per Venezia il dominio e la difesa dell’Adriatico. Direttive politiche che dopo di lui saranno poi quasi sempre seguite dai governi che si succederanno alla guida della Repubblica. Per nulla intimorito dalle profezie sull’anno Mille iniziò nel 991 a soli trent’anni il suo dogato e la sua saggia politica. Strinse accordi con l’Impero di Bisanzio ottenendo la Bolla d’oro che concedeva alti privilegi ai mercanti veneziani nei loro commerci con l’oriente. Strinse accordi anche con Ottone III Imperatore d’Occidente e intrattenne buone relazioni con gli stati limitrofi italiani, stipulando con ognuno particolari trattati. Dimostrò poi di essere “uomo moderno” quando, superando le idee e gli scrupoli del suo secolo, concluse trattati persino con i saraceni. Assicurata la pace ed i commerci, Pietro Orseolo II emanò un provvedimento davvero in anticipo sui tempi: proibì di partecipare armati alle riunioni in Palazzo Ducale! Il Doge voleva dare più valore al procedimento legale che alla forza bruta, in tempi in cui praticamente tutti portavano armi. L’unico punto irrisolto della sua abile politica erano i pirati Narentani (slavi), ai quali Venezia, per evitare d’esser sempre con le armi in pugno e per assicurare i proprio commerci, pagava un tributo annuo. Orseolo decise di sospendere il tributo, scatenando l’ira dei Narentani, i veneziani allora misero a ferro e fuoco le spiagge dei pirati facendo numerosi prigionieri, la risposta dei Narentani fu immediata, scatenarono la loro rabbia sulle città dalmate, le quali erano provincia bizantina. Bisanzio però lasciava che le provincie più lontane si governassero da sole, e così nel momento del pericolo la Dalmazia si rivolse a Venezia per chiedere aiuto. E nel fatidico anno Mille, quando nel mondo doveva accadere l’irreparabile, Pietro Orseolo II iniziò la sua più famosa impresa: la liberazione delle città dalmate. Il 9 maggio, giorno dell’Ascensione, partì con tutta la flotta armata e in un solo mese liberò tutte le città dalmate, sconfisse i pirati e si spinse fino a Lagosta, sigillando così il dominio di Venezia sull’Adriatico. Tornato in patria l’Orseolo stabilì che da quell’anno in poi, nel giorno dell’Ascensione, il doge tornasse al Porto del Lido accompagnato del Vescovo di Castello e usciti in mare aperto benedicessero le acque perché fossero loro propizie…
lunedì 16 gennaio 2012
Jacopo Antonio Marcello e l'impresa impossibile
La presenza della famiglia Marcello a Venezia è documentata con certezza dal 982, quando fu sottoscritto l'atto di donazione dell'isola di San Giorgio Maggiore all'ordine benedettino. Tra i firmatari figura anche un Pietro Marcello, dal quale ha formalmente inizio una linea genealogica che giunge fino ai giorni nostri, e che può vantare anche un doge, Nicolò, eletto nel 1473.
Nel corso dei secoli i Marcello si distinsero soprattutto nel mestiere delle armi, dando alla Repubblica molti comandanti di terra e di mare. Nel XV secolo Jacopo Antonio Marcello, grande umanista e mecenate, combatté valorosamente contro i Visconti, signori di Milano. In quel tempo l'esercito milanese assediava numerose città venete e pareva impossibile contrastarlo via terra. Jacopo Antonio ebbe allora la folle idea di trasportare una quarantina di navi attraverso le colline che separano l'Adige dal Lago di Garda, per aggirare il nemico e poter combattere sull'acqua, habitat ideale per l'esercito veneziano. L'impresa era ardita, ma il coraggio fu premiato, dopo giorni di trascinamento delle galee tra i boschi, su dei rulli di legno, il lago fu raggiunto. Venezia sorprese e sbaragliò così le truppe viscontee. E di lì a poco liberò Verona, Brescia, Ravenna e Ferrara.
Nel corso dei secoli i Marcello si distinsero soprattutto nel mestiere delle armi, dando alla Repubblica molti comandanti di terra e di mare. Nel XV secolo Jacopo Antonio Marcello, grande umanista e mecenate, combatté valorosamente contro i Visconti, signori di Milano. In quel tempo l'esercito milanese assediava numerose città venete e pareva impossibile contrastarlo via terra. Jacopo Antonio ebbe allora la folle idea di trasportare una quarantina di navi attraverso le colline che separano l'Adige dal Lago di Garda, per aggirare il nemico e poter combattere sull'acqua, habitat ideale per l'esercito veneziano. L'impresa era ardita, ma il coraggio fu premiato, dopo giorni di trascinamento delle galee tra i boschi, su dei rulli di legno, il lago fu raggiunto. Venezia sorprese e sbaragliò così le truppe viscontee. E di lì a poco liberò Verona, Brescia, Ravenna e Ferrara.
martedì 10 gennaio 2012
Il Canal Grande, la strada più bella del mondo
"Mi condussero lungo la grande strada, che essi chiamano il Canal Grande, e che è davvero molto larga,
le galee vi passano attraverso e vidi navi di quattrocento tonnellate e più vicino alle case.
E' davvero la strada più bella che ci possa essere, io credo, nel mondo, e la più ben costruita, e attraversa tutta la città.
Le case sono molto grandi e alte, di buona pietra e quelle antiche sono tutte dipinte, quelle fatte da cento anni in qua hanno la facciata in marmo bianco, che giunge dall'Istria a cento miglia da là..."
Philippe de Commynes, ambasciatore francese, fine del XV secolo
le galee vi passano attraverso e vidi navi di quattrocento tonnellate e più vicino alle case.
E' davvero la strada più bella che ci possa essere, io credo, nel mondo, e la più ben costruita, e attraversa tutta la città.
Le case sono molto grandi e alte, di buona pietra e quelle antiche sono tutte dipinte, quelle fatte da cento anni in qua hanno la facciata in marmo bianco, che giunge dall'Istria a cento miglia da là..."
Philippe de Commynes, ambasciatore francese, fine del XV secolo
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