Le origini delle Regate si fanno risalire al XIII secolo, anche se, considerando la competitività degli uomini, possiamo facilmente immaginare i pescatori e gli ortolani sfidarsi a gara tra loro per raggiungere i mercati, fin dai tempi della prima colonizzazione della laguna.
Il termine "regata", che oggi è internazionale (inglese "regatta", francese "régate", tedesco "regatta"...), è voce veneta, a sottolineare la paternità veneziana di tutte le moderne competizioni remiere. C'è chi lo fa derivare da "riga", intesa come l'allineamento di partenza, chi da una contrazione di "remigata" (remata), chi da dal termine "recaptare" cioè contendere.
Il termine regata passò a Genova nel XIII secolo, in Inghilterra e in Francia nel XVII secolo, in Germania e in Spagna nel XVIII.
Nella tradizione veneziana l'origine della regata è legata alla Festa delle Marie che si celebrò a Venezia fin dall'anno 942. In un pometto in versi latini del 1300 circa, viene descritta una gara su barche con premio "come si suol fare nella corsa dei cavalli"; detto per inciso, la frase "positum praevia munus habet, ut solet in cursu fieri certamen equorum" è forse la più antica memoria scritta di regate, se si eccettua la nota di un antico manoscritto che parla di una regata che si sarebbe svolta il 16 settembre 1274.
Queste fonti non attestano però l'esistenza di vere e proprie competizioni, come è invece provato dopo il 1300. Un decreto del 1315 del Doge Soranzo ordina che ogni anno, nel giorno di San Paolo (25 gennaio), si faccia una regata per l'esercizio dei giovani ai remi. Il decreto non fa però che dare veste ufficiale alla consuetudine nata tra i balestrieri di gareggiare tra loro lungo il percorso tra San Marco e il Lido.
Il 31 maggio 1531 un altro decreto stabilì che l'Arsenale costruisse 25 galee specificamente da competizione, che gareggiassero, 4 volte l'anno, in occasione delle feste dei SS. Apostoli, della Sensa, di S.ta Marina e di San Bartolomeo. Al primo equipaggio spettavano 200 ducati, al secondo 150, al terzo 100, e così via fino ai 40 del sesto.
Ma le regate venivano organizzate anche in occasioni mondane o di visite di persone importanti. Nel 1369 si tennero due regate in onore del Marchese Nicolò d'Este di Ferrara, nel 1441 se ne corse una per le nozze di Jacopo Foscari con Lucrezia Contarini, così come se ne corsero più d'una nel 1422 in onore di Francesco Sforza e della sua sposa.
Il 1493 è un anno importante perché vi ebbe luogo la prima regata femminile: 48 donne delle isole "in vesti di lino succinte" si dettero battaglia su 12 barche a 4 remi, in onore di Eleonora d'Este.
Con la caduta della Repubblica, nel 1797, anche le regate persero in fasto, pur non venendo naturalmente a cessare.
Giungiamo così al 1899 quando il Comitato Cittadino dei festeggiamenti, nominato in occasione della III Biennale, ebbe l'idea di riproporre fastosamente la Regata durante il periodo dell'esposizione d'arte. Appoggiato da Filippo Grimani (il sindaco d'oro) e con il concorso entusiastico di tutta Venezia, il Comitato riuscì a dar vita prima grande "Regata Storica" dei tempi moderni.
(Fonte: Silvio Testa)
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giovedì 7 novembre 2013
lunedì 2 luglio 2012
Profumo di barche
La nebbia entrava a bocconate golose nell'intirizzito pontile della Ca' d'Oro, dove attendevo da tempo lo spuntare d'un vaporetto per la Stazione.
Avvoltolato in lane sovrabbondanti, come si conveniva in quel novembre già rigido, un piccolo dal passeggino guardava assorto tra i banchi di nebbia transitare le gondole del traghetto di Santa Sofia, mentre una barca a motore portava il suo carico al mercato di Rialto, spandendo intorno generose zaffate di carburante.
Accanto al pontile un cacciapesca dal fondo piatto, ingombro di reti e cordami, rilasciava effluvi salmastri che parlavano di laguna aperta e barene.
Il bimbo allungò il collo tra le sciarpe e, rivolto il faccino alla ragazza che lo accompagnava (troppo giovane per essere la mamma, troppo grande per essere la sorella), esclamò: "che profumo di barche".
Intorno qualcuno sorrise compiaciuto.
Io sentii una specie di brivido e pensai: "ragazzo mio, tu sei un poeta. Non sarà facile per te".
(Dino Tonon)
Avvoltolato in lane sovrabbondanti, come si conveniva in quel novembre già rigido, un piccolo dal passeggino guardava assorto tra i banchi di nebbia transitare le gondole del traghetto di Santa Sofia, mentre una barca a motore portava il suo carico al mercato di Rialto, spandendo intorno generose zaffate di carburante.
Accanto al pontile un cacciapesca dal fondo piatto, ingombro di reti e cordami, rilasciava effluvi salmastri che parlavano di laguna aperta e barene.
Il bimbo allungò il collo tra le sciarpe e, rivolto il faccino alla ragazza che lo accompagnava (troppo giovane per essere la mamma, troppo grande per essere la sorella), esclamò: "che profumo di barche".
Intorno qualcuno sorrise compiaciuto.
Io sentii una specie di brivido e pensai: "ragazzo mio, tu sei un poeta. Non sarà facile per te".
(Dino Tonon)
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martedì 10 gennaio 2012
Il Canal Grande, la strada più bella del mondo
"Mi condussero lungo la grande strada, che essi chiamano il Canal Grande, e che è davvero molto larga,
le galee vi passano attraverso e vidi navi di quattrocento tonnellate e più vicino alle case.
E' davvero la strada più bella che ci possa essere, io credo, nel mondo, e la più ben costruita, e attraversa tutta la città.
Le case sono molto grandi e alte, di buona pietra e quelle antiche sono tutte dipinte, quelle fatte da cento anni in qua hanno la facciata in marmo bianco, che giunge dall'Istria a cento miglia da là..."
Philippe de Commynes, ambasciatore francese, fine del XV secolo
le galee vi passano attraverso e vidi navi di quattrocento tonnellate e più vicino alle case.
E' davvero la strada più bella che ci possa essere, io credo, nel mondo, e la più ben costruita, e attraversa tutta la città.
Le case sono molto grandi e alte, di buona pietra e quelle antiche sono tutte dipinte, quelle fatte da cento anni in qua hanno la facciata in marmo bianco, che giunge dall'Istria a cento miglia da là..."
Philippe de Commynes, ambasciatore francese, fine del XV secolo
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giovedì 15 dicembre 2011
Il primo film realizzato a Venezia
La prima "carrellata" della storia del cinema venne realizzata a Venezia dai Fratelli Lumière, sistemando la macchina da presa su un vaporetto che percorreva il Canal Grande. Questa tipologia di ripresa in movimento venne allora chiamata "panorama". Era il 1896.
Nel filmato il vaporetto sta risalendo il Canal Grande dall'ansa di Ca' Foscari verso il Ponte di Rialto. La camera è puntata verso sinistra, per cui si intravede nel primo fotogramma l'angolo estremo destro di Palazzo Bernardo, poi Palazzo Donà de la Madoneta (interessante notare che all'epoca non c'erano ancora le due orribili finestre moderne che si vedono oggi all'ultimo piano), Palazzo Donà, Palazzo Papadopoli (col suo giardino), Palazzo Giustinian Businello e Palazzo Barzizza.
Da notare la presenza di alcune gondole con ancora il felze, destinato a scomparire nel Novecento per soddisfare le esigenze dei turisti.
venerdì 21 ottobre 2011
Vela al terzo nella Laguna di Venezia
Tipica delle lagune venete, la vela la terzo è chiamata così perché le barche sono armate con una vela con l'antenna superiore fissata all'albero a circa un terzo della sua lunghezza: questo per contrastare il forte scarroccio generato dal fondo piatto e dal basso pescaggio dei natanti. Il grande timone mobile (che nell'acqua bassa si deve poter sollevare) delle barche con vela al terzo funge anche da deriva.
La forma della vela non è triangolare come nelle barche a vela normali ma trapezoidale, con un lato molto alto che supera anche l'albero stesso per poter catturare meglio il vento.
Nei secoli scorsi era l'unico mezzo di propulsione nella laguna veneta oltre ai remi. Le vele erano tutte colorate in modo diverso, per poter distinguere le varie barche anche da lontano.
In genera la vela viene sempre tenuta a sinistra dell'albero e, a seconda della direzione del vento, funziona anche appoggiata all'albero stesso. L'andatura migliore per questo tipo di vela è con il vento "al giardinetto", cioè proveniente da poppa e spostato di circa trenta gradi, ma può tenere anche una discreta bolina, cioè con il vento quasi di fronte.
Abbandonata per decenni a favore dei motori, la vela al terzo ha visto negli ultimi anni un rifiorire di associazioni di amanti delle tradizioni popolari che ne hanno riportato in auge l'uso. La laguna si presta molto al diporto e si possono vedere sempre più spesso delle vele colorate che, lente ma non troppo, percorrono la laguna veneziana in lungo e in largo: è un modo meraviglioso per godersi la natura nel silenzio delle barene, lontano dalla frenesia dei motori.
La forma della vela non è triangolare come nelle barche a vela normali ma trapezoidale, con un lato molto alto che supera anche l'albero stesso per poter catturare meglio il vento.
Nei secoli scorsi era l'unico mezzo di propulsione nella laguna veneta oltre ai remi. Le vele erano tutte colorate in modo diverso, per poter distinguere le varie barche anche da lontano.
In genera la vela viene sempre tenuta a sinistra dell'albero e, a seconda della direzione del vento, funziona anche appoggiata all'albero stesso. L'andatura migliore per questo tipo di vela è con il vento "al giardinetto", cioè proveniente da poppa e spostato di circa trenta gradi, ma può tenere anche una discreta bolina, cioè con il vento quasi di fronte.
Abbandonata per decenni a favore dei motori, la vela al terzo ha visto negli ultimi anni un rifiorire di associazioni di amanti delle tradizioni popolari che ne hanno riportato in auge l'uso. La laguna si presta molto al diporto e si possono vedere sempre più spesso delle vele colorate che, lente ma non troppo, percorrono la laguna veneziana in lungo e in largo: è un modo meraviglioso per godersi la natura nel silenzio delle barene, lontano dalla frenesia dei motori.
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lunedì 19 settembre 2011
Gli Squeri di Venezia
Gli squeri erano i cantieri per le barche, spazi più o meno grandi prospicienti un canale e degradanti verso l'acqua per poter agevolmente tirare in secco le imbarcazioni. Spesso hanno delle costruzioni alle spalle per poter lavorare al riparo dalle intemperie. Servono per la costruzione di barche di tutti i generi, comprese le gondole, ma anche per le loro riparazioni. Gli artigiani che vi lavorano vengono chiamati squeraròli, o maestri d'ascia, e provengono dalla categoria dei marangoni (falegnami).
L'esistenza degli squeri e dell'Arte degli Squeraroli era di fondamentale importanza per la Serenissima, in quanto lo sviluppo e la vita stessa della città dipendevano dall'acqua e dai suoi trasporti. La sede della loro Scuola era a San Trovaso, sotto la protezione di Santa Elisabetta, e proprio a San Trovaso esiste ancora un caratteristico squero per le gondole, meta di pittori, poeti e scrittori per il fascino che emana. Qui il tempo sembra essersi fermato: gli strumenti di lavoro sono quasi gli stessi che si usavano un tempo e l'odore della pece aleggia tra le gondole adagiate su un fianco, vicino alla casa che sembra uscita da una cartolina di montagna.
Un tempo gli squeri erano moltissimi, ora ne sono rimasti pochissimi; ve ne sono alcuni di pubblici, dove i cittadini possono tirare a secco le proprie barche per piccole riparazioni; sono dei semplici scivoli sull'acqua, a cielo aperto, e chi li usa si deve arrangiare.
L'esistenza degli squeri e dell'Arte degli Squeraroli era di fondamentale importanza per la Serenissima, in quanto lo sviluppo e la vita stessa della città dipendevano dall'acqua e dai suoi trasporti. La sede della loro Scuola era a San Trovaso, sotto la protezione di Santa Elisabetta, e proprio a San Trovaso esiste ancora un caratteristico squero per le gondole, meta di pittori, poeti e scrittori per il fascino che emana. Qui il tempo sembra essersi fermato: gli strumenti di lavoro sono quasi gli stessi che si usavano un tempo e l'odore della pece aleggia tra le gondole adagiate su un fianco, vicino alla casa che sembra uscita da una cartolina di montagna.
Un tempo gli squeri erano moltissimi, ora ne sono rimasti pochissimi; ve ne sono alcuni di pubblici, dove i cittadini possono tirare a secco le proprie barche per piccole riparazioni; sono dei semplici scivoli sull'acqua, a cielo aperto, e chi li usa si deve arrangiare.
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martedì 26 aprile 2011
Il Bucintoro, splendido naviglio dogale
Scarse sono le notizie sulla nascita e sull'etimologia di questa sontuosa imbarcazione, come pure è incerto il numero esatto dei Bucintoro che si sono avvicendati nei secoli.
Varie sono le supposizioni sull'origine del nome, ma la più attendibile si rifà al nome di un'antica imbarcazione detta burchio o burcio, che per via delle decorazioni in oro, divenne burcio in oro, e infine bucintoro.
E' molto probabile che nei primi anni di storia di Venezia, il doge usasse una semplice galea sottile, col passare degli anni e l'accrescersi della potenza della Repubblica, si desiderò dare maggiore fasto all'imbarcazione dogale. Il primo Bucintoro di cui si ha notizia certa è quello riprodotto all'interno dell'Arsenale nella pianta cinquecentesca eseguita da Jacopo De' Barbari, la cui data di costruzione si suppone fosse nei primi anni del Trecento. Certo è che all'epoca del De' Barbari, il naviglio era alquanto "anziano", si diede infatti ordine di costruirne uno nuovo. Abbiamo così notizia di un secondo Bucintoro, più volte raffigurato nelle tele di numerosi pittori. Questo naviglio, a differenza del primo, era impreziosito da sculture lignee.
Ma già all'inizio del Seicento si pensò alla costruzione di un terzo Bucintoro, il quale costò ben settantamila ducati (l'equivalente a circa due milioni di euro di oggi) e fu inaugurato alla Festa della Sensa del 10 maggio 1606.
L'ultimo Bucintoro fece la sua comparsa nel 1728, riccamente adornato di foglie d'oro zecchino, e sarà immortalato nei dipinti di Canaletto e di Guardi.
Il 9 gennaio 1798 i soldati francesi entrati in Arsenale, asportarono dal Bucintoro tutte le decorazioni, gli intagli, e le parti dorate, poi portarono l'imbarcazione a San Giorgio Maggiore, sul sagrato della chiesa, e la bruciarono.
(Fonte: M.C. Bizio)
Varie sono le supposizioni sull'origine del nome, ma la più attendibile si rifà al nome di un'antica imbarcazione detta burchio o burcio, che per via delle decorazioni in oro, divenne burcio in oro, e infine bucintoro.
E' molto probabile che nei primi anni di storia di Venezia, il doge usasse una semplice galea sottile, col passare degli anni e l'accrescersi della potenza della Repubblica, si desiderò dare maggiore fasto all'imbarcazione dogale. Il primo Bucintoro di cui si ha notizia certa è quello riprodotto all'interno dell'Arsenale nella pianta cinquecentesca eseguita da Jacopo De' Barbari, la cui data di costruzione si suppone fosse nei primi anni del Trecento. Certo è che all'epoca del De' Barbari, il naviglio era alquanto "anziano", si diede infatti ordine di costruirne uno nuovo. Abbiamo così notizia di un secondo Bucintoro, più volte raffigurato nelle tele di numerosi pittori. Questo naviglio, a differenza del primo, era impreziosito da sculture lignee.
Ma già all'inizio del Seicento si pensò alla costruzione di un terzo Bucintoro, il quale costò ben settantamila ducati (l'equivalente a circa due milioni di euro di oggi) e fu inaugurato alla Festa della Sensa del 10 maggio 1606.
L'ultimo Bucintoro fece la sua comparsa nel 1728, riccamente adornato di foglie d'oro zecchino, e sarà immortalato nei dipinti di Canaletto e di Guardi.
Il 9 gennaio 1798 i soldati francesi entrati in Arsenale, asportarono dal Bucintoro tutte le decorazioni, gli intagli, e le parti dorate, poi portarono l'imbarcazione a San Giorgio Maggiore, sul sagrato della chiesa, e la bruciarono.
(Fonte: M.C. Bizio)
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mercoledì 23 marzo 2011
Tour in barca per la Laguna di Venezia
L'offerta dei servizi de L'altra Venezia si arricchisce ancora: un nuovo itinerario in barca a vela alla scoperta delle isole della Laguna Nord di Venezia.
Il tour, creato in collaborazione con l'Associazione Navigador, viene effettuato su una tipica imbarcazione dell'alto Adriatico, il "bragozzo", mosso a vela o a motore.
Già dalla seconda metà del Cinquecento, il bragozzo veniva utilizzato come barca da pesca lagunare. Nel tempo divenne una vera e propria barca d'altura per la pesca in mare.
La proposta ha l'obiettivo di andare alla scoperta di alcune isole poco conosciute (anche perché non raggiungibili con i mezzi pubblici) e delle attività di pesca e viticoltura che ancora vi vengono svolte.
L'itinerario prevede:
- partenza da Venezia (Ponte Tre Archi, raggiungibile a piedi o con i vaporetti linee 51, 52, 41, 42) o dalla terraferma (Forte Marghera a Mestre, raggiungibile in auto)
- navigazione in laguna fino all'isola di Mazzorbo, dove è previsto un incontro con i pescatori locali
- sbarco e visita alla chiesa di S. Caterina e alla cantina Venissa
- passeggiata a piedi fino a Burano dove ci si imbarca nuovamente con destinazione Isola di San Francesco del Deserto
- pranzo a bordo con prodotti tipici veneti
- nel pomeriggio visita del convento francescano
- imbarco e navigazione costeggiando l'isola di Sant'Erasmo, ricca di orti che forniscono le primizie poi vendute al mercato di Rialto
- sbarco e visita guidata all'isola del Lazzaretto Nuovo (area archeologica)
- imbarco e ritorno al punto di partenza nel tardo pomeriggio
Il tour viene effettuato per un minimo di 6 persone.
Periodo: da maggio ad ottobre.
Per maggiori informazioni: info@laltravenezia.it
o scheda tecnica: http://issuu.com/walterfano/docs/laguna_nord_laltravenezia
Il tour, creato in collaborazione con l'Associazione Navigador, viene effettuato su una tipica imbarcazione dell'alto Adriatico, il "bragozzo", mosso a vela o a motore.
Già dalla seconda metà del Cinquecento, il bragozzo veniva utilizzato come barca da pesca lagunare. Nel tempo divenne una vera e propria barca d'altura per la pesca in mare.
La proposta ha l'obiettivo di andare alla scoperta di alcune isole poco conosciute (anche perché non raggiungibili con i mezzi pubblici) e delle attività di pesca e viticoltura che ancora vi vengono svolte.
L'itinerario prevede:
- partenza da Venezia (Ponte Tre Archi, raggiungibile a piedi o con i vaporetti linee 51, 52, 41, 42) o dalla terraferma (Forte Marghera a Mestre, raggiungibile in auto)
- navigazione in laguna fino all'isola di Mazzorbo, dove è previsto un incontro con i pescatori locali
- sbarco e visita alla chiesa di S. Caterina e alla cantina Venissa
- passeggiata a piedi fino a Burano dove ci si imbarca nuovamente con destinazione Isola di San Francesco del Deserto
- pranzo a bordo con prodotti tipici veneti
- nel pomeriggio visita del convento francescano
- imbarco e navigazione costeggiando l'isola di Sant'Erasmo, ricca di orti che forniscono le primizie poi vendute al mercato di Rialto
- sbarco e visita guidata all'isola del Lazzaretto Nuovo (area archeologica)
- imbarco e ritorno al punto di partenza nel tardo pomeriggio
Il tour viene effettuato per un minimo di 6 persone.
Periodo: da maggio ad ottobre.
Per maggiori informazioni: info@laltravenezia.it
o scheda tecnica: http://issuu.com/walterfano/docs/laguna_nord_laltravenezia
giovedì 9 dicembre 2010
Lazzaretti
L'ubicazione particolare di Venezia, soglia d'Oriente per i commerci e luogo di transito per i pellegrinaggi in Terrasanta, pose presto il problema di arginare ricorrenti pestilenze portate dalle navi che qui si fermavano.
Dal più antico ricordo di contagio di peste del 954 se ne contarono successivamente ben 62.
Alla metà del Trecento, la Repubblica decide di eleggere tre Savi incaricati di occuparsi di questo problema. Si arrivò così al decreto del Senato del 28 agosto 1423 col quale si stabiliva l'utilizzo dell'Isola di Santa Maria di Nazareth (di fronte al Lido) come luogo di ricovero dei malati. Nacque così il primo lazzaretto del mondo: da "Nazareth" infatti viene, attraverso alcune modificazioni, la parola "Lazzareto".
Si era capito che bisognava provvedere all'isolamento e alla quarantena per circoscrivere in qualche modo il morbo e salvare il salvabile. Non si poteva certo impedire la circolazione delle persone e delle merci (sarebbe stato il collasso dell'economia), ma almeno cautelarsi isolando le persone che giungevano da paesi a rischio e tenerle in osservazione per minimo 40 giorni (da cui la parola "quarantena").
Si pensò inoltre di lasciare in quarantena non solo le persone ma anche le merci e gli animali, i quali dovevano essere lasciati esposti all'aria e disinfettati con fumi speciali.
L'isola si rivelò presto troppo piccola, pertanto si decretò l'acquisizione dell'isola di "Vinea Murata", di fronte a Sant'Erasmo, come Lazzaretto Nuovo.
Durante la peste del 1575, nel Lazzaretto Nuovo trovarono ricovero circa 10.000 persone, e attorno all'isola, ormeggiarono vascelli e altri natanti per dar rifugio ad altre migliaia di sventurati. Dice il Sansovino che erano presenti: "non meno di 3000 legni, grandi e piccoli, i quali avevano sembianza d'armata che assediasse una città di mare".
English version
Version française
(Fonte: Fuga e Vianello)
Dal più antico ricordo di contagio di peste del 954 se ne contarono successivamente ben 62.
Alla metà del Trecento, la Repubblica decide di eleggere tre Savi incaricati di occuparsi di questo problema. Si arrivò così al decreto del Senato del 28 agosto 1423 col quale si stabiliva l'utilizzo dell'Isola di Santa Maria di Nazareth (di fronte al Lido) come luogo di ricovero dei malati. Nacque così il primo lazzaretto del mondo: da "Nazareth" infatti viene, attraverso alcune modificazioni, la parola "Lazzareto".
Si era capito che bisognava provvedere all'isolamento e alla quarantena per circoscrivere in qualche modo il morbo e salvare il salvabile. Non si poteva certo impedire la circolazione delle persone e delle merci (sarebbe stato il collasso dell'economia), ma almeno cautelarsi isolando le persone che giungevano da paesi a rischio e tenerle in osservazione per minimo 40 giorni (da cui la parola "quarantena").
Si pensò inoltre di lasciare in quarantena non solo le persone ma anche le merci e gli animali, i quali dovevano essere lasciati esposti all'aria e disinfettati con fumi speciali.
L'isola si rivelò presto troppo piccola, pertanto si decretò l'acquisizione dell'isola di "Vinea Murata", di fronte a Sant'Erasmo, come Lazzaretto Nuovo.
Durante la peste del 1575, nel Lazzaretto Nuovo trovarono ricovero circa 10.000 persone, e attorno all'isola, ormeggiarono vascelli e altri natanti per dar rifugio ad altre migliaia di sventurati. Dice il Sansovino che erano presenti: "non meno di 3000 legni, grandi e piccoli, i quali avevano sembianza d'armata che assediasse una città di mare".
English version
Version française
(Fonte: Fuga e Vianello)
mercoledì 1 dicembre 2010
Cibi da mar
Se prendiamo alla lettera le lamentele dei passeggeri delle navi veneziane, ci facciamo l'idea che le cose commestibili a bordo fossero ben poche, in realtà non si mangia così male, ma tutto dipende, come si direbbe oggi, dal "pacchetto" che si sceglie!
I pellegrini che nel Medioevo vanno in Terrasanta, se sono poveri, provvedono al vitto per proprio conto, gli altri si accordano con la formula "all inclusive", che comprende anche i pasti a bordo. I più ricchi mangiano alla tavola del capitano, di solito ben rifornita.
Il nobiluomo veneziano Alessandro Magno, imbarcatosi nel 1557 alla volta di Cipro, parla di tre tavole: tra la prima (quella del capitano) e la seconda (frequentata dall'equipaggio specializzato), non c'è molta differenza, si mangia egualmente bene, Nella terza tavola la qualità scende e, ad esempio, il vino è allungato con l'acqua, anche perché è difficile conservarlo a bordo. Il rituale delle tre tavole che rompe la monotonia del mare e offre occasioni di contatti sociali, colpisce il francese Carlier de Pinon, che ci lascia una descrizione vivissima del suo viaggio verso Levante su una nave Veneziana. Ma qual è la lista delle vivande descritta da Carlier de Pinon? Formaggi, carni e pesci salati, olio, vino e acqua di base, ma poi nei porti le navi si riforniscono anche di frutta, uova e verdure. E' diffusa comunque l'abitudine di tenere a bordo animali vivi: pollame, pecore e vitelli che vengono macellati all'occorrenza.
Anche se l'alimentazione da mar, risponde innanzitutto all'esigenza di consumare derrate a lunga conservazione, è innegabile che ci sia anche una certa attenzione verso la salubrità dei cibi. Prevenire disturbi fisici legati al consumo dei cibi è considerato fondamentale soprattutto per gli uomini dell'equipaggio che devono mantenersi in forze per condurre la nave a destinazione. Una malattia piuttosto diffusa è lo scorbuto e per combatterla sulle navi veneziane si consumano rametti carnosi e gonfi di succo salato di una pianta spontanea della laguna veneta: la salicornia. Ad alto contenuto di acido ascorbico, si può mangiare fresca in insalata, o bollita come i fagiolini, ma sottaceto è una vera prelibatezza.
L'altra derrata marittima di cui i veneziani vanno fieri è il panbiscotto, una galletta di alta qualità e lunga durata, confezionata con farina di grano e burro, ma di cui la ricetta completa era ed è tutt'oggi segreta. Durante degli scavi eseguiti sull'isola di Creta, a metà Ottocento, vennero ritrovate delle scorte di panbiscotto risalenti alla guerra con i Turchi nel Seicento, ed erano ancora commestibili!
English version
Version française
(Fonte: C.Coco)
I pellegrini che nel Medioevo vanno in Terrasanta, se sono poveri, provvedono al vitto per proprio conto, gli altri si accordano con la formula "all inclusive", che comprende anche i pasti a bordo. I più ricchi mangiano alla tavola del capitano, di solito ben rifornita.
Il nobiluomo veneziano Alessandro Magno, imbarcatosi nel 1557 alla volta di Cipro, parla di tre tavole: tra la prima (quella del capitano) e la seconda (frequentata dall'equipaggio specializzato), non c'è molta differenza, si mangia egualmente bene, Nella terza tavola la qualità scende e, ad esempio, il vino è allungato con l'acqua, anche perché è difficile conservarlo a bordo. Il rituale delle tre tavole che rompe la monotonia del mare e offre occasioni di contatti sociali, colpisce il francese Carlier de Pinon, che ci lascia una descrizione vivissima del suo viaggio verso Levante su una nave Veneziana. Ma qual è la lista delle vivande descritta da Carlier de Pinon? Formaggi, carni e pesci salati, olio, vino e acqua di base, ma poi nei porti le navi si riforniscono anche di frutta, uova e verdure. E' diffusa comunque l'abitudine di tenere a bordo animali vivi: pollame, pecore e vitelli che vengono macellati all'occorrenza.
Anche se l'alimentazione da mar, risponde innanzitutto all'esigenza di consumare derrate a lunga conservazione, è innegabile che ci sia anche una certa attenzione verso la salubrità dei cibi. Prevenire disturbi fisici legati al consumo dei cibi è considerato fondamentale soprattutto per gli uomini dell'equipaggio che devono mantenersi in forze per condurre la nave a destinazione. Una malattia piuttosto diffusa è lo scorbuto e per combatterla sulle navi veneziane si consumano rametti carnosi e gonfi di succo salato di una pianta spontanea della laguna veneta: la salicornia. Ad alto contenuto di acido ascorbico, si può mangiare fresca in insalata, o bollita come i fagiolini, ma sottaceto è una vera prelibatezza.
L'altra derrata marittima di cui i veneziani vanno fieri è il panbiscotto, una galletta di alta qualità e lunga durata, confezionata con farina di grano e burro, ma di cui la ricetta completa era ed è tutt'oggi segreta. Durante degli scavi eseguiti sull'isola di Creta, a metà Ottocento, vennero ritrovate delle scorte di panbiscotto risalenti alla guerra con i Turchi nel Seicento, ed erano ancora commestibili!
English version
Version française
(Fonte: C.Coco)
martedì 16 novembre 2010
L'intimità del felze
Molto meno si sarebbe scritto sulla gondola se non fosse stata ricoperta da quella sovrastruttura barocca detta "felze"
Il felze era una struttura mobile creata per riparare i passeggeri delle gondole. Composta dapprima di un semplice drappo poggiato su un arcuato telaio in legno, nel Cinquecento la struttura si abbassa e assume la forma di un vero e proprio riparo. A partire dal Seicento, la struttura viene ricoperta con la "rascia", un tessuto di lana nera venduto in calle delle Rasse.
La struttura in legno di noce veniva realizzata negli squeri, mentre i tappezzieri eseguivano le finiture interne, spesso in raso e in costosa passamaneria. Le decorazioni esterne erano realizzate da esperti intagliatori, e riproducevano divinità marine, teste di grifoni, fiori stilizzati. L'interno veniva arredato con tappeti, bracieri speciali, specchi e persiane che consentivano un completo isolamento. Sulla porticina d'ingresso, sotto allo stemma della casa patrizia, era appeso il "feral de codega" che dava una tenue luce all'interno del felze.
"Barca xe casa" si dice a Venezia, e il felze creava l'intimità di un rifugio personale. Nobili e cortigiane trovavano in questo minuscolo salotto uno spazio dove trascorrere il tempo conversando, cenando o giocando a carte. Ma il felze diventava anche un'alcova galleggiante, un talamo largamente utilizzato, una forma di mascheramento che concedeva tresche e comportamenti licenziosi a veneziani e foresti.
Il felze contribuì a creare il mito di una Venezia libertina e misteriosa, della gondola come cigno nero che scivola silenziosa sull'acqua nascondendo intrighi, misfatti e amori.
I romantici di tutto il mondo hanno cantato l'atmosfera "sotto l'intimità del felze, col vivido quadro veneziano incorniciato dal finestrino mobile", come scrisse Henry James.
English version
Version française
(Fonte: C. Coco)
Il felze era una struttura mobile creata per riparare i passeggeri delle gondole. Composta dapprima di un semplice drappo poggiato su un arcuato telaio in legno, nel Cinquecento la struttura si abbassa e assume la forma di un vero e proprio riparo. A partire dal Seicento, la struttura viene ricoperta con la "rascia", un tessuto di lana nera venduto in calle delle Rasse.
La struttura in legno di noce veniva realizzata negli squeri, mentre i tappezzieri eseguivano le finiture interne, spesso in raso e in costosa passamaneria. Le decorazioni esterne erano realizzate da esperti intagliatori, e riproducevano divinità marine, teste di grifoni, fiori stilizzati. L'interno veniva arredato con tappeti, bracieri speciali, specchi e persiane che consentivano un completo isolamento. Sulla porticina d'ingresso, sotto allo stemma della casa patrizia, era appeso il "feral de codega" che dava una tenue luce all'interno del felze.
"Barca xe casa" si dice a Venezia, e il felze creava l'intimità di un rifugio personale. Nobili e cortigiane trovavano in questo minuscolo salotto uno spazio dove trascorrere il tempo conversando, cenando o giocando a carte. Ma il felze diventava anche un'alcova galleggiante, un talamo largamente utilizzato, una forma di mascheramento che concedeva tresche e comportamenti licenziosi a veneziani e foresti.
Il felze contribuì a creare il mito di una Venezia libertina e misteriosa, della gondola come cigno nero che scivola silenziosa sull'acqua nascondendo intrighi, misfatti e amori.
I romantici di tutto il mondo hanno cantato l'atmosfera "sotto l'intimità del felze, col vivido quadro veneziano incorniciato dal finestrino mobile", come scrisse Henry James.
English version
Version française
(Fonte: C. Coco)
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barca
martedì 14 settembre 2010
Una gita in barca in laguna
cliccare sul titolo per il link alla foto-storia
giovedì 15 luglio 2010
Voga alla veneziana
Nel mio precedente post ho citato una breve poesia del Busanelli che conclude con questo verso: "Se va gridando sempre o stali o premi", che, per chi non è pratico di voga veneta, risulta incomprensibile.
Vengo allora a spiegare.
A Venezia c'è una particolare tecnica, un modo specifico di vogare, specialmente, ma non solo, in gondola, così che il vogatore ha l'aria di assecondare il movimento anziché produrlo, ma la cosa non è così facile come sembra, giacché il rematore deve combinare due operazioni, una per imprimere la spinta alla barca, l'altra per mantere la rotta, appunto perché essendo prive di timone, è sempre il remo che assolve entrambi i compiti.
Del resto la terminologia rematoria veneziana si riassume nella coniugazione di tre verbi: premare, stagare e sciare. La vogata premando è quella basilare: tuffata la pala del remo obliquamente, subito bisogna spingere sul remo che è appoggiato alla forcola, in modo da eccitare la resistenza del mezzo. Ma allora onde evitare che la barca finisca per girare su se stessa, il rematore deve leggermente ruotare il remo sulla forcola in modo che la pala, costretta sott'acqua, compia un movimento inverso al primo, così la contromanovra neutralizza le conseguenze della spinta quel tanto che basta a rettificare la direzione del natante, che fila dritto.
Il secondo tempo della vogata è quasi un riposo del remo, d'onde la voce stagare che significa stare o sostare. E di qui gli strani avvertimenti che i vogatori si lanciano alle svolte dei canali: premi o stai, che devono interpretarsi come un suggerimento di manovra al vogatore che viene incontro.
Ma se occorre arrestare la barca all'improvviso, come si fa? Sciando, cioè ponendo il remo davanti alla forcola, la quale servirà come leva per sviluppare una forza contraria.
Anche la direzione della marea è un elemento di cui tener conto: la barca che va a seconda, cioè segue la marea, è in condizione privilegiata rispetto all'imbarcazione che va a contraria, cioè che rimonta la marea, e di qui la facoltà a questa di disporre di più ampia manovra.
... "Se va gridando sempre o stali o premi"
Vengo allora a spiegare.
A Venezia c'è una particolare tecnica, un modo specifico di vogare, specialmente, ma non solo, in gondola, così che il vogatore ha l'aria di assecondare il movimento anziché produrlo, ma la cosa non è così facile come sembra, giacché il rematore deve combinare due operazioni, una per imprimere la spinta alla barca, l'altra per mantere la rotta, appunto perché essendo prive di timone, è sempre il remo che assolve entrambi i compiti.
Del resto la terminologia rematoria veneziana si riassume nella coniugazione di tre verbi: premare, stagare e sciare. La vogata premando è quella basilare: tuffata la pala del remo obliquamente, subito bisogna spingere sul remo che è appoggiato alla forcola, in modo da eccitare la resistenza del mezzo. Ma allora onde evitare che la barca finisca per girare su se stessa, il rematore deve leggermente ruotare il remo sulla forcola in modo che la pala, costretta sott'acqua, compia un movimento inverso al primo, così la contromanovra neutralizza le conseguenze della spinta quel tanto che basta a rettificare la direzione del natante, che fila dritto.
Il secondo tempo della vogata è quasi un riposo del remo, d'onde la voce stagare che significa stare o sostare. E di qui gli strani avvertimenti che i vogatori si lanciano alle svolte dei canali: premi o stai, che devono interpretarsi come un suggerimento di manovra al vogatore che viene incontro.
Ma se occorre arrestare la barca all'improvviso, come si fa? Sciando, cioè ponendo il remo davanti alla forcola, la quale servirà come leva per sviluppare una forza contraria.
Anche la direzione della marea è un elemento di cui tener conto: la barca che va a seconda, cioè segue la marea, è in condizione privilegiata rispetto all'imbarcazione che va a contraria, cioè che rimonta la marea, e di qui la facoltà a questa di disporre di più ampia manovra.
... "Se va gridando sempre o stali o premi"
venerdì 2 luglio 2010
Visitare Venezia in barca
La mia attività a Venezia si è arricchita di un nuovo servizio:
Percorsi in barca
Si tratta di due (per adesso) percorsi in barche a remi, su imbarcazioni tipiche della laguna veneta, con uno o due vogatori ed un accompagnatore (che sarei io), grazie ai quali è possibile ammirare Venezia dai suoi rii e rivivere al contempo l'antica consuetudine veneziana di muoversi via acqua.
Per maggiori info:
http://www.laltravenezia.it/ percorsi-in-barca.php
E' una possibilità quasi unica dato che l'alternativa ad oggi è data solo dalle costosissime gondole. Con in più, rispetto a queste ultime, la possibilità di avere un profondo conoscitore della città che spiega cosa si sta vedendo (con la stessa logica dei miei già avviati percorsi a piedi).
Non da ultimo il fine di far rivivere, usandole, delle tipiche barche a remi che altrimenti resterebbero abbandonate, soppiantate dalle inquinanti e rumorose barche a motore.
Una magia, quella di Venezia via acqua, che meritava tutto l'impegno che abbiamo profuso al fine di proporre questo nuovo servizio.
Percorsi in barca
Si tratta di due (per adesso) percorsi in barche a remi, su imbarcazioni tipiche della laguna veneta, con uno o due vogatori ed un accompagnatore (che sarei io), grazie ai quali è possibile ammirare Venezia dai suoi rii e rivivere al contempo l'antica consuetudine veneziana di muoversi via acqua.
Per maggiori info:
http://www.laltravenezia.it/
E' una possibilità quasi unica dato che l'alternativa ad oggi è data solo dalle costosissime gondole. Con in più, rispetto a queste ultime, la possibilità di avere un profondo conoscitore della città che spiega cosa si sta vedendo (con la stessa logica dei miei già avviati percorsi a piedi).
Non da ultimo il fine di far rivivere, usandole, delle tipiche barche a remi che altrimenti resterebbero abbandonate, soppiantate dalle inquinanti e rumorose barche a motore.
Una magia, quella di Venezia via acqua, che meritava tutto l'impegno che abbiamo profuso al fine di proporre questo nuovo servizio.
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