Visualizzazione post con etichetta ricetta. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ricetta. Mostra tutti i post

giovedì 8 marzo 2012

Fasioi sofegai

El xe uno de i più carateristici piati de la nostra cusina veneta.
Far un pesto fin co: seano, carota, segola, parsemolo. Far inrosolir ste robe in t'un poco de ogio, po unirghe la sola salsa de pomidoro (ossia nò slongada co brodo), ma che la sia de quela fata in casa, me racomando! Lassar che sta salsa le se missia ben co'l desfrito, e po zontarghe, poco par volta, un goto de acqua (de più se ocore), tanto da aver un toceto che no'l sia massa fisso. Lassar che sto tocio el se cusina ancora par qualche momento, po zontarghe i fasioi zà lessai, lassando che i se insaorissa per na meza ora, a fogo tanto basso.
De solito, i fasioi sofegai se li serve come contorno de'l museto o de luganeghe roste.

(Fonte: Mariù Salvatori de Zuliani)

mercoledì 1 dicembre 2010

Cibi da mar

Se prendiamo alla lettera le lamentele dei passeggeri delle navi veneziane, ci facciamo l'idea che le cose commestibili a bordo fossero ben poche, in realtà non si mangia così male, ma tutto dipende, come si direbbe oggi, dal "pacchetto" che si sceglie!
I pellegrini che nel Medioevo vanno in Terrasanta, se sono poveri, provvedono al vitto per proprio conto, gli altri si accordano con la formula "all inclusive", che comprende anche i pasti a bordo. I più ricchi mangiano alla tavola del capitano, di solito ben rifornita.
Il nobiluomo veneziano Alessandro Magno, imbarcatosi nel 1557 alla volta di Cipro, parla di tre tavole: tra la prima (quella del capitano) e la seconda (frequentata dall'equipaggio specializzato), non c'è molta differenza, si mangia egualmente bene, Nella terza tavola la qualità scende e, ad esempio, il vino è allungato con l'acqua, anche perché è difficile conservarlo a bordo. Il rituale delle tre tavole che rompe la monotonia del mare e offre occasioni di contatti sociali, colpisce il francese Carlier de Pinon, che ci lascia una descrizione vivissima del suo viaggio verso Levante su una nave Veneziana. Ma qual è la lista delle vivande descritta da Carlier de Pinon? Formaggi, carni e pesci salati, olio, vino e acqua di base, ma poi nei porti le navi si riforniscono anche di frutta, uova e verdure. E' diffusa comunque l'abitudine di tenere a bordo animali vivi: pollame, pecore e vitelli che vengono macellati all'occorrenza.
Anche se l'alimentazione da mar, risponde innanzitutto all'esigenza di consumare derrate a lunga conservazione, è innegabile che ci sia anche una certa attenzione verso la salubrità dei cibi. Prevenire disturbi fisici legati al consumo dei cibi è considerato fondamentale soprattutto per gli uomini dell'equipaggio che devono mantenersi in forze per condurre la nave a destinazione. Una malattia piuttosto diffusa è lo scorbuto e per combatterla sulle navi veneziane si consumano rametti carnosi e gonfi di succo salato di una pianta spontanea della laguna veneta: la salicornia. Ad alto contenuto di acido ascorbico, si può mangiare fresca in insalata, o bollita come i fagiolini, ma sottaceto è una vera prelibatezza.
L'altra derrata marittima di cui i veneziani vanno fieri è il panbiscotto, una galletta di alta qualità e lunga durata, confezionata con farina di grano e burro, ma di cui la ricetta completa era ed è tutt'oggi segreta. Durante degli scavi eseguiti sull'isola di Creta, a metà Ottocento, vennero ritrovate delle scorte di panbiscotto risalenti alla guerra con i Turchi nel Seicento, ed erano ancora commestibili!


English version
Version française
(Fonte: C.Coco)

lunedì 19 aprile 2010

Castradina Sciavona

Un tempo la Riva degli Schiavoni non era così ampia e soprattutto non era la tipica passeggiata che è oggi, ma era lo scalo delle navi commerciali che giungevano dall’oriente; questa era la vera porta d’ingresso alla città prima che la costruzione del ponte della Libertà ancorasse Venezia alla terraferma costringendoci ad entrare dal retro…
Qui attraccavano galee mercantili, tartàne albanesi e bastimenti turchi, sulla fondamenta si incontravano marinai orientali con braghesse, fez e scarpe a punta, e non c’erano certo alberghi di lusso, ma casotti di legno per lo stoccaggio delle merci, banchi di vendita all’ingrosso, squeri (cioè cantieri per il rimessaggio e la riparazione delle barche), e un incredibile viavai di merci e uomini, un intreccio di facce, lingue, e abiti che arrivavano da tutti i porti per scaricare prodotti di ogni genere, soprattutto alimentari: formaggi, pesce, animali vivi come agnelli, montoni, bovini.
Animali che  per lo più giungevano dai Balcani, ed è per questo che la Riva prese a chiamarsi “degli Schiavoni”, perché con il termine Sclavonia si indicava la fascia costiera della Dalmazia, della Bosnia e dell’Albania. Dopo aver scaricato le loro merci le navi ripartivano cariche di manufatti di metallo, di legno, ferro e di armi… insomma un immagine ben diversa da quella di oggi!
Di quel periodo resta memoria in un tipico piatto che si consuma ancora oggi a Venezia in occasione della Festa della Salute il 21 di Novembre, e cioè la Castradina S'ciavona, in pratica carne di montone castrato affumicata ed essicata al sole, servita con brodo di verze.
Ecco la ricetta:
"Per fare una buona castradina cole verze ci vuole innanzitutto tempo. Si lascia la carne di montone a bagno per un giorno, in acqua prima bollente poi tiepida. Si lava in molte acque, si taglia a pezzetti e la si mette sul fuoco con gli aromi d'uso. Si lascia bollire e freddare, e la si pone in luogo fresco. Il giorno dopo si toglie il grasso rappreso che si è formato in superficie e si rimette la pentola sul fuoco con le verdure del brodo e le foglie, abbondanti, di cavolo verzotto. Si fa sobbollire, senza fretta, fino a quando la carne non diventa tenera e le verze ben cotte"
.