Nell'anno 810, la sede del governo veneziano venne trasferita da Malamocco a Rivoalto, a causa della minaccia di invasione dell'esercito franco guidato da Pipino, figlio di Carlo Magno. Pipino fece costruire una sorta di diga per poter assalire meglio la città, così Estrella, figlia del doge Angelo Partecipazio, si fece condurre in gondola dal Re franco per tentare di convincerlo a firmare un armistizio.
La bella giovane, soprannominata la "rosa di Venezia", fu accolta da Pipino, il quale però non fu minimamente influenzato dalla bellezza della ragazza e rifiutò ogni ipotesi di pace o di tregua. Ma in realtà il compito di Estrella era semplicemente di far perdere tempo al Re, giusto il tempo necessario per far crescere la marea in laguna, così quando Estrella tornò indietro, l'acqua aveva nel frattempo completamente sommerso la diga.
In questo modo l'esercito franco fu costretto a misurarsi con quello veneziano in una battaglia navale, invece che campale, i quali, conoscendo perfettamente ogni angolo della laguna, le velme, i bassi fondali e le correnti, a bordo delle loro agili imbarcazioni ottennero un clamoroso successo, sconfiggendo Re Pipino e costringendolo a desistere dal suo obiettivo.
Il finale per Estrella fu però tragico. Ella venne festeggiata a Venezia per aver così astutamente ingannato il figlio di Carlo Magno, ma mentre la sua gondola stava percorrendo il Canal Grande una grossa pietra cadde proprio sulla sua imbarcazione, facendole perdere l'equilibrio. La bella rosa di Venezia finì in acqua e scomparve sul fondo, proprio nel punto in cui secoli dopo sorgerà il Ponte di Rialto, e vano fu ogni tentativo di salvarla.
lunedì 30 maggio 2011
venerdì 27 maggio 2011
"In viaggio decisi che Venezia sarebbe stata la mia patria: l'avevo sempre amata più di ogni altro posto su questa terra e sentii che lì solo sarei stata felice"
(Peggy Guggenheim)
(Peggy Guggenheim)
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citazione
mercoledì 25 maggio 2011
Dolor
Tasi cuor mio
per piasser,
par che ti vol sofrir
par tuto el mondo,
pensa par ti,
stropite i oci,
stropite e recie,
tasi cuor mio
per piasser,
no sta batter
in 'sta maniera,
me manca el fià.
(Renata Sopracordevole Lanzi)
per piasser,
par che ti vol sofrir
par tuto el mondo,
pensa par ti,
stropite i oci,
stropite e recie,
tasi cuor mio
per piasser,
no sta batter
in 'sta maniera,
me manca el fià.
(Renata Sopracordevole Lanzi)
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lunedì 23 maggio 2011
Bombardamento aereo a Venezia
Nella primavera dell’anno 1848 in Italia avvennero i famosi moti insurrezionali, e anche Venezia insorse contro l'occupante austriaco. Il 17 marzo il popolo riusciva a liberare Daniele Manin e Nicolò Tommaseo (arrestati per le loro idee anti-austriache) e qualche giorno dopo, guidati appunto dal Manin, i veneziani riprendevano possesso dell’Arsenale costringendo gli austriaci ad abbandonare la città. Daniele Manin veniva eletto presidente della Neorepubblica di San Marco, e subito Venezia venne assediata dagli austriaci.
Nel 1849 la città fu teatro del primo bombardamento aereo della storia, infatti il colonnello austriaco Uchatius organizzò un attacco alla città con una catena di palloni aerostatici che dovevano arrivare trasportati dal vento sopra le postazioni veneziane e sganciare degli ordigni esplosivi.
.
Fortuna volle che i calcoli del vento non furono precisi e le correnti aeree portarono fuori obiettivo l'attacco, salutato in modo festoso dalla folla incuriosita dall'insolito spettacolo.
... e dopo poco più di un anno di assedio, durante il quale si era deciso di resistere ad ogni costo, nell’agosto del 1849 la Neorepubblica di San Marco venne piegata, più dalla fame e dal colera che dalle armi.
Nel 1849 la città fu teatro del primo bombardamento aereo della storia, infatti il colonnello austriaco Uchatius organizzò un attacco alla città con una catena di palloni aerostatici che dovevano arrivare trasportati dal vento sopra le postazioni veneziane e sganciare degli ordigni esplosivi.
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Fortuna volle che i calcoli del vento non furono precisi e le correnti aeree portarono fuori obiettivo l'attacco, salutato in modo festoso dalla folla incuriosita dall'insolito spettacolo.
... e dopo poco più di un anno di assedio, durante il quale si era deciso di resistere ad ogni costo, nell’agosto del 1849 la Neorepubblica di San Marco venne piegata, più dalla fame e dal colera che dalle armi.
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venerdì 20 maggio 2011
Cinema a Venezia
I fratelli Lumière (inventori del proiettore cinematografico nel 1895, che paradossalmente essi stessi definirono "un'invenzione senza futuro"!), diedero pubblica dimostrazione della loro creazione presso il Teatro Minerva (ex Teatro San Moisè), sito in Corte del Teatro, 2243, San Marco.
La prima proiezione, strettamente per invito, avvenne il 9 luglio 1896 suscitando grande entusiasmo. Le proiezioni si succedettero per circa due mesi. Il 22 agosto vennero proiettati alcuni filmati girati proprio a Venezia intitolati: I piccioni di Venezia (...), I vaporetti a Rialto e L'approdo di una gondola a San Zanipolo.
Ma la grande novità veneziana fu la prima "carrellata" (filmato in movimento); infatti i Lumière sistemarono una cinepresa a bordo di un vaporetto che scivolando sull'acqua, permise una ripresa in movimento del Canal Grande e dei suoi palazzi.
Il nome proposto inizialmente per il cinematografo da Lumière padre sarebbe stato Domitor, contrazione del latino dominator, che rispecchia i sogni e le suggestioni di onnipotenza del positivismo. Guardare la vita quotidiana degli altri e salvarla nel tempo era una sorta di potere di registrazione delle cose, anche di vittoria sulla morte, che trovava eco anche nella letteratura contemporanea: nel romanzo Il castello dei Carpazi del 1892 Jules Verne descriveva un inventore che riusciva a riprodurre le immagini e la voce di una cantante della quale era innamorato per averla per sempre con sé.
Inoltre assistere alle proiezioni cinematografiche gratificava lo spettatore nel vedere senza essere visto, come un "dominatore" del mondo, appunto: lo spettatore si sente inconsciamente superiore ai personaggi ed è gratificato dal presenziare le loro vicende. Non a caso la visione frontale del cinematografo era quella che nel teatro era riservata al principe ed alle personalità più importanti.
La prima proiezione, strettamente per invito, avvenne il 9 luglio 1896 suscitando grande entusiasmo. Le proiezioni si succedettero per circa due mesi. Il 22 agosto vennero proiettati alcuni filmati girati proprio a Venezia intitolati: I piccioni di Venezia (...), I vaporetti a Rialto e L'approdo di una gondola a San Zanipolo.
Ma la grande novità veneziana fu la prima "carrellata" (filmato in movimento); infatti i Lumière sistemarono una cinepresa a bordo di un vaporetto che scivolando sull'acqua, permise una ripresa in movimento del Canal Grande e dei suoi palazzi.
Il nome proposto inizialmente per il cinematografo da Lumière padre sarebbe stato Domitor, contrazione del latino dominator, che rispecchia i sogni e le suggestioni di onnipotenza del positivismo. Guardare la vita quotidiana degli altri e salvarla nel tempo era una sorta di potere di registrazione delle cose, anche di vittoria sulla morte, che trovava eco anche nella letteratura contemporanea: nel romanzo Il castello dei Carpazi del 1892 Jules Verne descriveva un inventore che riusciva a riprodurre le immagini e la voce di una cantante della quale era innamorato per averla per sempre con sé.
Inoltre assistere alle proiezioni cinematografiche gratificava lo spettatore nel vedere senza essere visto, come un "dominatore" del mondo, appunto: lo spettatore si sente inconsciamente superiore ai personaggi ed è gratificato dal presenziare le loro vicende. Non a caso la visione frontale del cinematografo era quella che nel teatro era riservata al principe ed alle personalità più importanti.
giovedì 19 maggio 2011
"A Venezia ognuno è comunque un commerciante"
(Petrarca)
(Petrarca)
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citazione
mercoledì 18 maggio 2011
"Xe passà sant'Isepo co' la so' piala"
("E' passato San Giuseppe con la sua pialla" - dicesi di donna con poco seno)
("E' passato San Giuseppe con la sua pialla" - dicesi di donna con poco seno)
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proverbio
lunedì 16 maggio 2011
Il gobbo di Rialto
Nel campo antistante l'antica chiesa di San Giacomo di Rialto, vicino ad una delle colonne del Sotoportego della Sicurtà, c'è una scaletta in pietra sorretta da una figura marmorea, il cosiddetto "Gobbo di Rialto".
Il realtà il Gobbo non è affatto un gobbo, è semplicemente una figura curva e tesa nello sforzo di sostenere la scala, opera dello scultore Pietro da Salò. La struttura serviva per leggere i bandi, i proclami, le ordinanze e le condanne della Repubblica, in un punto tra i più frequentati della città: il mercato di Rialto. Qui infatti si recavano sia i patrizi e i mercanti per i loro affari, sia il popolo per fare acquisti, c'era quindi la sicurezza di una grande diffusione delle deliberazioni dello Stato.
Le cronache del tempo raccontano che la punizione per furto consisteva nell'essere portati in catene da San Marco a Rialto, proprio davanti al Gobbo, e frustati per la strada come monito. Una volta arrivati a Rialto, felici di aver scontato la pena, i malfattori baciavano il Gobbo, dolce meta dopo tanta sofferenza.
Questi episodi avvenivano così di frequente che, per evitare che il Gobbo diventasse una reliquia o un simbolo di liberazione, nel marzo 1545 il Senato fece porre, in una vicina colonna, due pietre, una con una croce e l'altra con l'effige di San Marco, che dovevano servire per il "bacio della liberazione".
(fonte: M.Brusegan)
Il realtà il Gobbo non è affatto un gobbo, è semplicemente una figura curva e tesa nello sforzo di sostenere la scala, opera dello scultore Pietro da Salò. La struttura serviva per leggere i bandi, i proclami, le ordinanze e le condanne della Repubblica, in un punto tra i più frequentati della città: il mercato di Rialto. Qui infatti si recavano sia i patrizi e i mercanti per i loro affari, sia il popolo per fare acquisti, c'era quindi la sicurezza di una grande diffusione delle deliberazioni dello Stato.
Le cronache del tempo raccontano che la punizione per furto consisteva nell'essere portati in catene da San Marco a Rialto, proprio davanti al Gobbo, e frustati per la strada come monito. Una volta arrivati a Rialto, felici di aver scontato la pena, i malfattori baciavano il Gobbo, dolce meta dopo tanta sofferenza.
Questi episodi avvenivano così di frequente che, per evitare che il Gobbo diventasse una reliquia o un simbolo di liberazione, nel marzo 1545 il Senato fece porre, in una vicina colonna, due pietre, una con una croce e l'altra con l'effige di San Marco, che dovevano servire per il "bacio della liberazione".
(fonte: M.Brusegan)
sabato 14 maggio 2011
"Essar sempre indrio come la coa del can"
(dicesi di colui che non porta mai a termine ciò che inizia o di quelle persone un poco lente a capire...)
(dicesi di colui che non porta mai a termine ciò che inizia o di quelle persone un poco lente a capire...)
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proverbio
lunedì 9 maggio 2011
Genesi della minigonna
Negli anni Sessanta del secolo scorso dilagò in tutto il mondo la moda della minigonna, scandalizzando i benpensanti, ma venendo poi assorbita nella normalità e accettata da tutti.
Sembra però che a Venezia, già nel Settecento, si usassero delle gonne molto corte. Ne abbiamo segnalazione dal poeta Angelo Maria Labia (1709-1755), sempre ironico fustigatore dei costumi del suo tempo, nella sua poesia La moda corrente, in cui descrive il modo di agghindarsi delle donne dell'epoca. Dopo essersi lamentato di come le veneziane andavano per via con il collo e le spalle nude, narra di come le signore portavano cotole e veste curte assai / e sfiamesanti veli sui cendai / calza bianca e mulete e gran cordele / ochio lascivo in ziro e seducente / questa in le done xe moda corrente.
Moda all'avanguardia, dunque, la minigonna esisteva già due secoli fa!
Sembra però che a Venezia, già nel Settecento, si usassero delle gonne molto corte. Ne abbiamo segnalazione dal poeta Angelo Maria Labia (1709-1755), sempre ironico fustigatore dei costumi del suo tempo, nella sua poesia La moda corrente, in cui descrive il modo di agghindarsi delle donne dell'epoca. Dopo essersi lamentato di come le veneziane andavano per via con il collo e le spalle nude, narra di come le signore portavano cotole e veste curte assai / e sfiamesanti veli sui cendai / calza bianca e mulete e gran cordele / ochio lascivo in ziro e seducente / questa in le done xe moda corrente.
Moda all'avanguardia, dunque, la minigonna esisteva già due secoli fa!
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venerdì 6 maggio 2011
Marangoni e intagliatori a Venezia
I marangoni a Venezia erano i falegnami, tra tutti gli artigiani forse i più importanti.
Il termine "marangone" deriva da quello dell'uccello lacustre, "smergo" (dal latino mergere: tuffare), che per nutrirsi si tuffa nell'acqua, proprio come facevano i primi falegnami per sistemare le carene delle galee, per cui, in seguito ad una serie di successivi variazioni, smergo-mergo-marango, si arriva appunto a marangone.
Questa categoria di lavoratori era così suddivisa:
- marangoni da case: realizzavano le parti in legno per gli edifici e oggetti per uso domestico
- marangoni da noghera: fabbricavano mobili
- marangoni da soazze: eseguivano cornici
- marangoni da nave: lavoravano all'Arsenale
Da non confondere con i marangoni erano gli intagliatori.
Questi lavoravano il legno d'intaglio e spesso lo rifinivano con una decorazione colorata o dorata. Alcuni di essi erano talmente abili da imitare perfettamente stoffe, cuoio e metallo.
Questa nobile arte si è tramandata ancora fino ai giorni nostri. In città il più celebre di questi maestri è forse Livio de Marchi, eccentrico artista-scultore che si contraddistingue non solo per la tecnica ma soprattutto per l'estro creativo non comune.
(Fonte: Filippi Editore)
Il termine "marangone" deriva da quello dell'uccello lacustre, "smergo" (dal latino mergere: tuffare), che per nutrirsi si tuffa nell'acqua, proprio come facevano i primi falegnami per sistemare le carene delle galee, per cui, in seguito ad una serie di successivi variazioni, smergo-mergo-marango, si arriva appunto a marangone.
Questa categoria di lavoratori era così suddivisa:
- marangoni da case: realizzavano le parti in legno per gli edifici e oggetti per uso domestico
- marangoni da noghera: fabbricavano mobili
- marangoni da soazze: eseguivano cornici
- marangoni da nave: lavoravano all'Arsenale
Da non confondere con i marangoni erano gli intagliatori.
Questi lavoravano il legno d'intaglio e spesso lo rifinivano con una decorazione colorata o dorata. Alcuni di essi erano talmente abili da imitare perfettamente stoffe, cuoio e metallo.
Questa nobile arte si è tramandata ancora fino ai giorni nostri. In città il più celebre di questi maestri è forse Livio de Marchi, eccentrico artista-scultore che si contraddistingue non solo per la tecnica ma soprattutto per l'estro creativo non comune.
(Fonte: Filippi Editore)
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ritratto
giovedì 5 maggio 2011
"Tuti semo boni a schissar le nose co le man dei altri"
("Tutti siamo capaci a schiacciare le noci con le mani degli altri")
("Tutti siamo capaci a schiacciare le noci con le mani degli altri")
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proverbio
martedì 3 maggio 2011
Sondaggio e concorso de L’altra Venezia
Partecipa al nostro sondaggio e concorso!
lunedì 2 maggio 2011
Banchetti di Stato della Repubblica Serenissima
Nel Rinascimento la questione della tavola è centrale sotto il profilo politico, essa infatti travalica il semplice atto del mangiare e diventa una manifestazione di prestigio, inscenata per impressionare l'ospite, per far comprendere la vastità delle sue ricchezze, per aumentare il potere di chi organizza il convivio. Il banchetto quindi è scenografia, coreografia, finzione, spettacolo. E' arte raffinata che unisce intrattenimento, cibi ricercati, preparazione della tavola, per appagare allo stesso tempo occhio, palato e mente.
In particolare nelle festività pubbliche, Venezia costruisce un cerimoniale specifico studiato nei minimi dettagli. I banchetti tradizionali offerti dal doge nell'arco dell'anno sono cinque. Innanzitutto, San Marco, festeggiato il 25 aprile con un menù rituale costituito da una tenera primizia che il principe ha il privilegio di assaggiare per primo: si tratta dei piselli, presentati sotto forma di risi e bisi (riso con piselli) o di bisi con persuto (piselli con prosciutto). Quaranta giorni dopo Pasqua cade la Sensa (Ascensione), che si apriva con un antipasto di zuche confete (zucca caramellata) accompagnate da malvasia muschatella (vino greco dolce).
Queste due festività vengono onorate ancora oggi a Venezia, e da qualche anno sono tornati in auge i risi e bisi preparati alla vecchia maniera. Si è completamente persa traccia invece delle altre tre ricorrenze: Santi Vito e Modesto, il 15 giugno, di cui rimane il ricordo di un "pranzo bellissimo di pessi" offerto dal doge Andrea Gritti nel 1532; San Girolamo, il 30 settembre, nel corso della quale venivano conferiti ai patrizi alcuni importanti uffici della Repubblica; mentre sul quinto banchetto c'è incertezza: Giustina Michiel Renier nel suo libro "Origini delle feste veneziane" parla di Santo Stefano, Giuseppe Tassini di San Lorenzo.
Oltre a questi banchetti sono da ricordare i ricevimenti speciali in occasione di visite di sovrani e di ambasciatori, presso il Palazzo Ducale. Il tavolo preparato per queste occasioni è di forma ovale e gli invitati appartengono ai vari rami del governo e del corpo diplomatico, ma proprio per dimostrare che ci troviamo in una repubblica, il popolo non viene privato del diritto di assistere come spettatore a queste mense. I cittadini però si ritirano dopo il primo servizio: un usciere scuote le chiavi e quello è il tacito segnale della partenza, mentre al loro posto subentrano i musici. Terminato il banchetto, gli scudieri di palazzo presentano ad ogni convitato un paniere di dolci, mentre il doge si alza, si commiata e si ritira negli appartamenti privati.
Una curiosità: all'epoca era abitudine servirsi di posate personali, portate da casa, per praticità o per paura di essere avvelenati. A tavola, ambasciatori e personalità sono serviti dal proprio domestico, incaricato di riportare a casa la cassetta contenente posate e bicchiere facenti parte del coperto. Il nome deriva dal tovagliolo messo su tutto, e spiega l'origine della voce che ancora oggi troviamo nel conto del ristorante.
(fonte: C.Coco)
In particolare nelle festività pubbliche, Venezia costruisce un cerimoniale specifico studiato nei minimi dettagli. I banchetti tradizionali offerti dal doge nell'arco dell'anno sono cinque. Innanzitutto, San Marco, festeggiato il 25 aprile con un menù rituale costituito da una tenera primizia che il principe ha il privilegio di assaggiare per primo: si tratta dei piselli, presentati sotto forma di risi e bisi (riso con piselli) o di bisi con persuto (piselli con prosciutto). Quaranta giorni dopo Pasqua cade la Sensa (Ascensione), che si apriva con un antipasto di zuche confete (zucca caramellata) accompagnate da malvasia muschatella (vino greco dolce).
Queste due festività vengono onorate ancora oggi a Venezia, e da qualche anno sono tornati in auge i risi e bisi preparati alla vecchia maniera. Si è completamente persa traccia invece delle altre tre ricorrenze: Santi Vito e Modesto, il 15 giugno, di cui rimane il ricordo di un "pranzo bellissimo di pessi" offerto dal doge Andrea Gritti nel 1532; San Girolamo, il 30 settembre, nel corso della quale venivano conferiti ai patrizi alcuni importanti uffici della Repubblica; mentre sul quinto banchetto c'è incertezza: Giustina Michiel Renier nel suo libro "Origini delle feste veneziane" parla di Santo Stefano, Giuseppe Tassini di San Lorenzo.
Oltre a questi banchetti sono da ricordare i ricevimenti speciali in occasione di visite di sovrani e di ambasciatori, presso il Palazzo Ducale. Il tavolo preparato per queste occasioni è di forma ovale e gli invitati appartengono ai vari rami del governo e del corpo diplomatico, ma proprio per dimostrare che ci troviamo in una repubblica, il popolo non viene privato del diritto di assistere come spettatore a queste mense. I cittadini però si ritirano dopo il primo servizio: un usciere scuote le chiavi e quello è il tacito segnale della partenza, mentre al loro posto subentrano i musici. Terminato il banchetto, gli scudieri di palazzo presentano ad ogni convitato un paniere di dolci, mentre il doge si alza, si commiata e si ritira negli appartamenti privati.
Una curiosità: all'epoca era abitudine servirsi di posate personali, portate da casa, per praticità o per paura di essere avvelenati. A tavola, ambasciatori e personalità sono serviti dal proprio domestico, incaricato di riportare a casa la cassetta contenente posate e bicchiere facenti parte del coperto. Il nome deriva dal tovagliolo messo su tutto, e spiega l'origine della voce che ancora oggi troviamo nel conto del ristorante.
(fonte: C.Coco)
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