Tasi cuor mio
per piasser,
par che ti vol sofrir
par tuto el mondo,
pensa par ti,
stropite i oci,
stropite e recie,
tasi cuor mio
per piasser,
no sta batter
in 'sta maniera,
me manca el fià.
Graziosa. Di recente sono incappata in alcune poesie di Noventa, Calzavara e Marin e mi ha colto una leggera crisi d'identità: com'è che, a leggerlo, capisco meglio il dialetto veneto che il mio? OPS!
Temo che avrei dei problemi... però, forse, dopo un mese di vacanza a Venezia potrei imparare (eh, magari!). Il mio dialetto scritto è ostico, perché pieno di apostrofi, dieresi e accenti e anche le parole che conosco sembrano arabe; mentre il veneto è un poco più accessibile. Poi si tratta sempre di area padana e molte cose sono simili. Il "marangon" che citi nel post del 6 maggio, ad esempio, da noi è "maringon". Belli i dialetti. Credo sia Zanzotto (toh, un altro veneto!), che dice che contengono "un goccio del latte di Eva". Al di là di ogni arroccamento nei particolarismi locali, possono dare una dimensione più antica e profonda della propria lingua. Comunque stasera, per espiare ai miei problemi d'identità, una mia amica mi trascina a vedere Moliere trasposto in parmigiano... chissà che ne verrà fuori! Buona giornata.
Sì, la "storia" delle parole è estremamente affascinante, soprattutto è curioso il rapporto che hanno le parole con i modi di essere delle persone che le parlano... molto più di un semplice vestito! Molière in dialetto parmigiano? Vorrei troppo sentirlo! Fammi sapere com'è andata ;-)
Sono perfettamente d'accordo; però, come un vestito, possono nascondere o valorizzare la "bellezza" di una persona, o il suo contrario; ma ad ascoltare bene, o leggere tra le righe, è vero che si possono capire tante cose... La commedia era graziosa. La compagnia teatrale era molto "artigianale", ma si è impegnata. E questo è apprezzabile. Hanno reso in italiano e in latino maccheronico i dialoghi formali e in dialetto i momenti più domestici, dove, in effetti, funziona meglio. Molto divertente la servetta che interrompe le effusioni dell'innamorato con un lapidario "pianta lì ed fer al cojòn" (che non necessita di traduzione...), o la terribile moglie di Argante che lo vezzeggia con un tenero "al me pojén" (il mio pulcino!). Ho promesso ad Adriano Maini, che ha fatto un'incursione nel nostro blog, che pubblicherò qualche poesia di qualche autore parmigiano. Quando sarà, lo segnalerò ad entrambi. Arvédros!
Graziosa. Di recente sono incappata in alcune poesie di Noventa, Calzavara e Marin e mi ha colto una leggera crisi d'identità: com'è che, a leggerlo, capisco meglio il dialetto veneto che il mio? OPS!
RispondiEliminaIntensa! P.S. Ti dovrei segnalare qualcosa di un erudito ventimigliese nella Venezia del '600 ...
RispondiElimina@Cri: quantomeno curioso, però la prova del nove sarebbe verificare cosa comprendi con il dialetto parlato piuttosto che con quello scritto! ;-D
RispondiElimina@Adriano: segnala, segnala, sono tutt'orecchi!
Temo che avrei dei problemi... però, forse, dopo un mese di vacanza a Venezia potrei imparare (eh, magari!).
RispondiEliminaIl mio dialetto scritto è ostico, perché pieno di apostrofi, dieresi e accenti e anche le parole che conosco sembrano arabe; mentre il veneto è un poco più accessibile. Poi si tratta sempre di area padana e molte cose sono simili. Il "marangon" che citi nel post del 6 maggio, ad esempio, da noi è "maringon". Belli i dialetti. Credo sia Zanzotto (toh, un altro veneto!), che dice che contengono "un goccio del latte di Eva". Al di là di ogni arroccamento nei particolarismi locali, possono dare una dimensione più antica e profonda della propria lingua.
Comunque stasera, per espiare ai miei problemi d'identità, una mia amica mi trascina a vedere Moliere trasposto in parmigiano... chissà che ne verrà fuori! Buona giornata.
Sì, la "storia" delle parole è estremamente affascinante, soprattutto è curioso il rapporto che hanno le parole con i modi di essere delle persone che le parlano... molto più di un semplice vestito!
RispondiEliminaMolière in dialetto parmigiano? Vorrei troppo sentirlo!
Fammi sapere com'è andata ;-)
Sono perfettamente d'accordo; però, come un vestito, possono nascondere o valorizzare la "bellezza" di una persona, o il suo contrario; ma ad ascoltare bene, o leggere tra le righe, è vero che si possono capire tante cose...
RispondiEliminaLa commedia era graziosa. La compagnia teatrale era molto "artigianale", ma si è impegnata. E questo è apprezzabile. Hanno reso in italiano e in latino maccheronico i dialoghi formali e in dialetto i momenti più domestici, dove, in effetti, funziona meglio. Molto divertente la servetta che interrompe le effusioni dell'innamorato con un lapidario "pianta lì ed fer al cojòn" (che non necessita di traduzione...), o la terribile moglie di Argante che lo vezzeggia con un tenero "al me pojén" (il mio pulcino!).
Ho promesso ad Adriano Maini, che ha fatto un'incursione nel nostro blog, che pubblicherò qualche poesia di qualche autore parmigiano. Quando sarà, lo segnalerò ad entrambi. Arvédros!