"Venezia minore" è un concetto importante per fruire degli aspetti insoliti e poco conosciuti della città, che discendono da una parte dalla storia dell'architettura, dall'altra dal cinema e dalla fotografia.
Il libro pionieristico e assai apprezzato anche da Le Corbusier, di Egle Trincanato, Venezia minore, aiuta a penetrare nella logica delle costruzioni civili veneziane, in particolare nei sestieri di Dorsoduro e Castello, determinata dall'utilizzo della pietra d'Istria, dalla presenza di alcuni stilemi (cornici, porte architravate, finestre monofore, bifore, polifore...) a volte rispondenti a soluzioni funzionali immediate, come la protettiva sporgenza dei barbacani sulle botteghe a piano terra, con il conseguente recupero di spazio abitativo nel piano superiore. Si tratta quindi di un importante codice di identificazione che impronta, anche nella vita quotidiana, un certo modo di concepire lo spazio e il decoro urbano.
Venezia minore era anche il titolo di un documentario del 1940 di Francesco Pasinetti, regista veneziano scomparso prematuramente (1911-49), fratello del romanziere Pier Maria Pasinetti. L'opera intendeva indirizzare la cinepresa alle sequenze di una vita quotidiana che scorreva lenta nelle calli, lungo i canali e attraverso i ponti dei sestieri di Cannaregio e Castello, ma anche alla Giudecca. L'interpretazione visiva di Pasinetti contrastava, per il suo realismo, con l'utilizzo scenografico della città in alcune grandi cerimonie pubbliche (come la visita di Hitler nel 1934).
E ancora, con Gianni Berengo Gardin, è possibile, grazie alle sue fotografie in bianco e nero, seguire un itinerario alternativo a Venezia che parte da Piazza San Marco innevata o battuta dalla pioggia o invasa dall'acqua alta, solcata dalle passerelle, finché scatto dopo scatto l'occhio si addentra nelle calli, scruta gli accessi, entra nelle case visitandone gli interni e ritraendone i proprietari: dal paesaggio al ritratto, questo è il filo del reportage di Berengo Gardin.
Il film Pane e tulipani (2000) di Silvio Soldini racconta una Venezia insolita negli interni bassamente illuminati, delle pensioncine di infimo ordine, delle trattorie, degli appartamenti popolari di Santa Marta. Il tipo di intreccio del film è quello denominato "scomparso a Venezia", in cui un uomo (nella fattispecie una donna) esce dalla propria insoddisfacente routine, evadendo significativamente dal proprio ruolo sociale, durante un viaggio veneziano all'origine apparentemente casuale, in verità iniziatico e profondamente autorivelatorio.
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mercoledì 26 ottobre 2011
Venezia minore
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mercoledì 5 gennaio 2011
Venezia all'alba del XX secolo
Davanti all'obiettivo di Tomaso Filippi, alcune giovani veneziane si espongono con candore popolare che intenerisce: colgono l'acqua dai pozzi, rattoppano le reti da pesca, oppure vendono ceste di pesce al mercato di Rialto. Le loro madri, sedute in cerchio sull'uscio di casa, infilano perle chiacchierando tra loro. I corpi sono infagottati negli abiti consunti e troppo larghi. I volti sono tristi, i capelli ribelli, le scarpe scalcagnate.
Quando l'alba sorge sul XX secolo, Venezia soffre di un netto ritardo rispetto alle altre città italiane. Bisogna creare lavoro, unire l'isola alla terraferma. La fragile struttura acquatica viene sventrata con fragore e brutalità. La modernità preme e si affretta ad omogeneizzare e banalizzare tutto.
I ricchi stranieri acquistano a basso prezzo i palazzi da sogno che erano stati abbandonati dalle antiche famiglie patrizie della Serenissima. I nuovi occupanti ricevono ed invitano il fior fiore degli scrittori, dei pittori, degli esteti e dei collezionisti che, di giorno e di notte, esplorano, con il naso all'insù, il labirinto delle calli silenziose e deserte. All'ora del tè si passeggia in Piazza San Marco, prima di ritrovarsi al Quadri o al Florian, sulle piccole panchine cremisi, avvolti nei cappotti confezionati dallo spagnolo Mariano Fortuny. Si vive Venezia dentro se stessi, come una religione. Infine, calata la sera, sotto le stelle, nelle gondole o nelle barche da pesca, ci si dà alla serenata, ripassando o inventando melodie veneziane.
Offesi e feriti da una modernità rumorosa, invadente ed aggressiva, molti veneziani guardano con diffidenza e freddezza la loro immagine dai contorni poco definiti che si riflette nello specchio spezzato del presente.
L'amore folle, ossessivo, a volte addirittura morboso degli stranieri per Venezia aiuta forse alcuni di loro a riprendere il filo del discorso bruscamente interrotto con il loro passato. A scendere nel pozzo buio e profondo della storia per cercarvi i tesori che decenni di occupazione francese ed austriaca avevano finito col nascondere e far dimenticare. Un patrimonio la cui esistenza era stata cancellata, e che bisognava ora riesumare, trascrivere, pubblicare, suonare, studiare e trasmettere ai più giovani.
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Quando l'alba sorge sul XX secolo, Venezia soffre di un netto ritardo rispetto alle altre città italiane. Bisogna creare lavoro, unire l'isola alla terraferma. La fragile struttura acquatica viene sventrata con fragore e brutalità. La modernità preme e si affretta ad omogeneizzare e banalizzare tutto.
I ricchi stranieri acquistano a basso prezzo i palazzi da sogno che erano stati abbandonati dalle antiche famiglie patrizie della Serenissima. I nuovi occupanti ricevono ed invitano il fior fiore degli scrittori, dei pittori, degli esteti e dei collezionisti che, di giorno e di notte, esplorano, con il naso all'insù, il labirinto delle calli silenziose e deserte. All'ora del tè si passeggia in Piazza San Marco, prima di ritrovarsi al Quadri o al Florian, sulle piccole panchine cremisi, avvolti nei cappotti confezionati dallo spagnolo Mariano Fortuny. Si vive Venezia dentro se stessi, come una religione. Infine, calata la sera, sotto le stelle, nelle gondole o nelle barche da pesca, ci si dà alla serenata, ripassando o inventando melodie veneziane.
Offesi e feriti da una modernità rumorosa, invadente ed aggressiva, molti veneziani guardano con diffidenza e freddezza la loro immagine dai contorni poco definiti che si riflette nello specchio spezzato del presente.
L'amore folle, ossessivo, a volte addirittura morboso degli stranieri per Venezia aiuta forse alcuni di loro a riprendere il filo del discorso bruscamente interrotto con il loro passato. A scendere nel pozzo buio e profondo della storia per cercarvi i tesori che decenni di occupazione francese ed austriaca avevano finito col nascondere e far dimenticare. Un patrimonio la cui esistenza era stata cancellata, e che bisognava ora riesumare, trascrivere, pubblicare, suonare, studiare e trasmettere ai più giovani.
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