domenica 11 novembre 2012
Il Teatro di San Cassiano
Era situato all'interno di una piccola corte, dietro al campanile dell'omonima chiesa, ma alla fine del secolo risulta già chiuso. Poco dopo nacque il Teatro Nuovo di San Cassian, gestito da Ettore Tron, che nella denuncia delle tasse scrive: "Un luoco da recitar del quale al presente non si cava niente". Era situato dove ora si trova il giardino di Palazzo Albrizzi, alle Carampane.
F. Sansovino lo descrive di forma rotonda, con gradinate per gli spettatori e la compagnia che vi recitava si chiamava "dei Confidenti". Nel 1629 un incendio lo distrusse completamente; la ricostruzione fu molto lenta a causa della peste del 1630; fu riaperto solo nel 1636 con un dramma musicale; la struttura non era più in legno ma in pietra, a ferro di cavallo con cinque ordini di palchi. Furono rappresentate opere di Francesco Cavalli e anche un'opera di Claudio Monteverdi.
Interessanti e curiosi erano alcuni comportamenti del pubblico a teatro.
Al comparire dell'attrice preferita, oltre alle grida di gioia si declamavano poesie in sua lode e dai palchi si lanciavano fiori, dolci e colombe. In una serata in onore della ballerina Grisellini, La Farinella, furono lanciati in platea pernici, anatre e fagiani, e la rappresentazione si trasformò in una battuta di caccia!
Il Teatro inoltre risultava utile per esercitarsi al tiro al bersaglio: infatti il pubblico dai palchi lanciava mozziconi di candela sulla genta in platea!
lunedì 23 luglio 2012
Palazzo Barbaro e Palazzo Loredan
Al civico 2947 troviamo Palazzo Barbaro, cinquecentesco, la cui facciata era ornata di affreschi attribuiti a Sante Zago, che assieme a Tintoretto fu uno dei più ferventi frescanti d'esterni veneziani. La famiglia Barbaro era originaria di Roma e prima di arrivare a Venezia, passo per l'Istria e Trieste. Fu così chiamata perché si narra che un certo Marco, mentre combatteva in Terra Santa nel 1221 a fianco del Doge Domenico Michiel strappò ai barbari il vessillo di San Marco.
Adiacente a Palazzo Barbaro si trova Palazzo Loredan. Originariamente era di proprietà dei Mocenigo e verso il rio esistono ancora resti della primitiva struttura gotica. Nel 1536 fu acquistato dai Loredan che lo ricostruirono secondo la moda del tempo, affidandone l'esecuzione allo Scarpagnino. La facciata sul Campo, semplice nella sua struttura architettonica, era stata affrescata da Giuseppe Salviati e dallo stesso Sante Zago che aveva operato a Palazzo Barbaro. Le dipinture rappresentavano virtù, grottesche, festoni e storie di Lucrezia, Clelia e Muzio Scevola.
In un secondo tempo il Palazzo fu ampliato sulla destra, con l'aggiunta di una sala da ballo; essa ebbe una propria facciata che rievoca, nel suo aspetto, lo stile del Palladio.
Nel 1809 Palazzo Loredan fu alloggio del generale d'Illiers, primo governatore francese di Venezia. Con la dominazione austriaca divenne il Comando di Città e un posto di guarda stazionava perennemente all'esterno. Sulla casa di fronte è stata posta una lapide in onore di Felice Cavallotti (Milano, 1842). Eletto deputato nel 1873, divenne portavoce di Garibaldi in Parlamento. Oltre che politico, fu anche poeta, drammaturgo, giornalista e audace spadaccino. Morì infatti a Roma nel 1898, in un duello con il deputato Ferruccio Macola, direttore della "Gazzetta di Venezia".
martedì 6 marzo 2012
Palazzo Tiepolo e l'impresa audace di Sansovino
Francesco Sansovino, nel suo libro Venetia, città nobilissima et singolare, descritta in XII libri, racconta dell'impresa audace del padre Jacopo: "... consumato dal tempo, il palazzo fu con artifitio non più per avanti udito, rifondato di sotto, mentre chi si abitava di sopra, senza moto alcuno e con meraviglia della città; poi che stando la fabbrica in piedi, e sostenendola in aria, si possono gettar nuove fondamenta senza disconcio degli abitanti, e ciò fu ritrovato dal Sansovino". Possiamo a stento immaginare lo stupore dei veneziani nel vedere simile opera!
Giustiniano Martinioni ricorda che nella seconda metà del Seicento in questo palazzo abitava il senatore Marino Tiepolo. In un'incisione di Domenico Lovisa (1720) si evidenzia come l'intervento del Sansovino si fosse limitato ai piani inferiori che presentavano linee cinquecentesche a differenza del piano superiore gotico.
Il Palazzo Tiepolo venne distrutto a fine Settecento.
martedì 14 febbraio 2012
La Chiesa di San Marcuola
La Chiesa di San Marcuola fu costruita tra il IX e il X secolo, nell'area anticamente denominata "Luprio", ed era titolata ai Santi Ermagora e Fortunato. Verso la seconda metà del Duecento, l'edificio religioso venne completamente distrutto da un incendio, e immediatamente ricostruito grazie all'intervento di alcune famiglie della zona, tra cui la famiglia Memmo.
Dalla pianta cinquecentesca del De Barbari si vede come la chiesa fosse in stile gotico, con il lato destro parallelo al Canal Grande, il lato sinistro prospettante sulla Fondamenta lungo il Rio della chiesa (oggi interrato), mentre la facciata dominava il Campiello, tuttora esistente, che fungeva da sagrato e dove sorgeva l'alta mole del campanile d'impostazione romanica con una cuspide ottagonale. Di esso rimane solo la base tra la chiesa e il vicino palazzo Memmo.
A fine Seicento l'architetto Antonio Gaspari presentò dei progetti per il rinnovo della chiesa, ma i lavori furono molto lenti e quando nel 1730 Gaspari morì, il nuovo edificio era appena abbozzato. L'opera fu continuata da Giorgio Massari, che completò l'edificio nel 1736, anche grazie al contributo statale generato dalla percentuale destinata alle opere pubbliche ricavata dalle entrate del gioco del lotto.
Solo la facciata sul Canal Grande risulta incompleta, come dimostrano i quattro plinti privi delle colonne corinzie previste e la grande superficie a mattoni con le scanalature e i fori che servivano per sostenere il rivestimento in pietra d'Istria. Interessante notare che la facciata in questione, seppur appaia come la facciata principale, risulta essere in realtà la facciata laterale, in quanto il corpo dell'edificio ha mantenuto l'orientamento originario, per cui entrando da quel lato l'altare principale si trova sulla destra. Questo perché, a differenza di quanto accadeva alle origini della storia veneziana, dal Cinquecento in poi si tende a considerare più importante l'affaccio sul Canal Grande, per aumentarne il prestigio.
L'interno della chiesa merita una visita non solo per le numerose opere pittoriche, tra cui due tele del Tintoretto, ma anche perché ospita la tomba di Johann Adolf Hasse e di sua moglie, la cantante Faustina Bordoni, allieva di Benedetto Marcello, della quale si può ammirare la bellezza in un quadro di Rosalba Carriera conservato a Ca' Rezzonico.
J.A.Hasse, compositore tedesco, divenne Maestro di Cappella agli Incurabili di Venezia nel 1727, contribuendo a scrivere pagine importanti della storia della musica a Venezia. Abitava proprio in Campo San Marcuola, dove morì il 16 dicembre 1783, forse per il dolore della morte della moglie Faustina avvenuta nel 1781.
(Fonte: M.C. Bizio)
venerdì 18 novembre 2011
Breve riassunto della storia artistica a Venezia
Ecco una classificazione molto semplificata:
- Lo stile Bizantino (maggior monumento la Basilica di San Marco) predomina fino a tutto il Duecento; fatto comprensibile in una città fortemente legata a Costantinopoli. Il Romanico vi si affianca piuttosto timidamente.
- Nel Trecento si passa al Gotico (maggior monumento il Palazzo Ducale) che predomina per tutto il Quattrocento, con sviluppi particolarmente felici
- Il Cinquecento è il secolo del Rinascimento, le cui prime opere (la Chiesa dei Miracoli e la statua equestre di Colleoni), nonché quelle del maggior architetto, Mauro Codussi, hanno un vero carattere rinascimentale, ma rapidamente sopravviene il Manierismo delle opere di Sansovino e di Palladio. Egualmente ispirati al Manierismo i tre maggiori pittori del secolo: Tiziano, Tintoretto e Veronese.
- Venezia sembra lieta nel Seicento di ritrovare nel Barocco uno stile più conforme al proprio gusto del teatrale (Chiesa della Salute di Longhena), e poi indulgere nel Rococò del Settecento (massimo esponente: Tiepolo)
- Nei suoi ultimi decenni la Serenissima si specchia nei dipinti eleganti di Canaletto, Guardi e Longhi.
- Il Seicento fu anche il grande secolo della musica a Venezia, con i Gabrieli, Monteverdi, Albinoni, Vivaldi e Benedetto Marcello, mentre nel Settecento emerge il genio di Carlo Goldoni.
- Alla fine del Settecento viene completato il Teatro della Fenice. I teatri privati veneziani, fra i primi teatri coperti d'Europa, ebbero enorme successo anche nel secolo seguente. Maggior artista figurativo: Antonio Canova.
mercoledì 26 ottobre 2011
Venezia minore
Il libro pionieristico e assai apprezzato anche da Le Corbusier, di Egle Trincanato, Venezia minore, aiuta a penetrare nella logica delle costruzioni civili veneziane, in particolare nei sestieri di Dorsoduro e Castello, determinata dall'utilizzo della pietra d'Istria, dalla presenza di alcuni stilemi (cornici, porte architravate, finestre monofore, bifore, polifore...) a volte rispondenti a soluzioni funzionali immediate, come la protettiva sporgenza dei barbacani sulle botteghe a piano terra, con il conseguente recupero di spazio abitativo nel piano superiore. Si tratta quindi di un importante codice di identificazione che impronta, anche nella vita quotidiana, un certo modo di concepire lo spazio e il decoro urbano.
Venezia minore era anche il titolo di un documentario del 1940 di Francesco Pasinetti, regista veneziano scomparso prematuramente (1911-49), fratello del romanziere Pier Maria Pasinetti. L'opera intendeva indirizzare la cinepresa alle sequenze di una vita quotidiana che scorreva lenta nelle calli, lungo i canali e attraverso i ponti dei sestieri di Cannaregio e Castello, ma anche alla Giudecca. L'interpretazione visiva di Pasinetti contrastava, per il suo realismo, con l'utilizzo scenografico della città in alcune grandi cerimonie pubbliche (come la visita di Hitler nel 1934).
E ancora, con Gianni Berengo Gardin, è possibile, grazie alle sue fotografie in bianco e nero, seguire un itinerario alternativo a Venezia che parte da Piazza San Marco innevata o battuta dalla pioggia o invasa dall'acqua alta, solcata dalle passerelle, finché scatto dopo scatto l'occhio si addentra nelle calli, scruta gli accessi, entra nelle case visitandone gli interni e ritraendone i proprietari: dal paesaggio al ritratto, questo è il filo del reportage di Berengo Gardin.
Il film Pane e tulipani (2000) di Silvio Soldini racconta una Venezia insolita negli interni bassamente illuminati, delle pensioncine di infimo ordine, delle trattorie, degli appartamenti popolari di Santa Marta. Il tipo di intreccio del film è quello denominato "scomparso a Venezia", in cui un uomo (nella fattispecie una donna) esce dalla propria insoddisfacente routine, evadendo significativamente dal proprio ruolo sociale, durante un viaggio veneziano all'origine apparentemente casuale, in verità iniziatico e profondamente autorivelatorio.
lunedì 17 ottobre 2011
Università Ca' Foscari
Infine il fiore all'occhiello dell'insegnamento universitario a Venezia: lo IUAV, Istituto Universitario di Architettura di Venezia (fondato nel 1926), del quale vale assolutamente la pena visitare il rettorato, presso l'antico convento dei Tolentini. L'atmosfera del chiostro è degna di un campus americano. Ricca e funzionale è la biblioteca al primo piano. Ma quello che più colpisce e resta indelebile nella memoria è l'intervento didattico di Carlo Scarpa (1906-78) nell'ingresso, immediatamente alla destra di chi entra.
Va osservato con attenzione, perché esso vuole essere una dimostrazione pratica del principio di Le Corbusier, secondo il quale a Venezia si può solo costruire senza costruire. In questo senso Scarpa ha recuperato un portale dalle macerie del convento, come fece il Selva durante gli sventramenti per i Giardini di Castello, ma al contrario di Selva, Scarpa lo ha rovesciato a terra e riempito d'acqua, come si fa per una vasca, dunque costruendo senza costruire e proponendo quella tacita (o forse criptica) lezione ai futuri architetti dello IUAV, ogni volta che ne dovranno varcare la soglia.
lunedì 3 ottobre 2011
Teatro Verde sull'Isola di San Giorgio Maggiore
Secondo il romanzo esoterico Hypnerotomachia Poliphili, pubblicato da Aldo Manuzio nel 1499, il significato delle tre porte è, per il neofita, il seguente: la prima porta Gloria Dei, la seconda Mater Amoris, la terza Gloria Mundi.
Progettato nel 1952 da Luigi Vietti e Angelo Scattolin, il Teatro Verde è invece un'opera moderna caratterizzata da un esasperato classicismo, che se riprende la forma del teatro greco da una parte, dei teatri di "verzura" delle ville venete, assume dall'altra, in virtù delle gradinate di pietra e della corona di cipressi secolari, un tratto decisamente sepolcrale e funereo.
Caduto in disgrazia dopo memorabili rappresentazioni notturne di Romeo e Giulietta e della Carmen di Bizet, lo straordinario anfiteatro di 1500 posti, con palcoscenico di 56 metri sul fronte e 210 metri quadri complessivi, giace oggi in completo abbandono. Tuttavia gli alti spiriti che ancora aleggiano nell'atmosfera del Teatro Verde sono quelli di Gabriele D'Annunzio e di Eleonora Duse (le cui lettere sono conservate negli archivi della Fondazione Cini), in particolare riecheggiano ancora le rappresentazioni de La Nave e La Città morta (perché secondo certe indicazioni contenute nel romanzo Il Fuoco, la tragedia d'ambientazione archeologica si sarebbe configurata nella mente dell'autore durante una passeggiata meridiana per Venezia): "Entravano nel campo San Cassiano deserto sul suo rio livido, e la voce e i passi echeggiarono come in un circo di rupi, chiaramente, nel rombo che veniva dal Canal Grande come da un fiume...".
Il Teatro Verde riprende, nella cornice buia e priva di rumori esterni, la condizione notturna in cui ebbe a sprigionarsi dalla mano cieca di D'Annunzio, nell'inverno caliginoso del 1916, la più tenue e duratura fiammella del fantastico veneziano.
lunedì 12 settembre 2011
Scala Contarini del Bovolo
Lo scrittore veneziano Renato Pestriniero ha dedicato a questo insolito monumento il racconto Nodi, pubblicato per la prima volta nel 1981. Si tratta di un'interpretazione visionaria di notevole suggestione:
"Avevamo lasciato Campo Manin per inoltrarci nell'unico accesso alla corte, una fessura in ombra tra cataste di case antiche, occhiaie nere, bocche di cantine putrescenti, muri di mattoni corrosi dalla salsedine, e alla fine ecco la corte, piccola e raccolta, un pozzo formato da pareti di case sovrapposte, protuberanze, anfratti, un labirinto di volumi incastrati l'uno nell'altro nel corso dei secoli. La scala sorge lì. E' una spirale di gradini che si avvolge all'esterno di una torre cilindrica, un nastro orlato di trine marmoree, un capriccio architettonico.
Cominciai a salire aggirando il corpo cilindrico della costruzione sul quale si avvolge la scala. Sul lato esterno la serie ininterrotta di archi si apriva su un vuoto grigio. Ad ogni decina di gradini passavo accanto a una porta di legno simile a quella dalla quale ero uscito. Un numero così elevato di porte faceva prevedere una struttura interna ben strana. Sostai accanto ad una di esse. Filtravano suoni che non riuscivo ad interpretare, una sorta di scalpiccio, un mormorare proprio accanto all'uscio, eppure lontanissimo, passi soffici provenienti da un silenzio per immergersi in un altro silenzio.
Continuai a salire, ma quando ebbi completato un paio di volute e mi trovai nuovamente sulla verticale della corte, mi resi conto che nelle distanze c'era qualcosa di sbagliato..."
mercoledì 2 febbraio 2011
Giorgio Massari, l'ultimo grande architetto della Serenissima
Il Massari nacque a Venezia il 13 ottobre 1687 a San Luca da Stefano marangon (falegname) e Caterina Pol. Ebbe una certa istruzione, ma non si conosce come sia stato il suo esordio in architettura. Il primo fra i suoi committenti fu Paolo Tamagnin, ricco commerciante che abitava in Campo San Paternian, per il quale Giorgio costruì una villa ad Istriana nel 1712. Tra i due nacque una forte amicizia e quando il Tamagnin morì, nel 1734, lasciò alla moglie, Pisana Bianconi, solo l'usufrutto del capitale e nominò erede universale il Massari; inoltre gran parte delle rendite doveva essere accantonata per raggiungere la cifra di centomila ducati al fine di ristrutturare la Chiesa di San Giovanni in Bragora.
Nel 1735 Massari sposò la vedova cinquantaseienne del Tamagnin e andò a vivere nella sua casa alla Bragora. Si crede che il matrimonio sia stato il coronamento di un vecchio amore tenuto nascosto per anni.
Rimasto vedovo nel 1751, senza figli, il Massari trascorse una vecchiaia non facile a causa di numerosi acciacchi: lo si intuisce dall'inventario dei suoi beni personali, tra i quali un elenco di spese con un passivo di ben 70 ducati per medici e medicine. Nonostante le difficoltà fisiche, la sua attività si protrasse fin quasi alla morte, avvenuta il 20 dicembre 1766.
Il Massari fu un architetto stimato, pur nella sua semplicità e spontaneità. Non era particolarmente erudito, ma era un attento e preciso osservatore delle opere dei grandi maestri come Palladio, Sansovino e Longhena. Fu sempre pronto ad accettare consigli e non fu mai avido di denaro.
Fu però anche invidiato da certi suoi colleghi; così scrisse il Temanza di lui: "Il superbo e maligno Massari, ma dovrei dire l'ignorante asinaccio. Uomo tolto dall'umile professione di legnaiolo e per sola fortuna innalzato alla stima di celebre Architetto".