Nel 1484, Ermolao Barbaro
crea a Padova il primo orto botanico d'Italia.
Questo è solo un episodio
nell'attività di un personaggio multiforme, attorno al quale di
possono accennare i tratti salienti di una nuova cultura, con
tendenze più scientifiche che letterarie, anzi, proprio pragmatiche
e tecniche.
Il patriziato colto a
Venezia non è un circolo accademico come nella Firenze medicea; o
accademico-curiale come nella Roma pontificia; o
cancelleresco-cortigiano come nella Milano viscontea-sforzesca o
nella Napoli aragonese. E' invece un gruppo, attraverso le
generazioni, di persone autorevoli, indipendenti moralmente e
materialmente, che subordinano la loro attività di lettori e
scrittori al servizio dello Stato, dedicando ai libri il tempo che
risparmiano nell'attività politico-amministrativa e nelle missioni
diplomatiche.
Ermolao Barbaro, figlio e
nipote di personaggi di questo tipo, nasce a Venezia nel 1453, e fin
da ragazzo intreccia ottimi studi a viaggi col padre, ambasciatore di
Venezia a Napoli, a Milano e a Roma.
Entrato ben presto nelle
massime magistrature di Venezia, è anche professore a Padova.
Coetaneo del Poliziano, ha
con lui rapporti amichevoli e distesi, un poco più polemici ma di
stima con Giovanni Pico della Mirandola.
Se a spanne, la cultura
della Firenze medicea è “platonizzante”, Ermolao Barbaro studia
piuttosto Aristotele e Plinio il Vecchio, e può considerarsi uno
scienziato, un precursore del metodo sperimentale (almeno, tale lo
considereranno Linneo e Leibniz).
Se si considera Ermolao
Barbaro come un “umanista esclusivo” e si sfogliano certe sue
opere piuttosto che altre, è impossibile rendersi conto della sua
importanza; l'importanza stessa dell'intera cultura veneziana è
difficile da cogliere in una prospettiva fiorentino-centrica come
quella che la storia italiana ha ancora in gran parte al giorno
d'oggi.
E' giusto sapere che sarà
allievo di Ermolao Barbaro un certo Pietro Bembo.
Gli anni del Barbaro sono
gli anni dei Bellini, di Carpaccio, di Giorgione,
Il quadro del Giorgione, I
tre filosofi, mostra un giovane che dà le spalle a due gravi
personaggi con barba e turbante (rappresentanti del pensiero greco ed
arabo) e volge lo sguardo verso una grotta. Quel giovane è Ermolao
Barbaro.