Oggi strettamente legato all'occasione stagionale del Carnevale, l'uso della maschera, finalizzato al mantenimento dell'anonimato, un tempo rientrava nella vita quotidiana di Venezia. Un posto d'onore nella mitologia del Carnevale veneziano spetta alla bautta (pronuncia: "baùta"), presente già in diversi quadri di Longhi e di Guardi.
La bautta è da considerare maschera assolutamente originale di Venezia. Bianca, leggermente sorridente per l'ampia sporgenza destinata ad alterare la voce, la bautta contrasta con il nero del tabarro (ampio mantello) e del tricorno (cappello a tre punte). L'etimologia più convincente del termine è quella che lo fa risalire al "bau", cioè l'uomo nero spauracchio dei bambini. Questo travestimento prevedeva un utilizzo unisex, e risultava particolarmente gradito alle signore dedite al gioco d'azzardo o ad appuntamenti notturni illeciti.
Quasi altrettanto celebre è la moretta, maschera che consiste in un volto nero ovoidale, destinata esclusivamente alle donne, le quali, trattenendola con la bocca grazie ad un morso posteriore, mantenevano l'anonimato e il silenzio. Si ritiene che l'imposizione del silenzio alle donne non fosse casuale...
La personalità certo svanisce dietro l'eccitante esperienza del mascheramento, ma la suo posto non ne sorge un'altra con relativo complesso di significati. L'anonimato e l'incognito garantiti dalle maschere sublimano le funzioni trasgressive e a fondo sessuale connesse con l'ambiguità della maschera. Da qui evidentemente l'immenso successo di queste maschere.
venerdì 24 giugno 2011
mercoledì 22 giugno 2011
giovedì 16 giugno 2011
"Andar col dadrio sul butiro"
("Andare col sedere sul burro" - Dicesi quando tutto fila via liscio)
("Andare col sedere sul burro" - Dicesi quando tutto fila via liscio)
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lunedì 13 giugno 2011
Quando per un solo voto Venezia non emigrò a Costantinopoli
Pompeo Molmenti nella sua opera La storia di Venezia nella vita privata narra un fatto poco conosciuto. Agli inizi del Duecento sembra che tra i componenti del Maggior Consiglio si discutesse se fosse il caso di trasferire la sede del governo veneziano altrove, per via delle difficoltà oggettive nel vivere in una città costruita su una laguna fangosa, soprattutto alla luce di un futuro ampliamento della città che all'epoca era proiettata verso una grande rinomanza politica e commerciale.
L'occasione si presentò nel 1204 quando con la quarta crociata Venezia pose il vessillo di San Marco sulle torri imperiali di Bisanzio. Fu lo stesso doge Pietro Ziani che espose in Maggior Consiglio l'ipotesi di trasferire la capitale proprio a Bisanzio, illustrando come la laguna di Venezia fosse povera di risorse e non ci fosse spazio per ampliare la città stessa, per non parlare del continuo pericolo d'inondazione, mentre Costantinopoli era un magnifico paese dotato di tutte le grazie e i doni di Dio.
Angelo Falier, membro di una delle più antiche famiglie veneziane rispose al doge Ziani che tra quelle paludi erano sepolti i loro padri, e che l'asperità e le difficoltà di quei luoghi erano stati la causa stessa della forza dei veneziani.
Si mise quindi al ballottaggio la proposta, e per un solo voto contrario non si aderì alla proposta del trasferimento delle istituzioni veneziane a Bisanzio!
In realtà non c'è traccia alcuna nei documenti storici di questo avvenimento narrato da Molmenti, e il racconto è verosimilmente una leggenda, ma come si sa, dietro ad ogni leggenda c'è sempre un fondo di verità...
L'occasione si presentò nel 1204 quando con la quarta crociata Venezia pose il vessillo di San Marco sulle torri imperiali di Bisanzio. Fu lo stesso doge Pietro Ziani che espose in Maggior Consiglio l'ipotesi di trasferire la capitale proprio a Bisanzio, illustrando come la laguna di Venezia fosse povera di risorse e non ci fosse spazio per ampliare la città stessa, per non parlare del continuo pericolo d'inondazione, mentre Costantinopoli era un magnifico paese dotato di tutte le grazie e i doni di Dio.
Angelo Falier, membro di una delle più antiche famiglie veneziane rispose al doge Ziani che tra quelle paludi erano sepolti i loro padri, e che l'asperità e le difficoltà di quei luoghi erano stati la causa stessa della forza dei veneziani.
Si mise quindi al ballottaggio la proposta, e per un solo voto contrario non si aderì alla proposta del trasferimento delle istituzioni veneziane a Bisanzio!
In realtà non c'è traccia alcuna nei documenti storici di questo avvenimento narrato da Molmenti, e il racconto è verosimilmente una leggenda, ma come si sa, dietro ad ogni leggenda c'è sempre un fondo di verità...
venerdì 10 giugno 2011
"Vivere a Venezia significa girare portandosi addosso la propria faccia per ciò che è veramente: un luogo pubblico"
(Tiziano Scarpa)
(Tiziano Scarpa)
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citazione
giovedì 9 giugno 2011
Marin Sanudo e le cronache veneziane
Senatore della Repubblica Serenissima e storiografo, Marin Sanudo nacque e mori a Venezia (1466-1543). Abitò nel sestiere di Santa Croce, sulla Fondamenta del Megio (cioè del miglio, per via del grande magazzino ivi presente).
Fu un importante cronachista della vita veneziana, che descrisse accuratamente in ben 58 volumi. Si occupò di vicende politiche, economiche e militari, ma anche quotidiane e di costume dell'epoca.
I volumi, che vennero pubblicati col titolo di Diarii ed erano composti in lingua veneziana, sono tutt'oggi una fonte inesauribile di notizie per qualunque studioso di storia veneziana, ma anche un semplice lettore vi può trovare innumerevoli particolari e curiosità. La sua scrittura è semplice e diretta, e priva di retorica alcuna.
Marin Sanudo fu anche autore di altre imprese letterarie: Le vite dei Dogi, Itinerario per la terraferma veneziana, De situ et magistratibus urbis Venetae, anch'esse fonti notevoli di informazioni.
Egli possedeva inoltre un'importante biblioteca privata di opere manoscritte e a stampa (tra cui le Cronache di Altino e alcune opere di Poliziano ed Ovidio edite da Aldo Manuzio), molto ammirata dai sui contemporanei, che purtroppo però è andata dispersa con i saccheggi napoleonici.
Nel 1531 il Senato gli concederà un vitalizio di 150 ducati l'anno come riconoscimento dell'alto valore della sua opera.
Fu un importante cronachista della vita veneziana, che descrisse accuratamente in ben 58 volumi. Si occupò di vicende politiche, economiche e militari, ma anche quotidiane e di costume dell'epoca.
I volumi, che vennero pubblicati col titolo di Diarii ed erano composti in lingua veneziana, sono tutt'oggi una fonte inesauribile di notizie per qualunque studioso di storia veneziana, ma anche un semplice lettore vi può trovare innumerevoli particolari e curiosità. La sua scrittura è semplice e diretta, e priva di retorica alcuna.
Marin Sanudo fu anche autore di altre imprese letterarie: Le vite dei Dogi, Itinerario per la terraferma veneziana, De situ et magistratibus urbis Venetae, anch'esse fonti notevoli di informazioni.
Egli possedeva inoltre un'importante biblioteca privata di opere manoscritte e a stampa (tra cui le Cronache di Altino e alcune opere di Poliziano ed Ovidio edite da Aldo Manuzio), molto ammirata dai sui contemporanei, che purtroppo però è andata dispersa con i saccheggi napoleonici.
Nel 1531 il Senato gli concederà un vitalizio di 150 ducati l'anno come riconoscimento dell'alto valore della sua opera.
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mercoledì 8 giugno 2011
"Le ciacole dura tre dì"
(Le chiacchiere durano soltanto tre giorni, poi svaniscono perché si dimentica o perché ormai niente più scandalizza davvero...)
(Le chiacchiere durano soltanto tre giorni, poi svaniscono perché si dimentica o perché ormai niente più scandalizza davvero...)
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lunedì 6 giugno 2011
Gli altari di San Giacomo di Rialto
Il legame tra la Chiesa di San Giacometto e il Mercato di Rialto è sottolineato dalla presenza, al suo interno, di molte Scuole di Mestiere ospitate presso i suoi altari.
L'altare maggiore fu sede fino alla fine del 1400 della Scuola dei Compravendipesce, trasferitasi poi ai Carmini. L'attività dei compravendipesce poteva essere esercitata solo dai pescatori di San Nicolò dei Mendicoli e di Poveglia, con limitazioni ben definite: dovevano essere stati pescatori per almeno vent'anni e dovevano aver raggiunto i cinquant'anni di età.
Lo stesso altare ospitò poi la Scuola dei Casaroli, cioè i venditori di formaggi, e la Scuola dei Ternieri, venditori di olio alimentare; la statua di San Giacomo, protettore di entrambe le confraternite, che decora l'altare è opera di Alessandro Vittoria.
L'altare a destra era sede della Scuola dei Garbeladori, misuratori e vagliatori di cereali e legumi. L'origine della Scuola sembra essere piuttosto antica, forse nella prima metà del Duecento. Un "misurador" appare in uno dei capitelli di Palazzo Ducale.
L'altare a sinistra apparteneva alla Scuola degli Oresi, gli orefici. L'altare è impreziosito dalla statua di S.Antonio Abate, patrono della Scuola, e da angeli, tutte opere eseguite in bronzo da Girolamo Campagna agli inizi del Seicento.
Gli orefici veneziani erano abilissimi nella tecnica della filigrana, detta opus veneciarum, nell'eseguire catenelle a maglia d'oro minutissime, e nel taglio dei diamanti.
Artisti celebri, come Alessandro Vittoria, furono anche abili orefici, da ricordare, ad esempio, la rilegatura in argento sbalzato, cesellato e dorato del Breviario Grimani, custodito nella Biblioteca Marciana.
L'altare maggiore fu sede fino alla fine del 1400 della Scuola dei Compravendipesce, trasferitasi poi ai Carmini. L'attività dei compravendipesce poteva essere esercitata solo dai pescatori di San Nicolò dei Mendicoli e di Poveglia, con limitazioni ben definite: dovevano essere stati pescatori per almeno vent'anni e dovevano aver raggiunto i cinquant'anni di età.
Lo stesso altare ospitò poi la Scuola dei Casaroli, cioè i venditori di formaggi, e la Scuola dei Ternieri, venditori di olio alimentare; la statua di San Giacomo, protettore di entrambe le confraternite, che decora l'altare è opera di Alessandro Vittoria.
L'altare a destra era sede della Scuola dei Garbeladori, misuratori e vagliatori di cereali e legumi. L'origine della Scuola sembra essere piuttosto antica, forse nella prima metà del Duecento. Un "misurador" appare in uno dei capitelli di Palazzo Ducale.
L'altare a sinistra apparteneva alla Scuola degli Oresi, gli orefici. L'altare è impreziosito dalla statua di S.Antonio Abate, patrono della Scuola, e da angeli, tutte opere eseguite in bronzo da Girolamo Campagna agli inizi del Seicento.
Gli orefici veneziani erano abilissimi nella tecnica della filigrana, detta opus veneciarum, nell'eseguire catenelle a maglia d'oro minutissime, e nel taglio dei diamanti.
Artisti celebri, come Alessandro Vittoria, furono anche abili orefici, da ricordare, ad esempio, la rilegatura in argento sbalzato, cesellato e dorato del Breviario Grimani, custodito nella Biblioteca Marciana.
mercoledì 1 giugno 2011
"In mancanza de granzi xe bone anca le sate"
("In mancanza di granchi sono buone anche le zampe")
("In mancanza di granchi sono buone anche le zampe")
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lunedì 30 maggio 2011
Così Estrella salvò Venezia
Nell'anno 810, la sede del governo veneziano venne trasferita da Malamocco a Rivoalto, a causa della minaccia di invasione dell'esercito franco guidato da Pipino, figlio di Carlo Magno. Pipino fece costruire una sorta di diga per poter assalire meglio la città, così Estrella, figlia del doge Angelo Partecipazio, si fece condurre in gondola dal Re franco per tentare di convincerlo a firmare un armistizio.
La bella giovane, soprannominata la "rosa di Venezia", fu accolta da Pipino, il quale però non fu minimamente influenzato dalla bellezza della ragazza e rifiutò ogni ipotesi di pace o di tregua. Ma in realtà il compito di Estrella era semplicemente di far perdere tempo al Re, giusto il tempo necessario per far crescere la marea in laguna, così quando Estrella tornò indietro, l'acqua aveva nel frattempo completamente sommerso la diga.
In questo modo l'esercito franco fu costretto a misurarsi con quello veneziano in una battaglia navale, invece che campale, i quali, conoscendo perfettamente ogni angolo della laguna, le velme, i bassi fondali e le correnti, a bordo delle loro agili imbarcazioni ottennero un clamoroso successo, sconfiggendo Re Pipino e costringendolo a desistere dal suo obiettivo.
Il finale per Estrella fu però tragico. Ella venne festeggiata a Venezia per aver così astutamente ingannato il figlio di Carlo Magno, ma mentre la sua gondola stava percorrendo il Canal Grande una grossa pietra cadde proprio sulla sua imbarcazione, facendole perdere l'equilibrio. La bella rosa di Venezia finì in acqua e scomparve sul fondo, proprio nel punto in cui secoli dopo sorgerà il Ponte di Rialto, e vano fu ogni tentativo di salvarla.
La bella giovane, soprannominata la "rosa di Venezia", fu accolta da Pipino, il quale però non fu minimamente influenzato dalla bellezza della ragazza e rifiutò ogni ipotesi di pace o di tregua. Ma in realtà il compito di Estrella era semplicemente di far perdere tempo al Re, giusto il tempo necessario per far crescere la marea in laguna, così quando Estrella tornò indietro, l'acqua aveva nel frattempo completamente sommerso la diga.
In questo modo l'esercito franco fu costretto a misurarsi con quello veneziano in una battaglia navale, invece che campale, i quali, conoscendo perfettamente ogni angolo della laguna, le velme, i bassi fondali e le correnti, a bordo delle loro agili imbarcazioni ottennero un clamoroso successo, sconfiggendo Re Pipino e costringendolo a desistere dal suo obiettivo.
Il finale per Estrella fu però tragico. Ella venne festeggiata a Venezia per aver così astutamente ingannato il figlio di Carlo Magno, ma mentre la sua gondola stava percorrendo il Canal Grande una grossa pietra cadde proprio sulla sua imbarcazione, facendole perdere l'equilibrio. La bella rosa di Venezia finì in acqua e scomparve sul fondo, proprio nel punto in cui secoli dopo sorgerà il Ponte di Rialto, e vano fu ogni tentativo di salvarla.
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