Nell'articolo precedente abbiamo visto qualche esempio di scandalo tra i nobili veneziani.
Ma l'apice della sfrontatezza era raggiunto dalle monache dei conventi. In particolare i conventi patrizi, i quali venivano chiamati "doppi" in quanto frati e monache vi abitavano insieme. Talvolta le monache si tenevano qualche frate in vicinanza con il pretesto di venir da essi guidate negli affari spirituali.
Il Maggior Consiglio emanava quindi, nel 1385, una legge con cui si imponeva che il confessore delle monache fosse di non meno di 60 anni!
Ma il costume di recarsi nei chiostri delle monache era di largo appannaggio anche dei laici, e così feste e divertimenti non mancavano per queste suore, che infatti avevano trasformato il loro parlatoio in un elegante salotto sede di concerti e spettacoli vari, con un continuo "pellegrinaggio" di giovani cavalieri mascherati.
Da citare una nota dal diario del Granduca di Toscana, Cosimo III, che venne qui in visita agli inizi del Settecento:
”Vestono leggiadrissimamente con abito bianco alla francese, il busto di bisso a piegoline, un piccolo velo cinge loro la fronte, sotto la quale escono li capelli arricciati e lindamente accomodati; seno mezzo scoperto, e tutto insieme abito più da ninfe che da monache”.
Ma tutta questa libertà portava una seria preoccupazione: le gravidanze indesiderate.
Per questo motivo in tutta la città v’erano diverse imprese che producevano contraccettivi, fabbricati con budella di animali, che in dialetto erano chiamati condon, termine che qualcuno fa risalire ad un ipotetico medico inglese Condom, di cui però non è mai stata accertata l'esistenza, più probabilmente deriva dal latino “condere” = "proteggere".
Questo interesse al profilattico era dettato anche dal tentativo di difendersi dalla sifilide, malattia la cui prima epidemia esplose nel 1496 con la discesa di Carlo VIII di Francia alla conquista del Regno di Napoli, ed è per questo tra l’altro che la sifilide veniva detta mal francese; la cosa curiosa è che in Francia invece la chiamano mal napolitaine!
A Venezia la legge prevedeva pene severe per i "monachini", cioè le persone che intrattenevano relazioni amorose con le monache, che andavano dalle multe, al carcere, fino alla pubblica frusta e al bando.
Ma se da una parte la legislazione veneziana si occupava di questi problemi, non trascurava l'argomento della pubblica prostituzione, giacché si legge in diversi decreti dell'epoca che le meretrici erano considerate "omninamente necessarie in Venezia".
Tutte le meretrici erano sottoposte alla sorveglianza dei Signori della Notte e dei Capi di Sestiere, tra le varie limitazioni a cui erano costrette ricordiamo che non potevano frequentare osterie, né recarsi in Chiesa durante la Messa della domenica, né indossare gioielli.
Un decreto del 1360 stabiliva che tutte le meretrici dovevano essere confinate in un'area nei pressi della chiesa di San Matteo di Rialto (chiesa poi scomparsa). Zona ribattezzata "Castelletto" forse perché c'erano delle torri sui tetti delle case, come usava all'epoca.
Tra le altre regole ricordiamo: l'obbligo di portare al collo, come segno distintivo, un fazzoletto giallo; approssimandosi la notte, dovevano, allo scocco della prima campana di San Marco, recarsi tutte nel già menzionato Castelletto, mentre durante il giorno potevano circolare liberamente per la città, eccetto durante le feste di Natale e di Pasqua, nonché in tutte le feste dedicate alla Madonna.
Ad ogni casa del Castelletto era preposta una direttrice chiamata "matrona" a cui spettava di dividere ogni mese, fra le sue dipendenti, i guadagni conservati in una cassa, cassa che veniva aperta solo in presenza di un rappresentante di Stato.
Questo per garantire che le meretrici fossero correttamente retribuite.
Sì, perché se da un lato queste meretrici subivano leggi che limitavano la loro libertà, da altre leggi venivano protette e difese. Si provvide ad esempio a controllare che coloro i quali ne avessero riscattate dalle matrone, non le tiranneggiassero, e che coloro che ne avevano sposate non continuassero a tenerle nel Castelletto.
Si deputarono delle guardie armate che tutte le notti sorvegliassero il loro quartiere perché nessuno potesse far loro del male, e si proibì di entrare nel Castelletto armati, sempre al fine di proteggerle.
Insomma niente veniva lasciato al caso nella Repubblica Serenissima, qualunque mestiere era regolamentato e protetto.