"Nobilissima" qualifica Venezia, nel titolo della sua celebre  guida uscita nel 1581, Francesco Sansovino (figlio del più noto  architetto Jacopo), volendo, nell'aggettivo, fondere l'idea di bellezza  eletta con quella di gestione politica socialmente selezionata. Non  solo: Venezia è anche "singolare". In effetti la singolarità  sembra il connotato principe della città. Spiccatissima la sua  individualità, percepita via via come unica, irripetibile, strana,  turbante.
Un ambiente insomma non omologabile. Persino i suoi abitanti paiono una  sorta d'anomalia antropologica: essi non arano, non seminano, non  vendemmiano. I suoi nobili non hanno niente in comune coi tratti  costitutivi dei ceti nobiliari: questi suppongono possesso di terre e  castelli con prerogative feudali, quelli invece navigano e  mercanteggiano. Già la lettera di Cassiodoro evoca la stranezza di un  popolo le cui case hanno legata fuori dall'uscio un'imbarcazione al  posto del cavallo.
Nel secolo XIV Frà Nicolò da Poggibonsi si emoziona alla vista di  "Vinegia, fatta in altro modo, con le strade che sono canali d'acqua".  Sempre l'acqua campeggia, quasi confondendosi e confrontandosi col  cielo, attorno e dentro, cornice e sostanza, habitat biofisico.  Diaframma e sutura le pietre tra specchio liquido e volta celeste. In  questo sta la sua diversità di facies urbana reale e irreale, in  certo qual modo alternativa e perciò sempre più caricabile di  significati, sempre più satura di stimoli,  sempre più dislocabile sul  versante dell'immaginazione. Si dilata, nel definirsi modellarsi e  complicarsi della sua forma, a dimensioni esistenziali estreme, da  quelle dell'amore a quella della morte.
Venezia è se stessa e, nel contempo, è sempre qualcos'altro, è sempre  ulteriorità possibile.
I dotti fuggiti da Costantinopoli caduta, nel 1453, in mano turca  v'approdano come ad una seconda Bisanzio, gli umanisti la salutano come  un' Atene rediviva.
S'attivano altresì, in sintonia col concreto esercizio del potere, i due  meccanismi ideologici più efficaci: quello della presupposizione della  sua legittimità e bontà e quello, conseguente, della sua valorizzazione:  mitizzabile e perciò mitizzata.
C'è la convinzione del superiore destino della città: essa si sente una  seconda Roma, anzi di Roma migliore perché senza le agitazioni sociali  del periodo repubblicano, senza le dispotiche degenerazioni di quello  imperiale.
L'aristocrazia lagunare non ha remore in fatto di autogratificazione: il  suo governo non è soltanto il migliore tra gli esistenti, ma anche tra i  concepibili. Essa è la "città felice", la "vera forma di perfetto  governo", sintetizza Paolo Paruta.
Ma se il mito del perfetto reggimento politico finisce con lo sfaldarsi  nell'età dei lumi, resiste quello della città di sogno appagante e  anticipante le fantasie dei poeti. Rimane lo scenario urbano con tutta  la sua carica di suggestioni psichiche.
La storia, si può obiettare, bada ai fatti, non s'attarda con  ideologismi mitizzatori, né con fantasticherie esistenziali. Ma sarebbe  ingiusto applicare a Venezia un'ottica così riduttiva: sfuggirebbero  persino i meri fatti. Anzi, mito e realtà, verità e deformazione, si  confondono e si compenetrano inscindibilmente.
Le trine marmoree degli edifici specchiantisi nei canali e inquadrati  dai campi, i labirintici andirivieni del tessuto viario, l'inarcarsi dei  ponti, il rimbalzare delle voci tra pietre ed acque, il subitaneo  subentrare del silenzio all'eccitato brusio, i colori movimentati nel  cangiare della luce, sono anch'essi storia.
La città è anche quello che significa e che ha significato. Si monca la  traccia della sua vicenda se si dimentica la trasformazione in mito  della propria civiltà.
Di bellissime città è piena l'Italia, ma Venezia è anche paesaggio  mentale, luogo dell'anima, referente attivo e passivo  dell'immaginazione, involucro e contenuto per il desiderio.
Tutto ciò s'incorpora nella sua storia.
Proprio perché unica al mondo è la città di cui il mondo ha bisogno.
Senza di lei il mondo sarebbe più povero.
 
 
E' il post di un innamorato della sua città e lo condivido.
RispondiEliminaPerò la Venezia di questi ultimi anni è, purtroppo, un po' diversa da quella "nobilissima". Forse è "singolare", ma per altri motivi.
che belle cose hai scritto, Walter, mi piace molto il finale! Vediamo cosa posso rubare per la mia commedia...
RispondiElimina