mercoledì 2 marzo 2011

"No gh'è a sto mondo, no, cità più bela,
Venezia mia, de ti, per far l'amor.
No gh'è dona, né tosa, né putela
che resista al to incanto traditor.

Co' un fià de luna e un fià de bavesela
ti sa sfantar i scrupoli dal cuor.
Deventa ogni morosa in ti una stela
e par che i basi gabia più saor.

Venezia mia, ti xe la gran rufiana,
che ti ga tuto per far far pecai:
el mar, le cale sconte, i rii, l'altana,

la Piazza e i so colombi inamorai,
la gondola che fa la nina-nana...
fin i mussati che ve tien svegiai!"

(Riccardo Selvatico)

martedì 1 marzo 2011

Scuola dei Tiraoro e Battioro

Addossata alla Chiesa di San Stae si trova la sede della Scuola (o Scoletta) dei Tiraoro e Battioro. La Scuola venne fondata nel 1420 ed aveva inizialmente sede ai Santi Filippo e Giacomo, poi nella Chiesa di San Lio, dove rimase fino al 1710 quando si trasferì a San Stae. L'edificio, in stile tardo barocco, è attribuito all'architetto Giacomo Gaspari, che aveva partecipato senza successo al concorso per la facciata della Chiesa di San Stae.
I tiraoro fabbricavano fili d'oro per la manifattura tessile, per l'abbigliamento e per l'oreficeria, mentre i battioro riducevano l'oro in lamine sottili per la decorazione di opere d'arte (ad esempio per la facciata della Ca' d'Oro sul Canal Grande, oggi sede del Museo Franchetti).
Anche se la materia trattata era preziosa, la Scuola non fu mai ricca e anzi contrasse molti debiti per la costruzione dell'edificio. Quando la Scuola fu soppressa nel periodo napoleonico portò poche entrate alle casse del governo francese, essendo in forte passivo.
Sotto il governo austriaco l'edificio fu venduto alla nobildonna Angela Barbarigo, la quale per volere testamentario desiderò che l'immobile divenisse luogo di culto, ma gli eredi provvidero diversamente: divenne infatti deposito di carbone!
Nel 1876, in condizioni più che precarie, l'edificio fu acquistato dall'antiquario Antonio Correr che lo restaurò per destinarlo a galleria espositiva, uso mantenuto ancora oggi.

lunedì 28 febbraio 2011

Compleanno

Oggi è il mio compleanno, ne approfitto quindi per prendermi un giorno di riposo ;-)
Colgo l'occasione per ringraziare di cuore tutti i miei lettori, che lentamente ma costantemente crescono di giorno in giorno dandomi la forza di continuare a curare questo blog attraverso il quale cerco di trasmettere il mio amore per Venezia.
Grazie!

venerdì 25 febbraio 2011

"Il carnevale ha assunto dimensioni grandiose. Una sciocchezza piccola è stupida, ma una grande sciocchezza può diventare meravigliosa, grandiosa. La ‘febbre’ delle maschere da normale è diventata altissima. Immagina le due piazze, un lungomare (il nostro, riva degli Schiavoni) e tutti gli annessi vicoli pieni di gente e di maschere, non si riesce a passare, nessuno si può muovere, ovunque grida, risate, ma niente di indecente, come a Parigi. Quest’ultimo particolare mi ha affascinato. Sono gente allegra, non il personale vestito in maschera di un bordello”
(Aleksandr I. Herzen, 1867)

giovedì 24 febbraio 2011

Tintoretto è Venezia anche quando non dipinge Venezia

"C'è nelle sue opere, una forma di pesantezza, che fa sì che lo spazio del Tintoretto non sia quello del pittore, ma quello dello scultore: egli è un pittore che dipinge i rapporti spaziali che si hanno quando si scolpisce - egli stesso era particolarmente colpito da ciò. Partendo da qui comprendiamo che per il Tintoretto un quadro è un problema di pittura, ed è questo che ne rivela l'inquietudine.
Con lui le dimensioni non sono più assolute, diventano relative allo loro posizione rispetto ad un testimone. Tintoretto ha inventato lo spettatore del quadro. Perciò è moderno: è una rivoluzione rispetto alla pittura precedente, e annuncia gli impressionisti. Egli voleva ritrovare lo spazio così come è vissuto da noi, con le sue distanze insuperabili, i pericoli, le fatiche: pensava che questa fosse la realtà assoluta dello spazio, perciò ha trovato suo malgrado la soggettività. E' sempre rispetto a noi che costruisce i suoi quadri.
La condizione dell'uomo gli appare come vano rumore e furore, storia idiota raccontata da un pazzo. E nel contempo, come per la bellezza dei versi di Shakespeare, l'idiozia è velata dalla bellezza dei movimenti d'insieme. Con l'occasione sparisce il mondo dell'atto. Già il manierismo dei pittori fiorentini del Cinquecento e infine del Tiziano, l'avevano trasformato in gesto. Tintoretto lo trasforma in passione. Meraviglia, terrore, eccesso, angoscia, follia, ecco le condizioni dell'uomo di Tintoretto".
(J.P.Sartre)

martedì 22 febbraio 2011

“Venezia è l’assurdità più bella che l’uomo abbia potuto creare”
(Aleksandr Herzen)

lunedì 21 febbraio 2011

Il corno ducale

Uno dei più noti simboli di Venezia è il cosiddetto "corno ducale", cioè quel curioso copricapo che  a partire dal IX secolo, tutti i dogi erano tenuti ad indossare. In realtà anche prima di allora i dogi indossavano un cappello come simbolo del loro incarico, ma era di forma completamente diversa.
A quei tempi era usanza che il doge si recasse una volta all'anno a rendere omaggio alle reliquie di San Pancrazio e di Santa Sabina, custoditi nella chiesa di San Zaccaria. Le due reliquie erano stato donate al monastero di San Zaccaria da Papa Benedetto III, quando questi, messo in fuga dal sultano di Babilonia, trovò rifugio tra queste mura.
Era questo un convento particolare, in quanto riservato ai soli patrizi, e per questa ragione il convento era spesso fatto oggetto di doni e lasciti sostanziosi, che permettevano alle monache di vivere in maniera decisamente agiata, e non priva di qualche diversivo, dal momento che ben poche erano lì per autentica vocazione.
Fu nell'occasione della visita del doge Pietro Tradonico nell'864 che la badessa Agostina Morosini gli fece dono di un bellissimo copricapo, dalla forma particolare, detto appunto "corno". Era interamente trapuntato di fili d'oro e adornato di 24 perle, un grosso rubino ed una croce formata da 28 smeraldi e 12 brillanti. Il cappello era talmente prezioso che venne soprannominato zoia (cioè "gioia" o "gioiello").
Il dono non era rivolto però al doge personalmente ma alla carica che rivestiva, di conseguenza il copricapo venne custodito nel Tesoro della Repubblica e utilizzato solo in occasioni ufficiali particolarmente importanti.

(Fonte: M. Brusegan)

venerdì 18 febbraio 2011

"Dopo pranzo sedersi ad un tavolo di uno dei caffè sulla Piazza San Marco osservando la folla brulicante composta di persone di ogni sorta è un'esperienza accattivante. Mi piacciono anche le stradine, strette come un corridoio, soprattutto al calar della notte, quando i negozi sono illuminati a gas. In poche parole, mi sono innamorato di Venezia"
(Tchaikovsky, 1877)

giovedì 17 febbraio 2011

Gli spezieri veneziani e le loro celebri pozioni

Gli antichi farmacisti veneziani (spezier de fin) avevano a disposizione tutto ciò che occorreva loro per preparare i medicamenti: gli strumenti di vetro erano prodotti in laguna e dall'Oriente si importava una gran varietà di erbe medicinali, spezie e droghe.
Producevano curiose specialità come l'Amaro Mantovani, per problemi di stomaco, a base di assenzio, e l'Olio di scorpioni, per le ferite, creato usando cento scorpioni vivi affogati in 2 libbre d'olio d'oliva. Ma erano celebri soprattutto per due altri prodotti: il Mitridato, a base di erbe e castoreum (una sostanza estratta dalle ghiandole del castoro), e la Theriaca o Triaca, una sorta di panacea contro tutti i mali famosissima in epoca medioevale.
La preparazione della Triaca a Venezia veniva fatta in pubblico assumendo quasi toni di festa, i 64 ingredienti che la componevano venivano pestati in pesanti mortai, il tutto accompagnato da canti tradizionali. La Triaca veniva poi esportata in tutta Europa. Si diceva guarisse da tutte le malattie contagiose, liberava dalla febbre, sanava il mal di stomaco, rischiarava la vista, e molto altro!
Non tutte le spezierie avevano il permesso di confezionarla, tra quelle abilitate la più famosa era quella della "Testa d'oro" a San Bartolomeo (l'insegna è visibile ancora oggi).
La prima Scuola di mestiere degli Spezieri comparve nel 1258, aveva sede a San Bartolomeo e assunse come patrono S. Salvador. Le regole che l'antico spezier doveva seguire erano precise: conoscenza del latino, evitare gioco e vino, indossare sempre abiti puliti. Due volte l'anno la spezieria era controllata da funzionari dello Stato, e se si trovavano prodotti avariati questi erano sequestrati e bruciati sul Ponte di Rialto.

(Fonti: P. Zoffoli - M.C. Bizio)

mercoledì 16 febbraio 2011

"Oltre le tante e rare virtù che possedono le gentildonne venetiane, per la maggior parte sogliono haver quella del suonar di lauto, che nel fuor di modo si esercitano, e diventano tanto eccellenti che suonando per lor diporto ora con le velle concertate note rendono a loro medesime melodie, e contento, e a chi l'ode stupor e meraviglia"
(Giacomo Franco, 1570)