venerdì 4 febbraio 2011

Il Fontego del Megio

Il Fontego del Megio (fondaco del miglio) si erge a fianco del Fontego dei Turchi sul Canal Grande. Poco si conosce di questa massiccia e sobria costruzione con la facciata in cotto rifinita da un coronamento merlato.
Le merlature costituiscono un elemento tipico della Venezia medievale che persisterà anche nelle epoche successive: queste aumentano la leggerezza e l'eleganza dell'edificio, ma non hanno (a Venezia) alcuna funzione difensiva.
Nel XII e XIV secolo, periodo bizantino, sono triangolari; probabilmente hanno preso la loro forma dalle antiche steli commemorative o forse dalla seghettatura delle palizzate che circondavano i conventi.
Nel XV secolo, periodo gotico, il materiale preferito è il cotto, giocato con forme sempre diverse ed originali.
Nel XVI secolo, periodo rinascimentale, le merlature sono per lo più in pietra d'Istria e lavorate in modo raffinato. L'artista che ha lasciato un esempio di nuovo tipo di merlatura fu Palladio: esso è ad arco rovesciato, come si può osservare a San Giorgio Maggiore.
Il Fontego del Megio risale al 1300 ed era destinato a deposito del miglio, usato dalla Repubblica nei periodi di carestia. Il miglio in genere era usato per i sudditi che, a differenza dei veneziani, sapevano rinunciare al pane bianco.
Raramente i veneziani ricorsero all'uso del miglio e quelle poche volte furono ricordate dal popolo con efficacia, come quando, nel 1570, morì il doge Pietro Loredan, il quale a causa di una carestia aveva ordinato che il pane fosse confezionato con il miglio: "El dose mejotto, che fa vender el pan de mejo ai pistori, xe morto!" (Il doge megiotto, che fa vendere il pane di miglio ai panettieri, è morto!).

Fonte (M.C.Bizio)

giovedì 3 febbraio 2011

"Durante il Carnevale si organizzano molti piccoli balli che sono chiamati festini. A tal scopo è messa a disposizione una casa, dove una lanterna affissa alla porta e abbellita di ghirlande serve da emblema per tutta la durata del Carnevale; un violino ed una spinetta sono tutto l'apporto musicale, e l'entrata è libera per tutti"
(A.-T.-L. de Saint-Didier, 1680)

mercoledì 2 febbraio 2011

Giorgio Massari, l'ultimo grande architetto della Serenissima

Sulla vita di Giorgio Massari esistono poche notizie, nonostante possa essere considerato l'ultimo grande architetto della Repubblica di Venezia, attento non solo alle costruzioni maggiori come chiese e palazzi, ma anche a quelle minori come cori lignei (Gesuati), confessionali e armadi da sacrestia (San Marcuola) e cancellate così raffinate da sembrare un merletto (Cantorie della Pietà).
Il Massari nacque a Venezia il 13 ottobre 1687 a San Luca da Stefano marangon (falegname) e Caterina Pol. Ebbe una certa istruzione, ma non si conosce come sia stato il suo esordio in architettura. Il primo fra i suoi committenti fu Paolo Tamagnin, ricco commerciante che abitava in Campo San Paternian, per il quale Giorgio costruì una villa ad Istriana nel 1712. Tra i due nacque una forte amicizia e quando il Tamagnin morì, nel 1734, lasciò alla moglie, Pisana Bianconi, solo l'usufrutto del capitale e nominò erede universale il Massari; inoltre gran parte delle rendite doveva essere accantonata per raggiungere la cifra di centomila ducati al fine di ristrutturare la Chiesa di San Giovanni in Bragora.
Nel 1735 Massari sposò la vedova cinquantaseienne del Tamagnin e andò a vivere nella sua casa alla Bragora. Si crede che il matrimonio sia stato il coronamento di un vecchio amore tenuto nascosto per anni.
Rimasto vedovo nel 1751, senza figli, il Massari trascorse una vecchiaia non facile a causa di numerosi acciacchi: lo si intuisce dall'inventario dei suoi beni personali, tra i quali un elenco di spese con un passivo di ben 70 ducati per medici e medicine. Nonostante le difficoltà fisiche, la sua attività si protrasse fin quasi alla morte, avvenuta il 20 dicembre 1766.
Il Massari fu un architetto stimato, pur nella sua semplicità e spontaneità. Non era particolarmente erudito, ma era un attento e preciso osservatore delle opere dei grandi maestri come Palladio, Sansovino e Longhena. Fu sempre pronto ad accettare consigli e non fu mai avido di denaro.
Fu però anche invidiato da certi suoi colleghi; così scrisse il Temanza di lui: "Il superbo e maligno Massari, ma dovrei dire l'ignorante asinaccio. Uomo tolto dall'umile professione di legnaiolo e per sola fortuna innalzato alla stima di celebre Architetto".

martedì 1 febbraio 2011

"Non riceverai molte descrizioni. Non è possibile farlo per l'ebbrezza che Venezia mette addosso"
(Sigmund Freud in una lettera alla moglie, 1895)

lunedì 31 gennaio 2011

L'erezione delle chiese di San Teodoro e di San Geminiano

Correva l'anno 552 e il re degli Ostrogoti, Totila, alla testa del suo esercito lacerava un'Italia infelice. L'imperatore bizantino Giustiniano aveva eletto il suo generale Narsete come comandante in capo di tutte le truppe a difesa dell'Italia, con il compito preciso di debellare gli Ostrogoti. Questi, alla testa dell'esercito bizantino, risalì la Dalmazia, l'Istria e giunse ad Aquileia. A questo punto si aprivano di fronte a lui due strade, una che si avventurava in acqua e navigando un po' in laguna, un po' in mare aperto, portava all'esarcato, l'altra terrestre, passando per Treviso. Quest'ultima, certamente più rapida, era però molto pericolosa, così Narsete decise di rivolgersi ai veneziani chiedendo il loro aiuto per il trasporto delle truppe. I veneziani immediatamente si impegnarono ad approntare i navigli e gli armamenti per il trasporto dell'esercito bizantino.
Durante la fase preparatoria il generale Narsete fece visita alla città di Rivoalto (l'antico nome di Venezia, toponimo all'origine di "Rialto"). A lungo si fermò ad esaminare da vicino la singolare posizione di questi luoghi e la sorprendente e industriosa attività della città lagunare, della quale aveva sentito parlare in termini entusiastici. Egli, prima di lasciare la laguna per intraprendere la spedizione militare, fece voto che in caso di vittoria sarebbe tornato a avrebbe fatto erigere a sue spese due chiese, una dedicata a San Teodoro, il santo greco primo patrono di Venezia, e l'altra a San Geminiano.
L'esito della guerra fu positivo: l'armata di Totila venne messa in fuga dopo una cruentissima battaglia, e tra i caduti si contò anche lo stesso capo ostrogoto. Narsete, fedele alla promessa fatta, fece ritorno a Rivoalto, approvò i disegni delle due chiese votive e ne ordinò l'erezione. I due templi sorsero uno di fronte all'altro, sulle due rive opposte del canale Batario che anticamente correva nello spazio che oggi è occupato dalla piazza San Marco.
La piccola chiesa di San Teodoro verrà poi inglobata nella basilica di San Marco, mentre la chiesa di San Geminiano verrà demolita ai primi dell'Ottocento per volere di Napoleone. Il canale Batario venne interrato nel 1156 allo scopo di rendere più ampia e comoda quella che sarebbe diventata la "piazza più bella del mondo".

(Fonte: M. Brusegan)

venerdì 28 gennaio 2011

L'altra Venezia: percorsi musicali

Il servizio de L'altra Venezia si arricchisce ancora e presenta: Storia della Musica a Venezia.
Si tratta di due percorsi musicali che raccontano la storia della musica a Venezia dal XVI al XX secolo. Le tracce dei teatri barocchi e degli ospedali musicali sono ancora poco conosciute, ecco quindi l'idea di realizzare degli itinerari specifici alla scoperta della faccia complementare alla pittura veneziana. Sì perché i viaggiatori europei che nel XVIII secolo giungono a Venezia scrivono resoconti dai quali traspare una città permeata e avvolta nella musica, quasi senza che si possano distinguere i suoni naturali dell'acqua che scorre nei canali e delle grida dei gabbiani, da quelli suonati dagli strumenti nelle chiese, nei palazzi e negli angoli delle strade.
Ai progenitori della musica veneziana si aggiungono nel tempo i grandi compositori stranieri che qui vengono a cercare ispirazione, e a volte anche a restarci, imprigionati dalla magia ammaliatrice della sua atmosfera sonora. Così, da crocevia delle merci, Venezia diventa una meta irrinunciabile per chiunque nutra passione e interesse per la musica, sia questa sacra o popolare.

Vedi anche scheda: Itinerario sulla Storia della Musica a Venezia

mercoledì 26 gennaio 2011

"Venezia! Se mi avessero detto che quello che vivevo era vero non ci avrei creduto, talmente erano irreali e piene di stupore quelle ore passate in questa città unica"
(Jules Massenet)

martedì 25 gennaio 2011

Contaminazioni bizantine nella lingua veneziana

Parole ed espressioni quotidiane dei greci che vivevano a Venezia sono alla base di una particolare parlata, detta "venetogrecesca". Questo idioma lessicale è filtrato nella commedia dialettale (particolarmente viva nel Cinquecento) dove s'incontrano figure convenzionali come il recitatore del prologo, il vecchio innamorato, lo stradioto (soldato greco) millantatore.
Il dialetto veneziano ha preso in prestito circa 300 vocaboli  greci, molti riguardano il settore delle costruzioni e rivelano la diretta partecipazione di maestranze greche nell'edilizia veneta. Per fare qualche esempio: il pato de la scala è il pianerottolo, il pato de la porta, la soglia: dal greco patos, "pavimento". Di maggior rilievo è il liagò o diagò, cioè "luogo esposto al sole", da heliakos (Helios=Sole).
Ma il segno più evidente della prevalenza greca nel campo dei lavori edilizi è nascosto in una parola di uso comune: sproto. Oggi lo sproto, nel veneziano corrente, è un saccentone, un presuntuoso, Col suo corredo di sprotada, sprotezzo, sprotin e sprotar si rifà all'atteggiamento di superiorità che dovevano avere i capo-cantiere, chiamati in Grecia protomaistor, letteralmente "primo maestro", termine riferito specificamente al capo dei muratori e passato poi a designare il responsabile di un settore dell'Arsenale.
Ma come non ricordare il termine veneziano per designare la "forchetta": piron, in strettissima assonanza con il greco piruni!

mercoledì 19 gennaio 2011

"Io stesso mi sforzo di ascoltare i colori così come ascolto le pietre o i cieli di Venezia: come rapporti tra ondulazioni, vibrazioni... svincolati da ogni laccio simbolico. Mi sono anch'io divertito ad ascoltare e numerare le differenti sonorità della Lavanda dei piedi di Tintoretto. Si tratta appunto di uno spazio a episodi, a isole..."
(Luigi Nono)

martedì 18 gennaio 2011

Sunshine Award

Sono smisuratamente felice di comunicarvi che ho ricevuto un premio. Un premio "ufficioso" e per questo ancor più apprezzato: lo Sunshine Award.
Il piacere è ancor più grande se penso che mi giunge da una persona di grande sensibilità e intelligenza che conduce con stile e passione il suo blog: Gialli e Geografie, ringrazio quindi di cuore Nela San per avermi inserito nell'elenco dei suoi 12 blog preferiti!

Lo Sunshine Award è una sorta di segnalazione di stima verso quei blogger che si leggono e si stimano in particolar modo..

Quando si riceve il premio,
- oltre a ringraziare chi ci ha premiato [grazie Nela]
- si scrive un post per il premio, come questo
- si passa il Premio a 12 blog che riteniamo meritevoli,
- si inseriscono i link qui di seguito e
- si comunica ai loro rispettivi autori l'assegnazione del premio

Questi sono i miei Top 12 (in ordine alfabetico):

1. Accademia Affamati Affannati  impossibile da etichettare...
2. Alloggi Barbaria  il miglior blog in circolazione su Venezia
3. Brain 2 brain  riflessioni filosofiche stimolanti
4. Camera Doppia un blog non di fotografia ma sulla fotografia
5. Cartolleria qui nessuna parola, si comunica solo con la magia delle immagini
6. Cavoletto di Bruxelles il miglior blog di cucina in assoluto!
7. Engrammi  La biblioteca del curioso - divagazioni sull'arte
8. Gli stupidi pensieri pensieri bislacchi (dice lei) di un cervello interessante (dico io)
9. Mammanarchica il blog di una mamma alternativa
10. Passaggi mimetici  poesia in nuova veste
11. Personalità confusa un blog geniale!
12. VU30 vietato under 30


Buona lettura.

lunedì 17 gennaio 2011

Il diario di un grande pittore.

"Allora caro zio, verrete a vivere con noi?". All'invito del giovane nipote l'uomo rispose con un forte abbraccio. "Sarai come un figlio", esclamò. "Vi terrò come un padre" rispose il ragazzo. Queste reciproche manifestazioni d'affetto, in una splendida giornata di sole a Venezia, venivano poi annotate durante la notte in un quaderno alla fioca luce di una candela. Un quaderno che non era un diario qualunque, ma il libro dei conti e delle confidenze di Lorenzo Lotto: uno dei più grandi, e meno compresi, artisti del Cinquecento. Di carattere difficile, forse arrendevole con troppa facilità, Lorenzo Lotto si trovò a dividere la scena artistica del suo tempo con personalità del calibro di Tiziano e del Bellini. Un confronto non impari, ma nella quale la personalità fragile del Lotto non riuscì a competere.
La convivenza con il giovane nipote Mario veniva vissuta dal pittore con l'animo sulla difensiva e una meticolosità dettate da un carattere costellato di nostalgie e amarezze. Ma anche da un paterna bontà. "Voglio che mi considerino davvero come un padre" egli pensava commosso nel momento in cui, con i pochi soldi messi da parte grazie alle sempre più rade commissioni pittoriche acquistava piccoli regali alla famiglia, soprattutto per le bambine. Chissà quanta tenerezza deve aver provato Lorenzo quando sui banchi del mercato di Rialto sceglieva scarpe e vestitini per la piccola Lauretta.
Qualche volta a cena capitava qualche amico, non molti per la verità, il più assiduo era il Sansovino. Alla sera, Lorenzo annotava tutto sul proprio quaderno, silenzioso e fedele compagno delle sue confidenze. Qualche anno dopo Lorenzo decise che era ormai giunto il momento di togliere il disturbo e si trasferì prima a Treviso, presso un amico, poi partì per le Marche, la terra che più volte in passato l'aveva accolto e gli aveva fornito occasioni di lavoro. Ma neanche lì riuscì a trovare committenti interessati alla sua arte.
Stanco e provato, egli decise, nell'agosto del 1550, di stabilirsi definitivamente a Loreto e di prendere i voti. Nel suo quaderno scrisse: "Per non andarmi avolgendo più in mia vecchiaia ho voluto quetar la vita in questo Santo locho". Lì si spegnerà l'8 settembre del 1554.
Oltre alle straordinarie, e troppo tardi rivalutate, opere d'arte sparse nelle collezioni di tutto il mondo, Lorenzo Lotto ci ha lasciato il proprio quaderno: un documento che rappresenta la grande umanità di questo sfortunato e incompreso artista


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Version française
(Fonti: D. Mazzetto - P. Zampetti)

venerdì 14 gennaio 2011

"Non potevo prender sonno la notte scorsa e vegliai a lungo. Stupendamente bello il Canal Grande di notte. Passa una gondola davanti al palazzo. In lontananza, gondolieri si chiamano l'un l'altro col canto. Ciò è straordinariamente bello e nobile. Questi motivi profondamente melanconici che, cantati con voce intonata e possente, vanno, trascorrendo sulle acque, a spegnersi più lontano ancora, mi hanno altamente ispirato. Sublime."
(Richard Wagner, 1858)

giovedì 13 gennaio 2011

Il progenitore del Cinema

Verso la fine del Settecento, in giro per Venezia e in special modo nei pressi di Campo Santa Maria Formosa, sostavano le prime "scatole magiche", che attraevano e incuriosivano i passanti. Erano dei rudimentali visori in legno, sorretti da un treppiede, nelle quali attraverso un apposito foro munito di lenti si poteva vedere, a pagamento, delle immagini panoramiche, a volte anche con effetti tridimensionali, di varie parti del mondo, in special modo dell'America, allora chiamata "Mondo Nuovo". Le immagini vennero ben presto associate all'apparecchio stesso, che prese così, nella parlata comune, questo nome.

La gente si accalcava per guardare quelle immagini di paesi lontani, portando  anche i bambini, proprio come in seguito al cinema (di cui il "Mondo novo" può essere considerato un progenitore). Tecnicamente consisteva in una sorta di scatola al cui interno un fascio di luce (prima una semplice candela, poi una lampada ad olio, e per questo motivo era chiamata anche "lanterna magica"), colpiva un'immagine trasparente (in genere immagini dipinte su lastre di vetro) e la proiettava ingrandita su un schermo bianco.

Oltre all'immagine (qui sopra) dell'incisore G. Zompini che documenta l'oggetto in sé, è rimasto celebre l'affresco di Giandomenico Tiepolo che raffigura una piccola folla di spalle in attesa di poter ammirare i lontani paesaggi grazie alla "scatola magica".

Alcuni esemplari ancora funzionanti sono esposti presso il Museo Nazionale del Cinema a Torino



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(fonti: M. Brusegan - E. Pascarella)

martedì 11 gennaio 2011

“Quando cerco una parola per sostituire musica, non trovo altro che Venezia
(F. Nietzsche)

lunedì 10 gennaio 2011

Il Sol Levante a Venezia

All'ultimo piano di Ca' Pesaro, oggi sede della Galleria Internazionale d'Arte Moderna, da molti anni si trova il Museo d'Arte Orientale di Venezia.

Venezia fu, nel 1873, la prima città europea in cui venne istituito un consolato giapponese dopo San Francisco e New York - quello stesso anno furono istituiti in città dei corsi di lingua giapponese, oggi quei corsi sono confluiti nell'Università di Cà Foscari. Pochi anni più tardi anche l'arte giapponese fece il suo ingresso ufficiale in Europa sempre attraverso Venezia con la partecipazione di alcuni artisti alla seconda Biennale Internazionale d'Arte nel 1897.

Il Museo costituisce una delle più importanti collezioni mondiali di arte giapponese del Periodo Edo. Raccolta che il Principe Enrico II di Borbone, conte di Bardi, acquistò durante il suo viaggio in Asia, compiuto tra il 1887 ed il 1889. Più di 30.000 pezzi tra i quali spade e pugnali, armature giapponesi, delicate lacche e preziose porcellane, con ampie sezioni dedicate all’arte cinese e indonesiana.
D'altra parte i rapporti tra Venezia e l'estremo oriente risalgono già ai tempi di Marco Polo e del suo mitico viaggio.

Da sempre corre voce che tra le sale di Ca' Pesaro si aggiri lo spettro di un antico samurai, bardato dell'armatura tipica dei guerrieri giapponesi e armato della leggendaria katana, la spada creata per servire un solo combattente.

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sabato 8 gennaio 2011

"Domani tuttavia dovrò lasciare le mie dolci gondole. In questo momento sono in una di esse, in veste da camera e pantofole, intento a scrivere in mezzo alla strada, cullato ad interim da una musica celeste"
(Charles de Brosses)

venerdì 7 gennaio 2011

Il Mondo Nuovo di Giandomenico Tiepolo

"Da vivo, Giandomenico Tiepolo era stato considerato soprattutto come il figlio del più celebre Giambattista Tiepolo, autore di numerosi affreschi a cui Giandomenico aveva collaborato. Ma il Mondo Nuovo, dipinto in origine nel più completo anonimato su una delle pareti della casa di campagna di famiglia, iniziato probabilmente verso il 1750 e terminato solo nel 1791, aveva sempre intrigato gli esperti per quella sua atmosfera strana, quel suo mistero irriducibile.
Tutta una folla, vista di spalle o di profilo, che assisteva ad uno spettacolo invisibile. In lontananza, il mare. Un'esecuzione sorprendente. Personaggi sorpresi in atteggiamenti famigliari durante una scena pubblica. Ma niente a che vedere con l'estro sorridente di Longhi o di Guardi. Blu lattiginosi, giacche color crema, arancio spento, abiti beige. Una sorta di morbida ieraticità nella curva delle spalle, nella posizione delle teste. La sensazione che tutta questa folla colta nell'energia dell'istante deviasse al contempo verso un altrove silenzioso, uno spazio onirico.
La delicatezza delle tonalità sembra giungere da un'Italia lontana e spirituale, quella di Piero della Francesca, ma il soggetto è incredibilmente moderno, di una stranezza funambolesca. Invitare a guardare ciò che non si vedrà. Uno spettacolo di strada. Tutte le categorie sociali mescolate, dal borghese panciuto con la parrucca al Pierrot uscito dritto dalle scene della commedia dell'arte, dalle popolane prosperose protese in avanti alla dama elegante con il cappello in testa e una mano sul fianco.
Ma il vero segreto è il personaggio arrampicato su uno sgabello e che tiene in mano una lunga bacchetta, una specie di asta, la cui estremità raggiunge il centro della scena. Che significato attribuire al suo gesto? Non è per attirare l'attenzione dei curiosi, già catturati dallo spettacolo. Interviene forse come deus ex machina, per fungere da interprete tra il pittore e gli spettatori dell'affresco, per sottolineare l'importanza di ciò che resta invisibile ai nostri occhi?"
(P. Delerm)

"L'affresco rappresenta una piccola baracca intorno alla quale si agita una folla di gente ansiosa di affacciarsi. Che cosa si vede? Che cosa ci si potrebbe vedere? Forse che un pittore di due secoli fa ha intravisto questo nostro "mondo" purtroppo "nuovo" perché inverosimile?"
(G. Francesco Malipiero)

[L'affresco in questione si trova al Museo del Settecento di Ca' Rezzonico, Venezia]

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giovedì 6 gennaio 2011

"Mentre l'arte fiorentina si distingue nel disegno, nella compattezza plastica e nella struttura architettonica, l'arte veneziana si concentra sul colore e l'atmosfera, sulla squisitezza pittorica e l'armonia musicale"
(Erwin Panofsky)

mercoledì 5 gennaio 2011

Venezia all'alba del XX secolo

Davanti all'obiettivo di Tomaso Filippi, alcune giovani veneziane si espongono con candore popolare che intenerisce: colgono l'acqua dai pozzi, rattoppano le reti da pesca, oppure vendono ceste di pesce al mercato di Rialto. Le loro madri, sedute in cerchio sull'uscio di casa, infilano perle chiacchierando tra loro. I corpi sono infagottati negli abiti consunti e troppo larghi. I volti sono tristi, i capelli ribelli, le scarpe scalcagnate.
Quando l'alba sorge sul XX secolo, Venezia soffre di un netto ritardo rispetto alle altre città italiane. Bisogna creare lavoro, unire l'isola alla terraferma. La fragile struttura acquatica viene sventrata con fragore e brutalità. La modernità preme e si affretta ad omogeneizzare e banalizzare tutto.
I ricchi stranieri acquistano a basso prezzo i palazzi da sogno che erano stati abbandonati dalle antiche famiglie patrizie della Serenissima. I nuovi occupanti ricevono ed invitano il fior fiore degli scrittori, dei pittori, degli esteti e dei collezionisti che, di giorno e di notte, esplorano, con il naso all'insù, il labirinto delle calli silenziose e deserte. All'ora del tè si passeggia in Piazza San Marco, prima di ritrovarsi al Quadri o al Florian, sulle piccole panchine cremisi, avvolti nei cappotti confezionati dallo spagnolo Mariano Fortuny. Si vive Venezia dentro se stessi, come una religione. Infine, calata la sera, sotto le stelle, nelle gondole o nelle barche da pesca, ci si dà alla serenata, ripassando o inventando melodie veneziane.
Offesi e feriti da una modernità rumorosa, invadente ed aggressiva, molti veneziani guardano con diffidenza e freddezza la loro immagine dai contorni poco definiti che si riflette nello specchio spezzato del presente.
L'amore folle, ossessivo, a volte addirittura morboso degli stranieri per Venezia aiuta forse alcuni di loro a riprendere il filo del discorso bruscamente interrotto con il loro passato. A scendere nel pozzo buio e profondo della storia per cercarvi i tesori che decenni di occupazione francese ed austriaca avevano finito col nascondere e far dimenticare. Un patrimonio la cui esistenza era stata cancellata, e che bisognava ora riesumare, trascrivere, pubblicare, suonare, studiare e trasmettere ai più giovani.

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