La forma di governo istituitasi a Venezia era una Repubblica oligarchica, giacché solo i nobili potevano accedere all'organo di potere più importante: il
Maggior Consiglio. Uno Stato oligarchico è paragonabile ad un club, gestito per la soddisfazione ed il benessere di tutti i soci. A Venezia i "soci" erano appunto i patrizi, e il club doveva essere amministrato in modo da mantenere sempre un equilibrio fra i diversi interessi ed ambizioni esistenti in un gruppo di circa 200 famiglie, diverse per numero, censo e parentele, ed i cui membri, a loro volta, erano diversi per età, formazione e temperamento.
Questo equilibrio era essenziale, poiché gli stessi oligarchi, attraverso le strutture amministrative, dovevano garantire altri equilibri: quelli sociali della città, quelli dello Stato da Mar, quelli del Dominio di Terraferma e quelli internazionali. Dal Dogato all'ultima funzione amministrativa, tre erano i requisiti fondamentali: l'efficacia della funzione, l'impossibilità per il funzionario di creare un potere personale o ereditario, l'evitare conflitti tra le funzioni. Anche se Venezia non avesse fatto altro nei suoi dieci secoli d'indipendenza che elaborare la propria costituzione, sarebbe sufficiente ad immortalarne la fama.
Nei primi secoli vi furono tentativi di alcune famiglie nobili di rendere ereditario il Dogato o quanto meno di esercitare un certo controllo sul corpo elettorale. Sebbene nessuno di questi tentativi ebbe successo, già nel XI secolo si ebbero riforme costituzionali atte ad impedirli. Il doge
Jacopo Tiepolo (1229-1249) elaborò la formula della "promissione", una sorta di contratto tra il Doge e il Maggior Consiglio che delimitava fortemente i poteri del primo.
Nel 1268 fu introdotto il definitivo sistema d'elezione del doge, che comportava ben dieci fasi: esclusi dai membri del Maggior Consiglio coloro che non avevano ancora compiuto trent'anni, fra i rimanenti si sceglievano 30 patrizi per ballottaggio in modo da non permettere che una famiglia avesse più di un rappresentante eleggibile. Con un secondo sorteggio venivano ridotti a 9, i quali ne eleggevano 40, ridotti per nuovo sorteggio a 12. Questi ne eleggevano 25, ridotti nuovamente a 9, che a loro volta ne eleggevano 45, su cui si sorteggiavano 11 i quali sceglievano i 41 elettori finali che procedevano all'elezione del Doge. Sistema complicato che testimonia quanta importanza si dava all'evitare la trasmissione ereditaria della funzione.
Direttamente in rapporto con il Doge erano i vari Consiglieri, i Procuratori, i Pregadi, i Savi e, indirettamente, una varietà di magistrati: Avogadori, Apontadori, Camerlenghi, Cassieri, Consoli, Governadori, Giudici, Masseri della Zecca, Officiali, Provveditori e Pagadori. Ogni corpo della Magistratura era poi suddiviso per responsabilità specifiche e per aree cittadine ed extra-cittadine. Alcune di queste cariche erano vitalizie, la più parte con limiti di tempo che variavano da sei mesi a due anni; alcuni erano stipendiati, altri no; alcuni dovevano avere un'età massima, altri un età minima.
Si aggiungano a queste magistrature: i Podestà, i Castellani, i Capitani del Dominio di Terraferma, i Capitani da Mar, i Baili e gli Ambasciatori, fiore della diplomazia europea. Un elenco preciso comporterebbe centinaia di voci, ma anche questo sguardo sintetico alla struttura amministrativa della Serenissima permette di valutarne la complessità e il gran numero di uomini capaci che la classe patrizia doveva produrre anno dopo anno.
Forse l'analogia migliore con il governo veneziano si trova nel libro 1984 di George Orwell: "L'essenza di un governo oligarchico non è la trasmissione del potere da padre in figlio, ma la continuità di una certa concezione del mondo e un certo modo di vivere imposto dai morti sui vivi. Un gruppo governante è tale in quanto abbia il potere di formare i propri successori. Chi detiene il potere non è importante a condizione che la struttura gerarchica non cambi".
Si spiega così perché è impossibile scrivere una storia della Serenissima riportando in ordine cronologico la storia individuale dei 120 Dogi.
A Venezia il potere era anonimo.
(Fonte: G. Villa)