giovedì 15 dicembre 2011

Il primo film realizzato a Venezia


La prima "carrellata" della storia del cinema venne realizzata a Venezia dai Fratelli Lumière, sistemando la macchina da presa su un vaporetto che percorreva il Canal Grande. Questa tipologia di ripresa in movimento venne allora chiamata "panorama". Era il 1896.
Nel filmato il vaporetto sta risalendo il Canal Grande dall'ansa di Ca' Foscari verso il Ponte di Rialto. La camera è puntata verso sinistra, per cui si intravede nel primo fotogramma l'angolo estremo destro di Palazzo Bernardo, poi Palazzo Donà de la Madoneta (interessante notare che all'epoca non c'erano ancora le due orribili finestre moderne che si vedono oggi all'ultimo piano), Palazzo Donà, Palazzo Papadopoli (col suo giardino), Palazzo Giustinian Businello e Palazzo Barzizza.
Da notare la presenza di alcune gondole con ancora il felze, destinato a scomparire nel Novecento per soddisfare le esigenze dei turisti.

lunedì 12 dicembre 2011

Musica a Venezia

Proviamo ad immaginare la sorpresa degli stranieri che arrivano a Venezia per la prima volta e scoprono che all'ora della messa e dei vespri le chiese risuonano di una musica travolgente di virtuosità, eseguita da ensemble formati unicamente da fanciulle, le quali non solo cantano come angeli, ma suonano anche il violino, il clavicembalo, il corno e il contrabbasso! Chiese piene di una folla di appassionati che hanno acquistato il loro posto nel tempio sacro, esattamente come fanno per l'opera durante la settimana.
La fama di queste fanciulle giunge in tutta Europa: Parigi, Londra, Berlino, Vienna, San Pietroburgo... Jean-Jacques Rousseau scrive che spesso tra il pubblico c'erano anche attori e cantanti di fama internazionale..
Queste misteriose giovani che vivono in una sorta di clausura, e il cui talento uguaglia quello delle dive più adulate delle scene dell'opera, sono in realtà orfane soccorse per strada al fine di evitar loro una vita tristemente destinata alla prostituzione, e alle quali, in seno agli Ospedali (a Venezia gli Ospedali erano anche ospizi e orfanotrofi) che le accolgono, viene insegnata musica e canto.
Contribuisce senz'altro al successo di queste fanciulle, il fatto che cantino sempre nascoste dietro alle grate dei barchi e delle tribune, alimentando quindi un senso di mistero e di fantasia sulla loro ipotetica bellezza pari solo alla loro bravura.
In ogni caso le cappelle musicali femminili degli Ospedali rappresentano molto più di una semplice curiosità, esse sono infatti per la Serenissima un vero e proprio simbolo, un simbolo mistico e politico, legato in modo indissolubile alla storia della città. I loro canti sono l'allegoria stessa di Venezia-Venere, della Venere uscita dalle acque che in Venezia si identifica con la Vergine Maria (non a caso la data leggendaria della fondazione della città viene fatta risalire al 25 marzo, giorno dell'Annunciazione). Era quindi con grande orgoglio che il governo veneziano invitava principi, imperatori e ambasciatori ad ascoltare i concerti di queste speciali fanciulle.
Pochissimi i fortunati ch'ebbero l'occasione di conoscerle personalmente, tra questi ricordiamo J.J. Rousseau che ebbe il privilegio di poter entrare presso l'Ospedale dei Mendicanti e conoscere le ragazze del coro... ma ne rimase un poco deluso:
"Entrando nel salotto che conteneva quelle divine beltà tanto desiderate, provai un fremito d'amore. Il signor Le Blond mi presentò, una dopo l'altra le celebri cantanti, di cui voce e nome era quanto mi era noto: "Venite Sofia"... era orribile,  "Venite Caterina" ... era guercia, "Venite Bettina"... il vaiolo l'aveva sfigurata.... Quasi nessuna era immune da una qualche notevole imperfezione. Quell'uomo rideva della mia crudele delusione. Pure, due o tre, mi parvero discrete. Ero sconfortato. Durante la merenda, le stuzzicammo, e esse si misero in allegria. La bruttezza non esclude la grazia, ne scoprii. Mi dicevo: "Non si canta così senz'anima, esse ne hanno". Alla fine il mio modo di vederle mutò a tal punto che uscii quasi innamorato di quei mostriciattoli" (J.J. Rousseau, "Confessioni").

Oggi in città esistono ancora delle tracce di questo passato musicale e grazie ai percorsi musicali de L'altra Venezia è possibile ripercorrerne la storia.


 

sabato 10 dicembre 2011

El pezo no xe mai morto
(il peggio non è mai morto)

martedì 6 dicembre 2011

All'inizio fu il sale

Il prefetto romano Cassiodoro, nel VI secolo dc, ci lascia una descrizione minuta della laguna e dei suoi abitanti. Tra le immagini più colorite spicca la descrizione dell'uso di legare una barca fuori di casa invece del cavallo. Ma quello che colpisce di più è la considerazione che mentre gli altri fanno girare falci e aratri, gli abitanti della laguna ricavano e triturano sale. E ciò che all'inizio era una pura necessità, diventa ben presto un'immensa fonte di guadagno, dato che il sale assumerà un valore altissimo, tale da essere usato come moneta di scambio.
All'inizio dunque è il sale. E le notizie, anche se incerte e frammentarie fanno supporre che in laguna si estraesse il sale fin dai tempi dei romani. Nel paesaggio lagunare, appena antropomorfizzato, queste rudimentali saline nel volgere di alcuni secoli, diventano sempre più funzionali e facilmente gestibili. Tanto che Lorenzo de Monacis nel suo Chronicon scrive che erano veramente sorprendenti e magnifiche e una delle cose che più ammiravano i foresti in visita. Gli abitanti della laguna però non le chiamavano saline, ma "fondamentum".
Alla fine del XII secolo si contano 120 fondamenti, di cui una settantina nella laguna di Chioggia e molte altre tra Murano, Torcello e Sant'Erasmo. Ma quello che è davvero sorprendente è il numero di saline presenti all'interno della stessa Venezia: circa una decina! Nel Trecento se ne ricordano ancora a San Silvestro, ai Frari e a San Basilio. Ma già nel Quattrocento queste saline cittadine scompaiono e resta solo il ricordo nella toponomastica "Fondamenta".
In ogni caso la produzione di sale è così immensa che Venezia detiene il monopolio per la fornitura del sale in tutta Europa e nel Mediterraneo orientale. Il sale, sia grezzo che raffinato, viene conservato in enormi magazzini situati parte sull'isola della Giudecca e parte nei depositi alla Punta della Dogana.
Naturalmente all'epoca il sale non veniva usato solo per insaporire i piatti, ma anche, anzi, soprattutto per la conservazione dei cibi.

martedì 29 novembre 2011

Le classi sociali nella Repubblica di Venezia

Il patriziato veneziano si distingueva da quello europeo per alcune caratteristiche peculiari:
- era di origine mercantile anziché feudale
- la sua creazione e sopravvivenza era giustificata dalla sua costante partecipazione al governo della Serenissima
- era formato da famiglie anziché da individui e la primogenitura era l'eccezione invece della regola
- non usava specifici titoli nobiliari
Si può ben dire che l'atto creativo del patriziato fu la Serrata del Maggior Consiglio nel 1297, per cui diventarono patrizie le famiglie i cui antenati avevano reso importanti servigi alla Serenissima dall'anno 810 (data del trasferimento della sede ducale da Malamocco a Rivoalto) in poi, o un cui membro aveva seduto nel Maggior Consiglio nei quattro anni precedenti la Serrata. In tutto furono iscritte nel Libro d'Oro della nobiltà veneziana, circa 220 famiglie. Questo cambiamento della costituzione (che di fatto passò da repubblica democratica a repubblica aristocratica) non provocò le tensioni politico-sociali che ci sarebbe potuto aspettare. In primo luogo perché esso confermava una situazione che già esisteva di fatto; inoltre trattavasi di un gruppo sociale omogeneo, attivo, di antica ricchezza, già abituato a servire gli interessi generali; infine era un gruppo numeroso, giacché corrispondeva a circa il 5% della popolazione.
La "classe mercantile" era formata da cittadini veneziani con diritto "de intus" o "de extra", ossia abilitati a commerciare all'interno o all'esterno della città. I non veneziani potevano, se considerati degni, acquistare il diritto "de intus" dopo dodici anni di residenza e attività professionale, e il supplementare diritto "de extra" dopo diciotto anni.
Alla "classe mercantile" appartenevano sia "patrizi" sia "cittadini".
La categoria dei "cittadini" assorbiva anche uomini di scienza e di legge, letterati, medici, funzionari amministrativi e commercianti, formando una classe borghese talvolta ricca, sempre agiata, che aveva comunque una propria rappresentanza politica.
Alle classi privilegiate va aggiunta la classe ecclesiastica, che corrispondeva a circa l'1% della popolazione.
La linea divisoria tra queste classi e il Popolo era il lavoro manuale. A sua volta il Popolo era diviso fra membri delle "Arti" o "Scuole di Mestiere", cioè lavoratori specializzati che accompagnavano il loro lavoro con una certa cultura tecnica, e tutti gli altri che invece vivevano solo del proprio lavoro manuale.
Pur privati di potere politico, i Popolani godevano in compenso di salari relativamente alti (rispetto al resto d'Italia e d'Europa), di cibo sicuro e a prezzi controllati dalla Serenissima; non temevano guerre civili o assalti di eserciti stranieri; non erano relegati in suburbi, poiché le loro abitazioni fiancheggiavano quelle dei patrizi e dei mercanti con cui si mescolavano nelle calli e nei campi, parlando la stessa lingua veneta. Fieri dell'appartenenza ad uno Stato forte e libero, partecipavano alle feste pubbliche, civili e religiose, al Carnevale, alle Regate, alle cerimonie d'elezione dei Dogi e a quelle che accompagnavano le visite di personaggi illustri.
Si spiega così la quasi totale mancanza di movimenti sociali, la fedeltà alle istituzioni ed il senso di appartenenza di così lunga durata.

lunedì 21 novembre 2011

I meccanismi del governo della Repubblica Serenissima di Venezia

La forma di governo istituitasi a Venezia era una Repubblica oligarchica, giacché solo i nobili potevano accedere all'organo di potere più importante: il Maggior Consiglio. Uno Stato oligarchico è paragonabile ad un club, gestito per la soddisfazione ed il benessere di tutti i soci. A Venezia i "soci" erano appunto i patrizi, e il club doveva essere amministrato in modo da mantenere sempre un equilibrio fra i diversi interessi ed ambizioni esistenti in un gruppo di circa 200 famiglie, diverse per numero, censo e parentele, ed i cui membri, a loro volta, erano diversi per età, formazione e temperamento.
Questo equilibrio era essenziale, poiché gli stessi oligarchi, attraverso le strutture amministrative, dovevano garantire altri equilibri: quelli sociali della città, quelli dello Stato da Mar, quelli del Dominio di Terraferma e quelli internazionali. Dal Dogato all'ultima funzione amministrativa, tre erano i requisiti fondamentali: l'efficacia della funzione, l'impossibilità per il funzionario di creare un potere personale o ereditario, l'evitare conflitti tra le funzioni. Anche se Venezia non avesse fatto altro nei suoi dieci secoli d'indipendenza che elaborare la propria costituzione, sarebbe sufficiente ad immortalarne la fama.
Nei primi secoli vi furono tentativi di alcune famiglie nobili di rendere ereditario il Dogato o quanto meno di esercitare un certo controllo sul corpo elettorale. Sebbene nessuno di questi tentativi ebbe successo, già nel XI secolo si ebbero riforme costituzionali atte ad impedirli. Il doge Jacopo Tiepolo (1229-1249) elaborò la formula della "promissione", una sorta di contratto tra il Doge e il Maggior Consiglio che delimitava fortemente i poteri del primo.
Nel 1268 fu introdotto il definitivo sistema d'elezione del doge, che comportava ben dieci fasi: esclusi dai membri del Maggior Consiglio coloro che non avevano ancora compiuto trent'anni, fra i rimanenti si sceglievano 30 patrizi per ballottaggio in modo da non permettere che una famiglia avesse più di un rappresentante eleggibile. Con un secondo sorteggio venivano ridotti a 9, i quali ne eleggevano 40, ridotti per nuovo sorteggio a 12. Questi ne eleggevano 25, ridotti nuovamente a 9, che a loro volta ne eleggevano 45, su cui si sorteggiavano 11 i quali sceglievano i 41 elettori finali che procedevano all'elezione del Doge. Sistema complicato che testimonia quanta importanza si dava all'evitare la trasmissione ereditaria della funzione.
Direttamente in rapporto con il Doge erano i vari Consiglieri, i Procuratori, i Pregadi, i Savi e, indirettamente, una varietà di magistrati: Avogadori, Apontadori, Camerlenghi, Cassieri, Consoli, Governadori, Giudici, Masseri della Zecca, Officiali, Provveditori e Pagadori. Ogni corpo della Magistratura era poi suddiviso per responsabilità specifiche e per aree cittadine ed extra-cittadine. Alcune di queste cariche erano vitalizie, la più parte con limiti di tempo che variavano da sei mesi a due anni; alcuni erano stipendiati, altri no; alcuni dovevano avere un'età massima, altri un età minima.
Si aggiungano a queste magistrature: i Podestà, i Castellani, i Capitani del Dominio di Terraferma, i Capitani da Mar, i Baili e gli Ambasciatori, fiore della diplomazia europea. Un elenco preciso comporterebbe centinaia di voci, ma anche questo sguardo sintetico alla struttura amministrativa della Serenissima permette di valutarne la complessità e il gran numero di uomini capaci che la classe patrizia doveva produrre anno dopo anno.
Forse l'analogia migliore con il governo veneziano si trova nel libro 1984 di George Orwell: "L'essenza di un governo oligarchico non è la trasmissione del potere da padre in figlio, ma la continuità di una certa concezione del mondo e un certo modo di vivere imposto dai morti sui vivi. Un gruppo governante è tale in quanto abbia il potere di formare i propri successori. Chi detiene il potere non è importante a condizione che la struttura gerarchica non cambi".
Si spiega così perché è impossibile scrivere una storia della Serenissima riportando in ordine cronologico la storia individuale dei 120 Dogi.
A Venezia il potere era anonimo.

(Fonte: G. Villa)

venerdì 18 novembre 2011

Breve riassunto della storia artistica a Venezia

Venezia tende ad essere in ritardo di circa mezzo secolo rispetto al resto dell'Europa nel passare da uno stile artistico all'altro.
Ecco una classificazione molto semplificata:
- Lo stile Bizantino (maggior monumento la Basilica di San Marco) predomina fino a tutto il Duecento; fatto comprensibile in una città fortemente legata a Costantinopoli. Il Romanico vi si affianca piuttosto timidamente.
- Nel Trecento si passa al Gotico (maggior monumento il Palazzo Ducale) che predomina per tutto il Quattrocento, con sviluppi particolarmente felici
- Il Cinquecento è il secolo del Rinascimento, le cui prime opere (la Chiesa dei Miracoli e la statua equestre di Colleoni), nonché quelle del maggior architetto, Mauro Codussi, hanno un vero carattere rinascimentale, ma rapidamente sopravviene il Manierismo delle opere di Sansovino e di Palladio. Egualmente ispirati al Manierismo i tre maggiori pittori del secolo: Tiziano, Tintoretto e Veronese.
- Venezia sembra lieta nel Seicento di ritrovare nel Barocco uno stile più conforme al proprio gusto del teatrale (Chiesa della Salute di Longhena), e poi indulgere nel Rococò del Settecento (massimo esponente: Tiepolo)
- Nei suoi ultimi decenni la Serenissima si specchia nei dipinti eleganti di Canaletto, Guardi e Longhi.
- Il Seicento fu anche il grande secolo della musica a Venezia, con i Gabrieli, Monteverdi, Albinoni, Vivaldi e Benedetto Marcello, mentre nel Settecento emerge il genio di Carlo Goldoni.
- Alla fine del Settecento viene completato il Teatro della Fenice. I teatri privati veneziani, fra i primi teatri coperti d'Europa, ebbero enorme successo anche nel secolo seguente. Maggior artista figurativo: Antonio Canova.

lunedì 14 novembre 2011

Le Venezie invisibili

"Dopo il tramonto, sulle terrazze della reggia, Marco Polo esponeva al sovrano le risultanze delle sue ambascerie. D'abitudine il Gran Kan terminava le sue sere assaporando a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sbadiglio non dava il segnale al corteo dei paggi d'accendere le fiaccole per guidare il sovrano al Padiglione dell'Augusto Sonno. Ma stavolta Kublai non sembrava disposto a cedere alla stanchezza.
- Dimmi ancora un'altra città - insisteva.
- Di là l'uomo si parte e cavalca tre giornate tra greco e levante... - riprendeva a dire Marco, e a enumerare nomi e costumi e commerci d'un gran numero di terre. Il suo repertorio poteva dirsi inesauribile, ma ora toccò a lui d'arrendersi. Era l'alba quando disse:
- Sire, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco.
- Ne resta una di cui non parli mai.
Marco Polo chinò il capo.
- Venezia - disse il Kan.
Marco sorrise: - E di che altro credevi che ti parlassi?
L'imperatore non batté ciglio. - Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome.
E Polo: - Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia
- Quando ti chiedo d'altre città, voglio sentirti dire di quelle, e di Venezia, quando ti chiedo di Venezia
- Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia
- Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza, descrivendo Venezia così com'è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ricordi di lei.
L'acqua del lago era appena increspata; il riflesso di rame dell'antica reggia dei Sung si frantumava in riverberi scintillanti come foglie che galleggiano.
- Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano - disse Marco - Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d'altre città, l'ho già perduta a poco a poco."
(Italo Calvino)

venerdì 11 novembre 2011

Struttura delle case veneziane

Tutte le costruzioni veneziane, fin dai tempi più antichi, dovettero sottostare a due costrizioni: quella del limitato spazio orizzontale disponibile e quella del limitato peso che poteva essere eretto su un terreno così poco solido come quello argilloso delle isole lagunari.
La costrizione orizzontale (a Venezia la superficie edificabile, ed edificata, è di soli 7kmq) portò i palazzi e le case in genere ad affiancarsi senza interruzioni o divise da calli strettissime, per cui generalmente solo la facciata prospiciente l'acqua è decorata. Dove rii o canali sono stati interrati, eventuali decorazioni di facciate sono indice della loro passata esistenza.
La preoccupazione del peso si ritrova nella scarsa sporgenza dei balconi, nell'uso di scale esterne per tutta l'epoca gotica e successivamente di scale interne prive di balaustre e sormontate a volta per ridurre la pressione dei muri esterni. Questi avevano sovente uno spessore di quattro mattoni al piano terreno che si riducevano poi a tre o anche a due mattoni nei piani superiori. I muri divisori solitamente erano formati da due sottili strati di legno con l'intercapedine riempita di pietrisco e mattoni triturati.
La decorazione delle pareti veniva eseguita in stucco, affreschi, sete o cuoio, spesso campeggiavano placche di "marmorino", una polvere di marmo che somiglia a lastre della stessa materia pur pesando molto meno. Similmente i pavimenti erano ricoperti di "terrazzo", un misto di polveri di marmo, di vetro e di mattoni, sovente con elementi decorativi in tessere di mosaico. Oltre al peso ridotto il pavimento "alla terrazza" ha notevole elasticità, utile a compensare i movimenti delle fondamenta.
I soffitti sono in travi, quanto più leggeri possibili, talvolta dipinti, altre volte nascosti da un leggero reticolato stuccato o affrescato. Eguale leggerezza si ritrova nelle strutture dei sottotetti, nella scelta delle tegole e nella costruzione dei terrazzi sovrastanti i tetti, le "altane".

lunedì 7 novembre 2011

Fondamenta Zattere

Di fronte all'isola della Giudecca si trova una larga fondamenta, fatta costruire in pietra per decreto del Magistrato alle Acque dell'8 febbraio 1519 e terminata nel 1531. La fondamenta è molto lunga, giacché parte da Santa Marta, costeggia tutto il Canale della Giudecca fino alla Punta della Dogana e ha nome al plurale: le Zattere.
In realtà la fondamenta è suddivisa in: Molin, al Ponte Longo, ai Gesuati, agli Incurabili (dove si trova anche una targa dedicata al poeta Josif Brodskij), allo Spirito Santo, ai Saloni, de la Dogana, a la Salute; ma tutti la chiamano semplicemente "Zattere".
Anticamente veniva chiamata Carbonaria, come era chiamato anche il canale della Giudecca, per i carichi di carbone che qui arrivavano e si scaricavano. Poi fu chiamata Zattere perché vi approdavano le grosse zattere che, navigando lungo i fiumi che scendono dalle montagne venete, portavano il legname in città. Vi fu anche un decreto dei Provveditori alle Legne e Boschi del 1640, che imponeva a tutti i trasportatori di legname di scaricare esclusivamente in questo luogo. Nel XVII secolo alle Zattere esisteva anche un teatro per opere musicali.
Vi si affacciano inoltre le chiese dei Gesuati e dei Domenicani, oltre all'enorme complesso dell'antico Ospedale degli Incurabili, oggi occupato dall'Accademia di Belle Arti di Venezia.
La Fondamenta è senz'altro una delle più belle passeggiate di Venezia e, per l'esposizione a sud, vi si può gustare un po' di calore nelle giornate di sole autunnali, o ammirare meravigliosi tramonti sulla laguna.